domenica 2 giugno 2013

Alberto Bertoni e le poesie di "Ricordi di Alzheimer"

Ripescaggi #24


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Oggi pensavo ai rapporti tra poesia e malattia e, anche se su Librobreve sono stati frequenti i ripescaggi di vecchie recensioni negli ultimi tempi, ho deciso di proporvene un altro (prima o poi vuoterò il sacco delle recensioni a libri brevi fatte in passato). Quella seguente, ad esempio, è una recensione che scrissi ad un libro di Alberto Bertoni. Ricordo di aver ascoltato alcune delle poesie contenute nel libro dalla voce dell'autore, a Treviso, anni fa. La recensione, se la memoria non tradisce, fu scritta per il sito della rivista daemon. Il libro di cui parlo si intitola Ricordi di Alzheimer (Book, 2007, pp. 96, € 12, ancora reperibile).
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Il titolo di quest’opera poetica di Alberto Bertoni è uno di quelli che mette subito in cortocircuito le nostre sinapsi, e non solamente per quel suo andamento ossimorico e paradossale. Se il morbo di Alzheimer distrugge memoria e ricordi (spesso punti di partenza o approdo del fare poesia), qui i ricordi di Alzheimer sono quelli di una stagione di una vita, degli affetti vissuti da chi conosce giorno dopo giorno la lacerante esperienza di vivere con una persona cara la cui memoria sta andando in frantumi.

Il tema è sicuramente di grande attualità letteraria (a vari livelli, in più generi) e la malattia è sempre stata una presenza forte tra chi scrive (non sono pochi gli scrittori presi a prestito dalla medicina). Mancava forse un libro di poesia che indagasse questo versante della malattia dei ricordi e della memoria, versante che si potrebbe leggere in modo speculare all’onnipresente cura per il tema centralissimo della memoria, con tutte le sue biforcazioni e i suoi rizomi. Esiste tuttavia un’autonomia inalienabile nell’affrontare questi temi che è propria della poesia. Se in narrativa tutto ciò che riguarda la memoria (in positivo o negativo) è quasi sempre funzionale alla costruzione della storia, dei personaggi (per non dire del raggiungimento di esiti comici o tragici), la poesia non può non mostrare una propria specificità nell’istante in cui avvicina i territori franosi e smottati dell’identità e della memoria colpiti dalla malattia. Nella poesia c’è la quotidianità del vissuto registrato dalla parola, che però non è una parola diaristica (nonostante il periodo di osservazione di dieci anni possa dirsi da diario). Nella poesia di Bertoni c’è quell’incidere tipico della musica che intaglia con agilità di un pizzicato tutte le stagioni del dolore in un tronco di vita e forse, non a caso, l’entrata in questo bosco terminale è affidata ad un prefatore d’eccezione e conterraneo dell’autore, Francesco Guccini.

In Ricordi di Alzheimer la descrizione della malattia lascia filtrare una lingua che pendola dalla vegetazione e ai profondi insegnamenti della geologia, dalle cose in moto alle cose immobili e che crea toni e sensi nuovi per il lettore: «Alza una vela di mollica / la mia faccia bastonata / sul vasto scioglimento del cervello / vecchio alle prese con se stesso, specchio / e lichene senza peso», «Riconoscere il fischio dei camion / Caronte sulla Genova-Livorno», oppure «Ridotto a una pianta di geranio / morta in un attimo, a gennaio».

Nel passaggio dove leggiamo «Ma come sono fatti i morti / con i quali tutti i giorni / chiacchiera mio padre?» avvertiamo con maggiore forza quella alienante comunione nella separazione che contraddistingue il rapporto tra il figlio e il padre malato che si sta spegnendo: poche volte ce ne rendiamo conto, ma il pensare la morte è tutto fuorché un’esperienza scontata. Il pensiero di una persona morta è qualcosa che avviene in modo quasi oltraggioso nel nostro cervello e in modo del tutto naturale quest’attività misteriosa di sinapsi ha trovato un suo posto nella poesia di Alberto Bertoni. Provare a raccontare la malattia e la morte con parole nuove, questo è il tentativo pienamente riuscito all’autore.

1 commento:

  1. cercavo poesie su questa malattia, grazie non sapevo di questo libro di alberto bertoni. mara

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