giovedì 1 marzo 2012

Ritorna "L'uomo nell'Olocene" di Max Frisch













"Si dovrebbe poter fabbricare una pagoda di crackers, non pensare a niente e non udire tuono, né pioggia, né lo sgocciolio della grondaia, né il gorgoglio tutt'intorno alla casa. Forse una pagoda non viene, ma la notte passa." Così l'incipit di Der Mensch erscheint im Holozän, opera tarda di Max Frisch, che fa la sua comparsa nel 1979 per Suhrkamp. Due anni più tardi, Einaudi propone questo breve racconto dell'autore zurighese nella traduzione di Bruna Bianchi, optando per una semplificazione del titolo, semplifazione che anche oggi rimane (L'uomo nell'Olocene, pp. 110, euro 17, con una prefazione di Sergio Nelli). Eppure il titolo originale afferma, agisce, come in un alone di scoperta dato dal verbo "erscheinen"; quello italiano descrive, toglie il verbo "apparire/comparire", diventa quasi un titolo da saggio di paleontologia (e sarebbe interessante allora capire quale uomo compare nell'Olocene, visto che gli studi di paleontologia datano la comparsa dell'uomo molto prima di questo periodo, però bisognerebbe introdurre il concetto di evoluzione, laddove "comparsa" e "evoluzione" non vanno apparentemente d'accordo).

Il signor Geiser, vedovo pensionato, vive nella Valle dell'Onsernone, postazione sperduta del Canton Ticino. "Il signor Geiser ha tempo", precisa Frisch sin dalla prima pagina, ed è grandiosa, oltre che fondamentale nell'economia della narrazione, questa affermazione semplice e inattuale. Il vecchio protagonista rimane isolato per un'alluvione che fa franare tutto ("[...] il tronco pende a rovescio con la corona sfracellata, le nere radici si spalancano nell'aria e la roccia è esposta a nudo, gneis o scisto, altrove puddinga"), con problemi basilari di sopravvivenza (luce, provviste), e convive con l'isolamento progressivo causato della perdita della memoria. Nel racconto di Frisch rinveniamo una rarissima capacità di narrare la vecchiaia, la sua fragilità, le vertigini di certe riflessioni che possono giungere in passeggiata al protagonista, in una geografia puntuale che avvista Berzona, il passo della Garina e il Monte Calmo, e altresì in una geografia di oggetti, citazioni, memorie di paleocatastrofi naturali, di orologi che si fermano (nella nazione degli orologi per antonomasia). La nostra è allora la lettura di un racconto sul tempo devastato e desolato, perduto, frammentato e mai più rimesso assieme. Cocci e ciottoli di tempo.

Il signor Geiser ha tempo, dicevamo. Il signor Geiser si sta spogliando del proprio tempo. Il signor Geiser prova a incollare frammenti di megatempo con bigliettini (oggi sarebbero post-it) che influenzano anche curiosamente l'impaginazione tipografica del racconto: appunti sulla sezione aurea, annotazioni di storia locale (costruzione di una mulattiera nel Settecento, catastrofi, gli anni delle alluvioni), sulle ere geologiche, sul cancro del castagno, su parole di dizionario, sull'origine dell'uomo, su "treni (SBB) con coincidenza a Bellinzona" (un salto a Giardino, cenere di Danilo Kiš ci può stare), schede sui dinosauri e la loro estinzione o sulla deriva dei continenti. Sergio Nelli posiziona bene quest'importante libro all'interno della produzione dell'autore svizzero, di cui, proprio nel 2011, ricorrevano i vent'anni dalla morte (pure i cent'anni dalla nascita, ma appartengo a quella schiera che crede abbia più senso ricordare le ricorrenze della morte, non tanto quelle delle nascite): "[...] Testimonianza luminosa di questa resistenza e vera e propria invenzione narrativa sono i materiali esposti come graffiti in bella vista per un difetto di memoria del protagonista. Materiali che caratterizzano questo libro in modo fisico, visivo. Di che cosa trattano tali appunti, annotazioni, ritagli, sistemati qua e là? Di questioni cruciali sulle quali si esercita il vecchio vedovo in pensione, ex direttore di una ditta di Basilea: l'origine dell'uomo, la deriva dei continenti, le ere della Terra, l'estinzione dei dinosauri, la velocità del lampo, la formazione dei ghiacciai, il carattere dei tuoni, la debolezza mnemonica...". Diventa importante volgere il nostro sguardo, perfino appassionarsi, al percorso del protagonista, alla progressiva spoliazione di memoria affiancata al tentativo di ricostruzione del megatempo geologico, così evidente nel paesaggio o nel pensiero degli animali, loro sì pieni di anima: l'uomo - ci dice Frisch-Geiser sin dal titolo - fa la sua comparsa nell'Olocene. E la sua scomparsa? Chissà, intanto però possiamo credere che "Probabilmente saranno i pesci a sopravviverci, e gli uccelli".

3 commenti:

  1. Libro bellissimo, bellissimo. L'avevo letto anni fa, bene che sia riproposto. Ogni tanto... Manuele

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  2. Interessante, non lo conoscevo questo di Frisch... Conosco quello di Kis che citi, quello è un capolavoro. Mascia

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  3. Io l'ho letto diversi anni fa questo libro di Frisch e l'ho consigliato a un sacco di gente. Lo consiglio anche qui... Saluti, Giovanni

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