mercoledì 13 aprile 2011

Il narratore secondo Benjamin


Ricordo di aver sentito una volta Mario Rigoni Stern definirsi apertamente “narratore” nel senso benjaminiano e, dopo aver letto Il Narratore (precedentemente in Angelus novus, ora pubblicato in solitaria con le note di Alessandro Baricco per Einaudi, super ET, pag. VIII+110, euro 9,00), mi rendo conto che pochi sembrano aver capito quella aperta dichiarazione d’inattualità che lo scrittore di Asiago faceva ai ragazzi delle scuole. Oggi probabilmente il narratore comunemente inteso è l’autore di testi televisivi, varietà o fiction. Proviamo a capire perché.

Il pretesto di questo scritto del 1936 è l’opera di Nikolaj Leskov, ma si tratta davvero di un pretesto, dell’imbeccata per le intuizioni della folgorante intelligenza critica benjaminiana. Egli scrive: «L'arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza». Si deve pensare a questo fatto come a «[…] un fenomeno concomitante di forze produttive storiche, secolari, che a poco a poco ha espulso la narrazione dall'ambito del discorso vivo e insieme fa percepire una nuova bellezza in ciò che svanisce».

Il narratore è colui che accoglie in sé l'esperienza e la trasforma in esperienza per il lettore. Ma il narratore è morto, secondo Walter Benjamin, e il suo pensiero è abbastanza lineare, per quanto “lineare” non sia certo l’aggettivo più indicato per descrivere la sua prosa. I romanzieri che costellano con i loro nomi il Novecento (citiamo i vari Joyce, Proust, Musil, Kafka, Svevo solo per fare cinque nomi di provenienza diversa e poi Flaubert per trovare dei precursori nel secolo precedente) hanno preso il posto dei narratori perché è venuta meno l’esperienza, le cui quotazioni sono scese fino a crollare per l’affermarsi di quella nuova forma di comunicazione costituitasi nell’informazione, la quale «ogni mattina ci informa delle novità di tutto il pianeta [...] si consuma nell’istante della sua novità [...] vive solo in quell’istante». Oggi infatti l'esperienza è qualcosa che si racconta in tv.

Cerchiamo però di ricapitolare i binari su cui corre la contrapposizione benjaminiana tra narratore e romanziere. Da un lato c’è il narratore, al quale si possono applicare categorie come epica, memoria, morale, artigianalità, catarsi, contatto con il mistero dell’esistenza del quale cerca di darci una sua versione, persino consigli di carattere pratico (ricordiamoci allora di Rigoni Stern, citato in apertura). Dall’altro lato il romanziere, nato dalle ceneri del narratore, vive in un tempo dove morale, epica e la facoltà di cui quest’ultima è al servizio,  la memoria, sono crollate rendendo nulle (almeno per il testo letterario) le possibilità della narrazione. Il romanziere vive dunque un tempo di cui può solamente raccontare gli smarrimenti, gli sgomenti, la sfiducia, le nevrosi e l’angoscia. Ho semplificato anche troppo, ma questo ragionamento porta inevitabilmente a chiedersi cosa nascerà dalle ceneri del romanzo, visto che da più parti si instilla giustamente il dubbio sulla sua fine, morte o metamorfosi che sia.

La sociologia, così come le neuroscienze, forse parlerebbero di "specializzazione funzionale". Oggi la narrazione ha preso sicuramente altre strade lontane dalla letteratura, il romanzo è costretto a ripensarsi, stavolta sotto le picconate delle mutazioni antropologiche portate da scienza e tecnologie e dall’impatto che queste hanno sulla memoria, la quale era centrale nelle considerazioni sullo statuto del narrare così come lo è oggi, e forse ancor di più, nei dibattiti sul romanzo e sul suo futuro. Se ci fosse in questi anni un’intelligenza critica che sapesse raccontarci come la memoria transita, mutando, dalla narrazione al romanzo e quindi alla “nuova” letteratura,  grideremmo di aver trovato il nuovo Benjamin e penseremmo di aver trovato pure la nuova specializzazione funzionale della letteratura. Credo non piaccia parlare di "specializzazione funzionale" della letteratura, ma forse male non fa. Baricco non si candida certo a compiere questa impresa proibitiva. Le sue note, copiose e continue, sono il frutto di anni di riflessioni fatte su questo scritto assieme agli studenti della Scuola Holden. A stare a quel che che ci racconta, oggi sarebbe impossibile passare ore a commentare Il narratore con gli studenti. Personalmente avrei voluto vedere sviluppato di più questo punto.

3 commenti:

  1. propongo uno spunto che mi gira in testa da un po' e - attraversando Benjamin - tenta di dare una risposta, o meglio mette al collaudo una suggestione, al terribile quesito del caporedattore di Librobreve.
    La letteratura e la sua "specializzazione funzionale". A meno che il discorso sulla letteratura non voglia rimanere nella sua torre d'avorio, a meno che rimanga soltanto una questione letteraria, la letteratura deve pensarsi oggi proprio come depositario dell'esperienza che non e' raccontabile--o che non e' ancora ascoltabile. La saggezza, riferisce Benjamin, e' il senso dell'esperienza. Ma la saggezza del narratore, ricamata nelle sue vesti, e' scomparsa perche' non e' piu' in grado dopo le catastrofi storiche, di dare un senso al racconto dell'esperienza. Se il narratore brucia la sua esperienza nel racconto come la cera di una candela, la vita, senza esperienza, non risulta interamente raccontabile.
    Ora, la critica letteraria e' scomparsa nella sua funzione di critica letteraria. Scomparsa la specializzazione della letteratura ("l'esperienza"), le forme della critica letteraria sono migrate, si rivolgono alla filosofia (Derrida) o alla storia (Foucault). Cio' che tutti aborrono e scansano oggi, un ripensare criticamente la storia (antica, oggi, di domani, allargandone i sensi e riscommettendo su una sua impossibile redenzione--ancora Benjamin!) potrebbe essere funzionale al discorso marginalizzato della letteratura? Potrebbe esserne --questo e' ancora vagamente argomentato-- il suo portato, prima che la sua specializzazione? In questo senso il mio augurio e' di leggere critiche sulla poesia e sulla lettaeratura che non possano fare a meno di confrontarsi con il magma della posizione del poeta e non considerando le sue parole come distaccate da lui e dalla storia. Forse la vera poesia oggi (mi sembra di scrivere come Magris) parla di piu' di esperienza di quanto siamo abituati ad ammettere. Una critica allo stesso livello non si lava le mani scrivendo formule a scatole chiuse tipo "uno stile asciutto"
    LOVE

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  2. "Stile asciutto" è il modo migliore per togliersi dalle scatole una qualche incombenza senza dedicare troppa attenzione. Si potrebbe redarre un prontuario di formule del genere. Sarebbe curioso.

    Grazie del commento. Si percepisce che qualcosa di interessante bolle in pentola e non è ancora stato scritto per esteso. Anche ad esempio quando parli di "redenzione": Temevo che fosse prematuro utilizzare l'espressione "specializzazione funzionale" della letteratura, invece noto che è stata il punto di partenza delle tue osservazioni.

    Grazie per l'appellativo di "caporedattore", anche se sono il capo di del mio capo e di quello che contiene, il cervello(forse). A proposito di cervello, nel prossimo post parleremo dell'ultimo libro del grande storico della scienza Enrico Bellone che purtroppo è morto qualche giorno fa.

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  3. Complimenti per il sito, contenuti interessanti!

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