sabato 13 ottobre 2012

"La persona e il sacro" di Simone Weil

Simone Weil ha spesso lasciato a scritti brevi alcune delle sue più profonde e durature riflessioni, saggi contenuti e talvolta incompiuti, pagine per le quali la parola "saggio" diventa a dire il vero stretta e dove l'inclinazione del pensiero e della prosa segna un cambio di direzione sensibile, non solo all'interno della sua breve parabola esistenziale, ma anche per la storia della filosofia largamente intesa. L'abbiamo già registrato in queste pagine, qui, e ora torniamo a farlo con La persona e il sacro, scritto durante la guerra, nel biennio 1942-1943, ora ospitato nella collana Biblioteca Minima di Adelphi (pag. 78, euro 7, con una nota finale di Giancarlo Gaeta). Il testo appartiene ai celebri Écrits de Londres et dernières lettres e in italiano si trovava già ne I moralisti moderni (Garzanti, 1959), libro-antologia a due di Elémire Zolla e Alberto Moravia. Sin dalle prime battute Simone Weil introduce il lettore a seguire i passi di un ragionamento che, pur nella brevità, toccherà moltissimi punti:

"Ciò che per me è sacro non è né la sua persona né la persona umana che è in lui. È lui. Lui nella sua interezza. Braccia, occhi, pensieri, tutto. Non arrecherei offesa a niente di tutto questo senza infiniti scrupoli. 
Se quel che vi è di sacro in lui per me fosse la persona umana, potrei cavargli gli occhi facilmente [...]".

Sembra un passo quasi innocuo eppure diventa rivoluzione, se fatto nostro con attenzione, perché apre le porte all'impersonale, che è veramente ciò che di sacro vi è in una persona. Verità e bellezza abitano quest'ambito di ciò che è impersonale, anonimo. La persona e il sacro si lascia leggere anche per le sfumature ricche della prosa, spazia e ritorna costantemente al tema del titolo (un titolo che, sotto certi aspetti, potrebbe pure depistare). Belle, inoltre, le pagine dedicate al lavoro fisico, tema conosciuto e sperimentato da Simone Weil,  e anche le "ipotesi di lavoro" su determinate istituzioni intermedie destinate ad abolire tutto ciò che nella vita contemporanea "schiaccia le anime sotto l'ingiustizia, la menzogna e la bruttezza". Pagine vere, quasi operative, nient’affatto vaghe.

Questo scritto non sarebbe lo scritto che è ed è diventato se non fosse corredato, nella sua incompiutezza, di quella netta visione del diritto (Weil parla di "mediocrità" della nozione di diritto) che troviamo circa a metà libro. Il diritto è per natura dipendente dalla forza, ci ricorda Simone Weil. Nata in epoca romana, tale nozione si correla al monopolio della forza, diventa nella sostanza un'idea utile per ammantare la forza, affinché quest’ultima abbia piena efficacia. Sta qui una delle parti più notevoli, specificatamente nella ripresa del diritto così come ce l’avevano consegnato Diderot e la sua cerchia (non certo Rousseau) nel XVIII secolo, come punto di non ritorno verso le nuove derive di bruttezza, uso e abuso contemporanee (curioso che altri intellettuali e giuristi, come Hans Kelsen e Carl Schmitt, si confrontassero, più o meno negli stessi tempi, col tema del diritto). Secondo la Weil lodare Roma per averci trasmesso la nozione di diritto è "scandaloso". I greci non possedevano tale nozione e solo per un singolare malinteso la vicenda di Antigone è stata scambiata per "diritto naturale". Ma sono davvero molti i passi in cui lo scritto si fa denso (quelli sul linguaggio, la bellezza e sull'ascolto, certe immagini o similitudini adoperate) e dove lo stile appare rastremato verso sommità di pensiero. Prendete ad esempio questo passaggio intermedio e chiave di volta delle pagine dedicate alla nozione di diritto:

“La materia pesante è in grado di salire e andare contro la gravità solo nelle piante, grazie all’energia del sole che, captata dal verde delle foglie, opera nella linfa. La gravità e la morte si riapproprieranno invece, progressivamente ma inesorabilmente, della pianta che sia privata della luce”.

A voi scoprire come tale passaggio si innesti nelle riflessioni sul diritto. L'ho riportato perché, a prescindere da dove è collocato, offre un micro-saggio della sua prosa. Se "mistica" fu, questa donna che indossava inconfondibili occhiali, aveva anche i piedi così straordinariamente poggiati a terra. Camminando per strada, e ovunque siamo, dopo aver letto un libro così breve e potente, possiamo provare a capire che in ogni uomo vi è qualcosa di sacro. Questo qualcosa non è certo la sua persona e tantomeno la persona umana. "È semplicemente lui, quell’uomo”. 

2 commenti:

  1. Utile, la ringrazio. R.

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  2. http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-88666106-62f3-4500-82d9-e86b8156fa84.html

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