mercoledì 15 maggio 2013

"Un romanzetto lumpen" di Roberto Bolaño e "Il futuro", il film di Alicia Scherson

A luglio saranno trascorsi dieci anni dalla morte di Roberto Bolaño, avvenuta in un ospedale di Barcellona, mentre era in attesa di un trapianto di fegato. E in via neanche troppo ufficiosa ci si appresta a ricordare l'autore cileno scomparso a soli cinquant'anni e approdato in Italia dapprima grazie alle cadenzate proposte di Sellerio e ora saldamente fatto proprio da Adelphi. Il nuovo libro proposto da quest'ultimo editore non ha nulla a che fare con la mole dell'incompiuto 2666. Si tratta di un romanzo breve (pp. 119, euro 14, traduzione bella e convincente di Ilide Carmignani) dal titolo quasi dimesso di Un romanzetto lumpen (Una novelita lumpen nell'originale). Come recita la bandella che l'editore ha deciso di accostare al romanzo, stratagemma ricorrente quando si è in odore di prime cinematografiche, da questo libro è tratto il film Il futuro della regista cilena Alice Scherson, nelle sale italiane dal prossimo mese di giugno. "Futuro" è in effetti parola-chiave di questo breve romanzo e sicuramente non era pensabile di intitolare un film partendo dal titolo del libro o attorno alla parola "lumpen", che rimanda agli stracci, ai cenci, al "lumpenproletariat" di Carlo Marx. In italiano, e nello scenario di Roma in particolare dove il libro è ambientato, potremmo anche parlare di "populino".

Un romanzetto lumpen, come sottolinea quell'aggettivo ricercato lasciato non tradotto nel titolo, è in sostanza una storia di ambientazione proletaria, da borgata romana, anche se tutto sembra andare oltre le pastoie che inchiodano talvolta le storie nei tempi in cui sono ambientate. Bianca, l'io narrante e protagonista di queste pagine, e suo fratello rimangono orfani dopo l'incidente stradale dei genitori avvenuto in un'orribile strada del Sud. Da quel momento la loro vita nell'appartamento romano prende una piega che scivolerà verso la delinquenza (l'incipit del romanzo è però: "Ora sono una madre e anche una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente."). Le giornate slittano in una routine snervata fatta di lavoro, come lavateste lei e come factotum di palestra nel caso del fratello. Si guarda molta tv (e i videonoleggi hanno una parte da leone nel romanzo!). Nell'appartamento si insediano presto due amici del fratello, il "libico" e il "bolognese". Non sono ladri, a quanto pare, sono maniaci della pulizia, a turno entrano di notte in camera di Bianca per fare sesso. La situazione economica peggiora nel giro di poco tempo. Ad un certo punto si decide che Bianca deve entrare nella casa di Maciste, un ex campione di culturismo e ex Mister Universo, ora cieco. Deve allietarlo e ha al contempo una missione ben precisa: scovare la cassaforte di Maciste. Si applica con dedizione al compito, negli intervalli tra il sesso e una doccia, ma senza trovarla. Eppure, proprio nelle stanze di Maciste sembra baluginare l'esile sfregare di fiammifero di una storia d'amore, chiusa schiacciata e compressa dallo squallore delle scene che precedono e seguono gli incontri tra Bianca e Maciste.


Il romanzo, o romanzetto, fu pubblicato nel 2002 quando Bolaño era ancora in vita. Gli scrittori della scuderia dell'editore erano stati inviati in varie capitali europee. A scrivere. Il nostro scelse Roma, e qui vi ambientò la sua storia "lumpen", che a noi potrebbe apparire latamente pasoliniana. Nel 2005 Sellerio lo fece tradurre a Angelo Morino e lo pubblicò con un titolo significativamente diverso e per certi aspetti difficilmente spiegabile: Un romanzetto canaglia. Ora, dopo due edizioni italiane nell'arco di un decennio, ecco che arriva il cinema con il film della connazionale di Bolaño, Alicia Scherson, a marcare il decennale della scomparsa. Per l'epigrafe Bolaño scelse Antonin Artaud: "Tutta la scrittura è porcheria. Le persone che escono dal vago per cercar di precisare una qualsiasi cosa di quel che succede nel loro pensiero, sono porci. Tutta la razza dei letterati è porca, specialmente di questi tempi." Come varierebbe quest'epigrafe di fronte a una scrittura doppia, che oggi sembra guardare come Giano bifronte sia alla letteratura che al cinema? Che avesse davvero ragione Antonin Artaud che toute écriture est de la cochonnerie? Questo romanzetto assai breve quasi implora tutta la vostra porca attenzione, soprattutto se vi capita di pensare al futuro, come la protagonista Bianca:

"[...] In fondo io pensavo sempre al futuro. Ci pensavo talmente tanto che il presente era entrato a far parte del futuro, la parte più strana. Andare a trovare Maciste era pensare al futuro, sudare, chiudermi in stanze dove il buio era assoluto, era pensare al futuro. Un futuro che assomigliava a una stanza qualunque della casa di Maciste, ma più luminosa e con i mobili protetti da lenzuola vecchie o coperte, come se i padroni di casa (una casa che era nel futuro) fossero partiti e non volessero far accumulare la polvere sulle loro cose. Ecco qual era il mio futuro ed era così che ci pensavo, se quello si può chiamare pensare (se quello si può chiamare futuro)."

3 commenti:

  1. Che bello il passo finale :)

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  2. Arrivo da Twitter, e resto perché "lettore dalla palpebra pesante".
    Sarà il mio primo Bolano!
    Buona giornata ;)

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