sabato 23 giugno 2012

"10 modi per imparare a essere poveri ma felici" di Andrea Pomella

Recensioni rapide #6

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"Recensioni rapide": due paragrafi fissi dove cerco di rispondere brevemente alle domande "che libro ho davanti?" e "perché vale la pena/non vale la pena avvicinarlo?" (solitamente resto su quelli che vale la pena). 
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Pregiudialmente non acquisterei mai un libro con un titolo simile. E in effetti non è un libro che ho scelto io. Tuttavia, questo 10 modi per imparare a essere poveri ma felici di Andrea Pomella (Laurana, pp. 144, euro 11,90, con una nota di Marco Rovelli) è un libro che vale la pena avvicinare. Il titolo non è felice perché suona troppo self-help. E questo non è un libro tra i tanti della categoria self-help. Ho dovuto ricredermi perché tratta argomenti quasi tabù ed estremamente complessi con una scrittura drammaticamente semplice ed efficace. Inutile nascondere che si tratta, a suo modo, di un instant-book figlio della crisi, figlio del senso di depauperamento che viviamo, degli anni passati (e forse dei tempi presenti) vissuti davvero al di sopra delle nostre possibilità. E la sua tempestività è forse la caratteristica da salutare con più attenzione. Questo non è un libro di facili consigli, come quel titolo potrebbe lasciare intendere. Molto meglio prendere a esempio alcuni titoli delle 10 tesi di Pomella per capire come si dipanerà il suo ragionamento (Custodire anziché consumare, Non nascondere i segni della povertà, Diffidare dei sogni di fortuna, Nascere dalla parte giusta del Mediterraneo, Nessuno lontano dalla verità può dirsi felice). Ed è un ragionamento che evita accuratamente certe secche dove è facile incagliarsi quando si discute di povertà e ricchezza, PIL e felicità, nuove e vecchie forme del capitalismo mondiale.

Ecco, se anche voi superate la resistenza del titolo o se invece magari siete attirati proprio dal titolo, sappiate che questo libro finisce per essere una lettura "arricchente" per un motivo semplice e originale: non vi troverete favolette o storielle trite sulla povertà. Sarete avvicinati da una prosa che evita facili piagnistei e guarda coraggiosamente in faccia la nostra condizione, i nostri desideri, le nostre paure il relazione al tema fondante della povertà e al neanche tanto velato terrorismo che si insinua in qualsiasi occorrenza della parola denaro. Marco Rovelli, nella nota iniziale, ricorda il "discredito sul denaro" che secondo Simone Weil avrebbe potuto essere la leva di una nuova stagione. Senza necessariamente parlare di discredito, basterebbe riscoprire la natura del denaro, il suo piano denotativo di "moneta di scambio" prima ancora delle incrostazioni delle sue connotazioni menzognere. Ragionare in modo molto "spiccio" sul denaro, questo forse basterebbe. Semplicemente risalire al motivo della sua nascita. Aggiungerei riscoprire persino le virtù di una scienza oggi tanto demonizzata, la finanza, che invece dovrebbe ritornare a essere linfa e non droga. Avremmo dovuto partire a far questo molto tempo fa, prima che persino un gruppo rock arrivasse a cantare "Money it's a crime / Share it fairly but don't take a slice of my pie / Money so they say / Is the root of all evil today / But if you ask for a rise it's no surprise that they're giving none away...". La chiave del ragionamento non è tanto nel denaro allora, ma nel riconoscere la complessità che muove da quelle due parole richiamate indirettamente anche dal titolo. Povertà e felicità. Potremmo ripartire anche da Seneca, se volessimo, e non basterebbero 10 modi, 10 anni, 10 tesi a restituire questa complessità che anche questo saggio, nella sua brevità, prova felicemente a scandagliare.

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