sabato 4 febbraio 2012

Quell'incantatore di Nabokov













In molti - e non soltanto in Italia - attendiamo le sue Lectures on Literature per poterlo leggere diffusamente su Austen, Dickens, Flaubert, Stevenson, Kafka, Proust e Joyce. L'edizione critica in inglese dovrebbe essere in orizzonte (per ora si trova solo quella di inizio anni Ottanta con la prefazione di John Updike) e si presume verrà prontamente tradotta in italiano e, quasi certamente, un po' ovunque. Nel frattempo, tuttavia, non mancano le proposte o riproposte di libri più o meno noti dell'entomologo collezionista di farfalle nonché autore di Lolita. Si attenua così, almeno in parte, quest'attesa ormai prolungata del Nabokov critico. L'incantatore (già per Guanda nel 1987, ora uscito da Adelphi, pp. 116, euro 14 in una versione rinnovata sempre a cura del figlio Dmitri) non avrebbe dovuto esistere. Si tratta del classico libro che nella testa di un autore è distrutto per sempre e invece riappare tra le carte, a distanza di decenni. 

Stavolta vorrei parlarvi di un libro raccontandovi delle sue vicissitudini che sono tanto curiose e importanti quanto la narrazione di questo triangolo tra un uomo dell'Europa Centrale, "un'anonima ninfetta" e la figlia dodicenne di questa. Il libro, una sorta di pre-Lolita come Nabokov stesso ebbe a dire, prende forma nel 1939 a Parigi, in russo, lingua nella quale Nabokov scrisse per molti anni prima di abbracciare l'inglese (lingua della sua prima governante a San Pietroburgo e lingua dell'esilio universitario negli Stati Uniti). Nabokov ci racconta, nella nota del 1956 posta in apertura, che lesse il racconto in una notte di coprifuoco "foderata di carta azzurra" (precauzione antiaerea per oscurare le finestre) a un gruppo d'amici. Non piacque e fu per questo che distrusse il manoscritto. Questo racconto, che nelle parole dell'autore costituisce il primo "palpito" di Lolita, non abbandonò mai del tutto Nabokov, che, sempre nel 1956, lo ricordava più breve, di una trentina di pagine appena. Quel palpito tornava comunque a visitare Nabokov che, in inglese, si stava accingendo a scrivere l'opera sua più nota:

[...] La ninfetta, che ora aveva sangue irlandese nelle vene, era più o meno la stessa ragazzina, e permaneva anche l'idea di fondo del matrimonio con sua madre; ma per il resto era una cosa nuova, a cui erano cresciuti in segreto gli artigli e le ali di un romanzo.

L'unico esemplare superstite de L'incantatore comparse nel 1959 in una sessione di riordino di carte e schede condotta assieme alla moglie Véra. Nel frattempo Lolita era già stato scritto (in inglese) e pubblicato (in francese) per le edizioni Olympia Press di Parigi nel 1955. Le pagine dell'esemplare superstite non erano 30 bensì 55. Nabokov, nella nota datata 1959, ci racconta di aver riletto immediatamente e con grande piacere quel "bel brano di prosa russa, preciso e limpido, che con un po' di attenzione potrebbe essere reso in inglese dai Nabokov". Cosa che fece il figlio Dmitri con la versione inglese del 1986 e quella italiana, già citata, dell'anno successivo.

La storia di questo Ur-Lolita la lascio al lettore. Stavolta mi interessava restituire qualcosa che ha a che fare con il destino e i percorsi dei libri, spesso avvincenti come poche altre storie. E, data la brevità del libro, vi consiglio di non tralasciare la nota finale di Dmitri Nabokov, che ci aiuta ad entrare nelle traversie di un traduttore e curatore d'eccezione.

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