venerdì 18 ottobre 2013

Andrea Zanzotto in "Luoghi e paesaggi": qui non resta che cingersi intorno il paesaggio qui volgere le spalle

A due anni di distanza dalla morte di Andrea Zanzotto, iniziano a riaffiorare alcuni scritti inediti o introvabili. L'augurio è che oltre agli scritti si riesca presto a leggere qualcosa della rizomatica corrispondenza che il poeta di Pieve di Soligo intrattenne e alimentò davvero incessantemente. Quello della corrispondenza, tratto comune a molti uomini e donne di letteratura, era in Zanzotto un aspetto particolarmente curato e sentito, e non solo con i grandi nomi della poesia e della cultura, bensì qualcosa di ancor più largo, una vera e propria cura del dialogo, per parafrasare un titolo di un saggio di Benedetta Craveri una versione sempre aggiornata e vivace di una "civiltà della conversazione". Escono in questi giorni gli scritti sul paesaggio selezionati e curati con rispetto e metodo da Matteo Giancotti. Il volume si intitola Luoghi e paesaggi (nei Tascabili Bompiani, pp. 240, euro 11) e raduna, riordinandoli, contributi di diverso respiro che vanno dagli anni Cinquanta ai Duemila. Vi trovate persino un paio di "reportage" viennesi del 1955, in occasione di un capodanno trascorso dal poeta nella capitale austriaca assieme all'amico Ettore Villanova. "Gli archivi, le bibliografie, le emeroteche e i microfilm con le annate di vecchi giornali hanno permesso di rintracciare i diciotto testi zanzottiani che compongono questo volume", si legge nell'introduzione intitolata Radici, eradicazioniSono quindi presenti alcuni testi inediti, mentre altri, come quelli dedicati a Venezia (tuttora spiccanti, a mio avviso, nel gran liquame di scritture dedicate alla città lagunare), si potevano leggere nelle pagine di Sull'Altopiano (Neri Pozza e poi Manni editore) oppure nel Meridiano Mondadori con le poesie e le prose scelte.

Siamo dunque, ancora una volta, posti innanzi al binomio Zanzotto-paesaggio. Personalmente, negli anni Novanta e Duemila, trovavo riduttivo l'invitare Zanzotto a intervenire principalmente quando si parlava di paesaggio. Quasi soffrivo per lui. Sia chiaro, Zanzotto si prestava a parlare di questo tema, ma allo stesso tempo mi sembrava lo fuggisse ad ogni passo, con quell'intelligenza felina, appena celata da un vibrare pronto dei bulbi oculari, che sa che non si può parlare di paesaggio senza vivere la drammatica contraddizione/antinomia del dire sul paesaggio nostro teatro. Qualche tempo fa, recensendo Sul vento che scorre di Kuki Shūzō, prendevo a prestito queste parole di Zanzotto: “[...] la tenuità di germoglio dello haiku presenta come suo clou [....] un non-luogo, un vago mancamento, un sussulto dolcemente ritualizzato, il non-rumore del senso che si affaccia dentro il nonsenso della natura quasi a volerlo preservare, perché la natura deve ‘abitare’ in esso per restare madre di tutti i sensi”. Il donativo del paesaggio, il paesaggio con il quale ci si può cingere ("Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio / qui volgere le spalle" suona un suo distico entrato nella mia memoria e non imparato a memoria), presenta inalienabili "fantasie di avvicinamento" con il ragionamento che Zanzotto dedica allo haiku. Questo genere di discorsi sopra il paesaggio infatti rimane drammaticamente improbabile, quasi come il gesto del barone di Münchhausen che si salva dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli (immagine ripresa anche nella sua poesia più antologizzata, Al mondo). Come possiamo parlare del nostro teatro senza dire banalità, sciocchezze o ripetere cose trite e ritrite? Zanzotto fuggiva questi rischi con agilità di gatto, a volte uscendo dall'alveo di un discorso tutto incentrato sul paesaggio, per poi farvi fedelmente ritorno. In realtà non usciva mai da quell'alveo perché da quell'alveo non è possibile uscire: qui nasciamo, muoviamo i primi passi, balbettii, in quel teatro di suoni e colori (in questo passaggio trovate il motivo dell'ampia citazione con cui intendo chiudere questo scritto). Sicuramente il titolo illuminante della prima raccolta poetica, Dietro il paesaggio (1951), contribuì in via definitiva a legare il suo nome alla riflessione e speculazione sul paesaggio. Il suo impegno e le sue battaglie (anche vinte) fecero il resto. In realtà è questo un libro particolarmente interessante anche per capire i ripensamenti di Zanzotto, le sue radicali delusioni e la sua personalissima strage di illusioni in tema paesaggistico (e anche attorno al concetto di "natura"). Oggi il tema è quantomai attuale, almeno sulle pagine dei giornali, meno nella vita di ogni giorno. Allo stesso tempo però non v'è occasione migliore di questa per dire e ribadire con forza che Zanzotto non fu soltanto il poeta del paesaggio. Sarebbe oltremodo riduttivo e non deve passare ai posteri solo questo messaggio. Ed è questa convinzione che un lettore può ricavare dal susseguirsi degli scritti e dall'accorta nota introduttiva di Matteo Giancotti e qui risiede quindi uno dei molti meriti del libro, che riesce a ribadire questo concetto rimanendo dentro il paesaggio e i luoghi.

Scrive il curatore: "Notoriamente, quasi proverbialmente Zanzotto è il poeta del paesaggio. Si ritiene che in tutta la sua produzione poetica il paesaggio sia il tema prevalente. È, a ben vedere, un’opinione difficile da smentire, anche se bisognerebbe proporre, per questo luogo comune non infondato, alcune considerazioni “correttive”". Lascio al lettore dell'introduzione il piacere della scoperta di queste considerazioni "correttive" apportate da Giancotti e ampiamente condivisibili. Qui si noti soltanto che come i grandi artisti, Zanzotto ha subito puntato il dito verso qualcosa. Lo ha fatto presto, già con il titolo della prima raccolta. Ha iniziato quindi a "paesaggire" molto, come vuole il suo celebre neologismo. Da lì il suo passaggio nel paesaggio non ha mai smesso di sgorgare poesia, anche quando in certi momenti è arrivato a cancellare sulla pagina la parola "paesaggio" stessa (accadeva in Sovrimpressioni: "No, tu non mi hai tradito, [paesaggio] / su te ho / riversato tutto ciò che tu / infinito assente, infinito accoglimento / non puoi avere: il nero del fato /nuvola / avversa o della colpa, del gorgo implosivo"). Infinito assente, infinito accoglimento: forse poteva titolare anche così questo volume. Questi versi riportati servono anche a saldare il parallelo succitato con le parole dedicate da Zanzotto alla forma dello haiku. Rimane nota la sua percezione testualizzata del paesaggio, sulla scia del Petrarca della Lettera del Ventoso (la premessa a quel volume uscito per Tararà è qui riproposta con il titolo Verso il montuoso nord). Eppure molto bisognerebbe dire sull'influsso delle arti figurative, dal padre pittore in Cal Santa a Pieve di Soligo, i Paesaggi primi (che ho sempre letto come un'immagine matematica, paesaggi divisibili solo per sé stessi o l'unità come i "numeri primi"), i salienti collinari che apparvero dietro i quadri di Cima da Conegliano (Un paese nella visione di Cima titola uno scritto del 1962 qui finalmente disponibile) o Giorgione (scelto per la copertina di un libro chiave della sua vicenda editoriale, l'Oscar Mondadori curato da Stefano Agosti). E volendo potremmo metterci persino la "lacanizzazione" del paesaggio.

Io sono di parte e devo fare attenzione quando scrivo su Zanzotto. Metto in guardia il mio gentile lettore. Ho amato questo poeta e la persona che viveva dall'altra parte del Piave. Mi auguro che questo libro di "interventi" sul paesaggio e sui luoghi possa rafforzare la convinzione, finalmente diffusa, che con Zanzotto siamo in compagnia del più grande poeta del secondo Novecento. Se con questi scritti conosciamo il bellissimo lato del Zanzotto in prosa, alla fine sempre al lato del poeta facciamo ritorno. Zanzotto ha scritto questi interventi da poeta. E quando si è fatta spazio la convinzione che forse con lui eravamo in compagnia di uno dei più grandi del secolo? Zanzotto, che era persona umile a differenza di altri poeti, sapeva che il cosiddetto "salto di qualità" nella ricezione della sua opera avvenne anche grazie all'interessamento di Gianfranco Contini (ci sarebbe da approfondire anche la conoscenza di Zanzotto fuori dai confini italiani, aspetto tutt'altro che secondario). Se non vado errato siamo all'altezza de La beltà (1968), e l'interesse continiano sfocia dieci anni più tardi nella memorabile premessa a Il Galateo in bosco, quella del "poeta ctonio", quella posta davanti al libro "completo" del 1978, incipit di quella trilogia che s'arricchirà di Fosfeni (1983) e Idioma (1986). Ecco, credo che se non si fosse mosso Contini in favore di Zanzotto, oggi questi scritti contribuirebbero a fare parte di quel lavoro di avvicinamento tra la sua scrittura e i lettori. Penso sia un merito non secondario che va attribuito a questo volume di Bompiani, sulla scia del grandissimo merito che ebbe Contini. Il paesaggio non ha mai abbandonato Zanzotto, nemmeno mai tradito, ed è prepotentemente rientrato nell'ultimo libro di poesia pubblicato nel 2009, Conglomerati. Qui leggiamo delle "Crode del Pedrè" e del canyon scavato dal torrente Lierza (lo stesso che passa per il noto Molinetto della Croda in località Refrontolo) in quel lembo di paesaggio tra la sua Pieve e Collalto di Susegana. Questo libro ottimamente curato da Giancotti diventa allora un greto splendido e luminoso, a tratti buio come un orrido, che percorre le anse del suo pensiero, della sua fantasia e immaginazione, che passa sotto i massi-costellazioni per affacciarsi sicuro sull'immenso donativo della sua poesia. La portata d'acqua - fuori di metafora: l'esperienza di lettura della sua produzione - non potrà che essere aumentata dopo aver digerito anche questi saggi (che pur sanno vivere in bellissima solitudine). 

In chiusura vorrei soltanto segnalare l'interesse che riveste Outcasts (Prosa poetica su Cecchinel), brevissimo testo dedicato e dato in mano al poeta del "Lago (senza'altro nome)", l'"elfo martirizzato" della riviera dove sopra i ghiacci dei laghi (sono due i laghi di Revine) fioriscono rose anche a Natale. Partendo da una poesia di Al tràgol jért di Cecchinel, il libro dove il poeta dal "guardare, fissare miope che protende in avanti il volto con gli occhi verdini strizzati" impasta il dialetto delle Prealpi trevigiane con Trakl, Apollinaire e Esenin, Zanzotto sembra abbandonarsi a dei ricordi "primi". Questa l'abbondante citazione che avevo anticipato qualche riga sopra:

"Vorrei rivivere il suono della parola, toponimo, Tóvena come l’ha sentito lui nello stupendo componimento del Tosat de crosèra – incantevole poesia, cui vorrei rispondere con un’altra poesia nel nostro dialetto, sull’instabile asse che unisce il Punto Mio e il Punto Suo del dialetto comune, in lui più antico e insieme (o per questo?) più giovane.
Certo mi ha aperto l’invito di una Tóvena che mi nutrì per tanti anni: e per di più mettendole vicino una Nàdega a me del tutto ignota ma quasi presentita. – Doveva esserci, come quella ragazza dagli occhi di «viole smaride», che era insieme un «pra biondo».
Ho avuto qui svelato uno dei più bei misteri della mia prima giovinezza e adolescenza, di tutti i viaggi in bici fatti a San Boldo. Quella io cercavo, quella ragazza, smarrita poi dal suo tosat de crosèra, e forse ritrovata in quel mondo di continue eruzioni della visualità, dell’inventività, del sogno per sogno per sogno.
Ed ora la ritrovo qui, fissata e rivelata in due versi e c’è, ed è inesauribile, indecostruibile. 

E vorrei che fossimo in tre (Palazzeschi eravamo in tre) a girare per i valloni a cercarla, oltre Tóvena, per sempre. Anche a costo di finirla come outcasts perfetti?".

Ripreso questo passo di Zanzotto su Cecchinel, io ho bisogno di un video dove ascoltarlo. Lo pesco indietro negli anni. Rai Due si legge in basso a destra...


4 commenti:

  1. Visto poco in giro oggi, a due anni ESATTI dalla morte......... bello il video! Che voce :))

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  2. Mi informa il curatore Giancotti che nella puntata di oggi di Fahrenheit di radio 3 ha parlato del libro assieme a Gian Mario Villalta. Forse a breve trovate il podcast se vi interessa

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  3. Dimenticavo poi questo (imperdibile, sempre dall'archivio Rai.tv):
    http://www.youtube.com/watch?v=s0W_FZtHwGU
    La trascrizione di questo discorso di Zanzotto tenuto nei pressi del Molinetto della Croda di Refrontolo costituisce uno dei contributi del libro curato da Matteo Giancotti e qui recensito.

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  4. Sono tornata a questo tuo articolo dopo tempo, ti ringrazio Alberto. AL

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