martedì 21 maggio 2013

Quarant'anni dalla morte di Carlo Emilio Gadda: un ricordo attraverso la traduzione de "La verità sospetta" di Juan Ruiz de Alarcón

Gadda con Pasolini
Il 21 maggio del 1973 si spegneva a Roma Carlo Emilio Gadda. Era nato a Milano nel novembre del 1893. Difficile individuare nel gliommero delle opere un libro breve che oggi possa offrirmi lo spunto per ricordare l'ingegnere. Potevo forse scegliere Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, il primo libro che di Gadda lessi, prestato in una gialla edizione Garzanti dall'insegnante di lettere, durante le settimane in cui si era soffermata sul detestato (da Gadda, non certo da me e credo nemmeno dalla mia insegnante) Ugo. Lo ricordo come aneddoto positivo, quasi un esempio tra i tanti di come si possa spaziare in avanti e indietro nell'insegnamento della letteratura alle superiori. Ogni tanto mi chiedo se sia il caso di trattare il Novecento in terza superiore e Dante, Petrarca e Boccaccio prima della maturità. Potevo anche, cabalisticamente, affidarmi a un titolo di un volumetto einaudiano, bello e smilzo, di Gianfranco Contini. Mi riferisco a Quarant'anni d'amicizia, il quale raduna vari scritti gaddiani del critico di Domodossola. Ma sarebbe stato un ricordare Contini e non Gadda. E non mi andava bene. Trovo che possa aver più senso ricordare Carlo Emilio Gadda a partire da un versante meno praticato della sua scrittura: la traduzione. Com'è noto, Gadda tradusse dallo spagnolo. Negli anni Venti trascorse infatti qualche anno in Argentina, dove svolgeva la propria professione di ingegnere, è lì affinò la propria conoscenza di quella lingua. Contini ebbe a definirlo "traduttore espressionista", proprio in uno scritto del volume appena citato che potete trovare anche nel sito de "The Edinburgh Journal of Gadda Studies" (EJGS), con un comodo clic qui. Con Gadda gli epiteti però si sprecano: da espressionista a meneghino, da uomo d'ordine a ingegnere fino a chi lo vede come l'ultimo scapigliato. Che sia stato addirittura il precursore del "giallo italiano di qualità"? Non credo... Credo invece siano questi i modi sicuri di esprimersi di una critica che non esiste più, di una critica ancor oggi imprescindibile, certamente in salute, in grado di spiegarsi molte cose e di far defluire in solchi precisi l'opera di un dato autore. Eppure a volte ho sempre più netta la sensazione che si tratti di una critica trapassata, che ha attraversato tutto il corpus dell'opera di certi autori. Oggi invece abbiamo forse più bisogno di una critica non trapassante, che perimetri l'opera, la sfiori senza perforarla. Per questo potrebbe essere interessante ricordare Gadda anche a partire dalla traduzione, da quell'attività "faticosa" che pendola tra un massimo rigore e una massima libertà, interpretata da Gadda stesso in un modo tanto insindacabile e anarchico quanto così delicato nei confronti dell'opera di partenza.

Accanto trovate la copertina de La verità sospetta (Einaudi, pp. 145, euro 10,33) di Juan Ruiz de Alarcón, nella dismessa collana degli "Scrittori tradotti da scrittori", esperimento editoriale bello e indimenticato, voluto dallo stesso Giulio Einaudi, e di cui ricadrebbe quest'anno un ulteriore anniversario, come potete ricavare agilmente qui. La domanda che potrebbe sorgere è circa questa: perché uno scrittore come Gadda si cimenta con un autore del Seicento spagnolo (anche se nato e ritornato in Messico), e proprio con lo "storpio" Alarcón de La verdad sospechosa in particolar modo? Gadda portò a termine la traduzione di quest'opera di Alarcón per la radio e non per una pubblicazione in volume. (Nell'ambito dei suoi lavori per la radio ricordo, tra gli altri, un'interessante sceneggiatura per un documentario televisivo mai realizzato sul fiume Tevere; forse alla Rai a volte potrebbero partire da quello che c'è già senza deliziarci di novità.). Una prima trascrizione di quella traduzione apparve in Teatro spagnolo del secolo d'oro, tuttavia ampiamente rimaneggiata e tagliata. Probabile che il curatore di quel volume della Eri, Angelo Monteverdi, non gradisse troppo la libertà (tracotante?) della prima traduzione gaddiana registrata nei nastri magnetici della Rai. Nel 1977 era poi uscito per Bompiani un volumone dal titolo La verità sospetta. Tre traduzioni di Carlo Emilio Gadda (De Quevedo, Barbadillo e appunto Alarcón), ma anche lì la traduzione gaddiana del teatro di quest'ultimo non era ancora corrispondente alla primigenia versione per la Rai. Quella versione, nata appunto per un mezzo specifico come la radio, si può leggere oggi esclusivamente in questo libretto pressoché introvabile, curato splendidamente da Claudio Vela a partire dai nastri radiofonici  e quindi con tutte le enormi difficoltà del caso (come comportarsi, ad esempio, con la punteggiatura?).

E cosa fa Gadda quando traduce Alarcón per la prima volta? Direi che non è "tracotante". Scrive, ed è Gadda. Innesta nella propria vita e scrittura rampicante il palinsesto feroce di questa commedia di frottole, antecedente di tre secoli abbondanti l'evo gaddiano. Trovo significativo che uno studioso come Federico Bertoni abbia preso a prestito questo lavoro di Gadda per intitolare un suo importante volume, La verità sospetta. Gadda e l'invenzione della realtà. Il nodo tra letteratura-verità-realtà è la base di qualsiasi ragionamento attorno a Gadda e il nostro sembra aver puntato un dito già negli anni in cui a Roma si occupava di radio e traduzione. Claudio Vela conclude il suo accuratissimo intervento scrivendo:

"Parlare di 'traduzione' è convenzionale, davanti a questa spregiudicata operazione di presa di possesso. Così Gadda risolve a suo modo nella prassi, senza proclami teorici, il problema della traduzione. Se la traduzione è un mestiere difficile, o addirittura impossibile, Gadda si ritaglia una soluzione, per quanto troppo originale per essere esportabile: ridurre a sé (ma ci vorrebbe un verbo non riduttivo, forse 'elevare') il diverso da sé. Come un Mida della letteratura, Gadda trasforma in Gadda tutto ciò che tocca".

Senza proclami teorici. Appunto. Oggi, a quarant'anni dalla scomparsa, abbiamo forse meno bisogno delle etichette gaddiane che troviamo precise e vibranti anche in Contini, il quale resta comunque una strettoia irrinunciabile per avvicinare il gomitolo-Gadda. Oggi dobbiamo sicuramente fare a meno di pensare alle molte (troppe?) categorie che hanno provato a sgomitolarlo, non da ultima quella sterile, arida e facilona del "virtuosismo linguistico". Certo, Gadda non è facile e per certi aspetti si fa fatica a spiegare il suo successo (non limitato ai confini italiani) degli ultimi decenni. Tuttavia, solo negli ultimi tempi è talora invalso un pericoloso avvicinamento e proporzionalità diretta tra la facilità di accesso alla letteratura e la sua rilevanza storica e sociale. La fatica, il sudore che esce dai pori leggendo Gadda, non è però da considerare inutile sovraccarico, ma liberazione da tossine. La stessa sua somma sensibilità per la questione linguistica, bussola o Holzweg-dannazione di tanti grandi autori italiani, ce lo dimostra. A quarant'anni dalla morte potremmo provare a ricordare questo grande del Novecento tentando le prime note di un inno alla buona fatica. Chissà che suono avrebbe... Intanto del nostro non si occupa la musica bensì il cinema: per questa ricorrenza sta per uscire il film di Mario Sesti Fiamme di Gadda. A spasso con l'ingegnere.

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