martedì 11 giugno 2013

da "Ablativo" di Enrico Testa

Una poesia da #21



La casa editrice Einaudi mi ha dato il consenso alla pubblicazione di un solo testo dalla recente raccolta Ablativo di Enrico Testa (pp. 136, euro 11,50). Credo che questa limitazione sia pienamente comprensibile. Tra le altre cose, si può convenire sul fatto che la poesia oggi pubblicata in gran quantità e frequenza su web rischia di diventare davvero un fenomeno caotico, un evento scompaginante: che sia anche questo il destino dello scrivere poesia? Che il colpo di dadi mallarmeano avesse previsto qualcosa di questo sviluppo? Tuttavia, tipograficamente, con la poesia di Enrico Testa non siamo lì. Aggirando allora il giusto vincolo di Einaudi, vi posso dire che potete leggere un secondo testo di questa raccolta cliccando e ingrandendo la copertina qui sotto, e potete trovare un'altra manciata di testi in anteprima nell'estratto in pdf nel sito dell'editore. Dico questo perché con quattro o cinque testi è probabile aumenti il desiderio di avere in mano e leggere fino in fondo questo bel libro. E poi, come sta bene con i libri che si hanno in mano, e non solo di poesia, si può passare alla rilettura. La scelta del testo che ho ricopiato qui sotto però non è per me casuale. Mentre leggevo questa breve poesia per la prima volta, pensavo alla Liguria e tornavo naturalmente su Montale. Un Montale bretone. In questo testo è evidentissimo il rimando all'avvio della nota prosa Farfalla di Dinard ("La farfallina color zafferano che veniva ogni giorno a trovarmi al caffè, sulla piazza di Dinard, e mi portava (così mi pareva) tue notizie, sarà più tornata, dopo la mia partenza, in quella piazzetta fredda e ventosa?"). La citazione, in negativo, sfocia in un'ironia che prende distanze da Montale per rinsaldarsi forse alla sua "tradizione" nel verso in cui accenna a un "capriccio della natura". Il richiamo e l'attacco allora è ironicamente corretto, come leggerete qui sotto. Profondo ed enigmatico, pur nella breve distanza che le separano, il legame che ravviso tra le parole "mano" (secondo verso) e "mano-vra" (penultimo verso).
Dopo aver apprezzato Pasqua di neve e la curatela di una delle migliori antologie di poesia uscite negli ultimi anni intitolata Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (utilissimi restano in quel libro alcuni dei cappelli introduttivi ai singoli poeti e fondamentali alcune inclusioni, come quelle di Michele Sovente, Angelo Maria Ripellino e Edoardo Cacciatore), ritroviamo Enrico Testa in una raccolta importante, che sembra porsi contigua al Vocativo zanzottiano, almeno nella curiosa titolazione che ricorre al più affascinante caso della lingua latina.
Da ultimo, prima di congedarmi e lasciarvi alle poesie, permettetemi di ricordare la traduzione che Enrico Testa fece del bellissimo High Windows di Philip Larkin, uscita nella stessa collana di poesia Einaudi che oggi ospita Ablativo e gli altri suoi libri. Se non l'avete già letta (Finestre alte, Einaudi, 2002), andate a cercarla e scoprite la bellissima poesia del "misantropo" delle West Midlands, quel bibliotecario che scriveva di jazz sul Daily Telegraph o, più semplicemente, The Master of the Ordinary, secondo la celebre formula attribuibile a Derek Walcott.



non portava notizie di nessuno
l'ape che ti punse la mano
nel camposanto di Dego;
né richieste di preghiere
o di suffragi e neppure 
una momentanea attenzione 
rivolta ai nostri passi. 
Era solo un capriccio della natura, 
una stizzosa manovra dell'insetto 
incattivito dall'afa

(E per sapere di più di quel - caproniano? - riferimento al toponimo Dego, potete andare qui).

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