giovedì 28 febbraio 2013

"Bloody Cow" di Helena Janeczek. Chi si ricorda la BSE ora che c'è la carne di cavallo?

Avevo già pronte queste note di lettura sul recente libriccino di Helena Janeczek. Ora il caso delle carni equine rinvenute un po' ovunque riporta a galla quelle righe e questo libro uscito da poco, che in realtà costituisce la riproposizione stand-alone di uno scritto pubblicato in coda a Cibo, libro del 2002, allora intitolato Quasi un epilogo morale. Non che in queste/quelle pagine l'autrice anticipi i fatti di questi giorni, comuni a più paesi europei (il problema della carne oggigiorno travalica i confini, se non altro quelli europei), ma perché quel libro costituisce un buon passaggio per le nostre masticazioni e ruminazioni carnivore. Penso anche che prima o poi qualcuno dovrà scrivere una grande opera di narrativa sul cibo, qualcosa di imprescindibile e irrinunciabile, che dica meglio e più a fondo del nostro "rapporto" con quanto ci sostiene e alimenta, nelle diverse età dell'uomo, persino nei diversi luoghi. Qualcosa che vada oltre il filo da biancheria che, nell'immaginario, si tende tra punti (anche letterari, cinematografici e documentaristici) che scorrono tra un pranzo di Babette, una grande abbuffata o l'immagine del bambino del Biafra contenuta in Fame nei Sillabari di Goffredo Parise. Nel frattempo, nell'attesa fiduciosa che anche la narrativa smetta di essere autoreferenziale come la televisione (un giorno, su dieci romanzi che ho preso in mano in libreria, credo sette riassumessero in quarta di copertina le vicende di uno scrittore. Che palle! Non che siano tutti da buttare, anzi, alcuni sono belli, se non capolavori, ma l'inflazione del tema va detta!), accontentiamoci di questo Bloody Cow di Helena Janeczek (Il Saggiatore, pp. 58, euro 10), uscito (riuscito) per la rinata e un tempo gloriosa collana Biblioteca delle Silerchie. L'accontentarsi è riferito più che altro alle dimensioni dell'assaggio, e non nel gusto, dato che questo piccolo libro si presenta come qualcosa di strettamente necessario e assai leggibile, un testo tra la confessione, il reportage, l'analisi, il flusso di in-coscienza che regola un "regime" alimentare, la nostra ignoranza testimoniata da ogni nostro passo tra le corsie di un supermercato. Ondeggianti tra sfondo e primo piano le note (dimenticate?) vicende dei casi di BSE.

Prima di tutto la sua scrittura. Saprete (con un nome così non è difficile intuirlo) che Helena Janeczek non è nata in Italia, bensì a Monaco di Baviera. Che sia da rintracciare anche in questo dato biografico una positiva ossessione animale e alimentare? Per chi arriva dall'Italia, dopo il breve e famigerato corridoio austriaco (un budello di autostrada dove il limite di 100 km/h viene quasi sempre miracolosamente rispettato), la vacca è spesso il primo contatto visivo col mondo bavarese. Magari passate il confine, vi arriva l'sms sul telefonino di cambio roaming e vi accoglie una "simmental" tedesca. Janeczek scrive in italiano, e ha già dato prova di saperlo fare meglio di tanti scrittori nati tra il Brennero e Lampedusa. Ciò che colpisce di questo libro è proprio in primissima battuta una scrittura priva di coordinate GPS facili, uno stile che si consustanzia nella e dalla stessa materia da cui prende forma, una materia incerta, vacillante, fondamentale come quella alimentare. Provare per credere, il libro è breve.

Verrebbe voglia di leggere l'autrice su un'opera più ampia e su un simile tema, e non tanto perché brevità o lunghezza di un'opera siano garanzia di qualità, ma perché questo tema sembra pronto a sprigionare verità e succhi gastrici tutti da analizzare, nella prosa di quegli scrittori che sapranno masticarlo, digerirlo ed espellerlo. Helena Janeczek in passato ha già dato prova di sapere scavare su zone e note lasciate inesplorate dalla solfa dominante della letteratura contemporanea. E in fin dei conti, le basterebbe riprendere il filo iniziato proprio con Cibo, uscito da Mondadori ormai undici anni fa, e che in appendice conteneva questo scritto con il titolo già ricordato. Poi è arrivato Il Saggiatore, la Biblioteca delle Silerchie, il Burri Rosso del 1953 in copertina, il nuovo titolo: ecco un nuovo libro, perfetto per questi giorni, da leggere anche durante una pausa da IKEA. Anche questa è l'editoria, soprattutto se è buona, come una cosa da mangiare... 

Aveva già visto abbastanza lungo e bene Giuseppe Genna, nel mitico sito di Clarence da lui curato anni fa e fonte di ricchi spunti. Scrivendo di Cibo e di quella appendice arrivò a dire:

"Terminato il libro, Janeczek non termina il libro: scrive un'appendice che, al posto di Daniela, utilizza il reportage sulla sindrome da Mucca Pazza per mettere sul piatto la Carne: la conoscenza carnale e l'ombra dell'antropofagismo, la società del rischio e la putrefazione in vita, l'autoseppellimento e il sisma psichico, tutto - davvero tutto - viene macinato dall'idrovora di una scrittura commovente e spietata [corsivo mio]. Così si fa la Storia, così si fanno le storie: scrivendo, da grandi scrittori. O tutto o niente: tra le immense cazzate che riguardano la scrittura di genere, anche sessuale, Janeczek piazza un buco nero destinato a cibarsi di ognuna di quelle cazzate. Chi non lo capisce, e non lo capisce da adesso, è destinato a nutrire non tanto il nostro astio - siamo già stracolmi di bile -, ma le nostre onnivore fantasie, che dopo anni di fantasmi incominciano a masticare anche carne cruda e viva."

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