domenica 3 giugno 2012

"La veglia a Benicarló" di Manuel Azaña

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #9


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Torniamo a parlare di un libro (breve) inspiegabilmente introvabile, anche se capisco che l'inspiegabilmente sta solo nella testa di chi scrive e forse non in quella del mercato. Eppure, stavolta, parliamo davvero di un classico, un libro un tempo collocato nella mitica NUE segnata dalle righe rosse di Bruno Munari nella traduzione di Leonardo Sciascia e Salvatore Girgenti. Sarebbe bello confrontarsi anche sul perché certi libri escono completamente dalla circolazione. In tali casi, a maggior ragione se i libri sono brevi, i nuovi scenari aperti dall'editoria smaterializzata possono giocare un ruolo interessante e da inventare.
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A volte servirebbe provare a riprendere misura di quel che fu la Guerra civile spagnola nel contesto non soltanto europeo degli anni Trenta. Il suo precedere relativamente di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale talvolta fa sì che non le venga restituita la giusta luce, anzi, il giusto buio e la fa precipitare in un secondo piano del racconto storico che non è mai salutare. Eppure, solo per rimanere ai nostri libri, potremmo ripescare calibri importanti, come Omaggio alla Catalogna di Orwell, Per chi suona la campana di Hemingway, La speranza di André Malraux, la poesia di García Lorca o quello che resta forse il più bello tra i film di un regista oggi molto seguito come Ken Loach, Terra e libertà. Oppure, per chi è italiano, ricordarsi dei fratelli Rosselli, prima che dei fratelli Rosselli ("Oggi in Spagna, domani in Italia") si occupi chi italiano non è. In questo tentativo di riposizionamento di quella guerra, un libro senz'altro molto utile è il dramma teatrale La veglia a Benicarló di Manuel Azaña (La velada en Benicarló, Einaudi, pp. 144, attualmente fuori commercio). 


Azaña fu l'ultimo presidente della Repubblica prima della vittoria franchista del 1939 e dell'avvento del potere dittatoriale che ne seguì, per decenni. Il destino dell'autore oscillò dall'essere quasi ignorato a essere additato come uno dei principali artefici del caos che imperversò nella penisola iberica in quei tre anni. La tragicità e il terrore di questa guerra non sono passati nella percezione comune. L'editoria, le programmazioni televisive, il cinema hanno fatto molta fatica a restituire quel clima atroce che era l'anticamera del baratro. Oggi dovremmo leggere questo piccolo volume all'interno di un periodo, quello dell'entre-deux-guerres, che forse rappresenta un momento chiave per rivedere lo statuto della parola "intellettuale". Per fare quest'operazione - se si vuole fare, naturalmente - quegli anni furono ancor più significativi degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e della Cold War.


Il testo è un dialogo teatrale. La cornice scorre attorno a un viaggio in auto da Barcellona a Valencia (protagonisti un medico, due ufficiali, un ex deputato e un'attrice). Benicarló è il posto a metà del tragitto dove avviene la loro sosta, laddove sgorga limpido il dialogo sobre la guerra de España e dove s'aggiungono un ex ministro, un dirigente socialista, un avvocato e un propagandista. Una veglia che si conclude in tragedia con l'arrivo degli aerei all'alba e la distruzione dell'albergo. Le battute di questa veglia accorata, come ricorda Sciascia nella prefazione, sono tutte ragionevoli, mentre il bombardamento viene ad assumere la simbologia di "distruzione della ragione", tipica di quell'irrazionalità nella violenza che fu, assieme a molti altri fattori, la base di partenza dei poteri autoritari e dittatoriali che tennero in scacco l'Europa. Altri elementi fortemente simbolici appaiono il viaggio, ma soprattutto la veglia, così connaturata alla letteratura e filosofia spagnola (Di Loyola, Cervantes, Unamuno). Nel dialogo non troviamo personaggi comunisti ed anarchici. Questo fatto può sorprendere e ha fatto in realtà molto discutere. Com'è possibile non contemplarli? Questa mancanza forse si salda in parte con l'alterna fortuna critica dell'autore, di quest'uomo politico di lettere eletto presidente della Repubblica nel maggio del 1936 e "incarnazione della Repubblica", che alcuni hanno visto troppo dilaniato dal dilemma (in questo Sciascia lo avvicina a un personaggio dell'Espoir malrauxiana). Rileggere, riproporre questo testo significa rivedere le lacerazioni immani di quella guerra osservata e sentita in tutto il mondo degli anni Trenta. Ogni guerra civile è lacerazione tra le più grandi che la condition humaine possa registrare, questo è un fatto noto a tutti. Ma per le ragioni espresse sopra vale la pena ricordare chi ha vegliato sui grandi sonni della ragione del secolo scorso. O meglio: rileggere, vegliando.

2 commenti:

  1. Cercavo proprio informazioni su questo libro e questo autore e mi sono imbattuto sul tuo blog. L'idea di palare di libri fuori commercio è buona. Naturalmente se si parlasse anche da fonti che hanno cassa di risonanza più grande aiuterebbe ancora di più. Comunque meglio di niente. Ciao

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  2. Grazie Gabriele. Faccio il mio, quel che posso. D'accordo, questo blog non è Spinoza ma ha un piccolo seguito. Se hai fonti interessanti che fanno questo tipo di lavoro di "riproposizione" segnalale pure. Mi farebbe piacere. Grazie ancora. Alberto

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