lunedì 7 ottobre 2013

Robert Brasillach. Su alcuni libri e sulla sua "fortuna" in Italia

Desiderata #2
Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #17


Bisognerebbe ormai riconoscere senza troppi timori che nel secolo scorso molte tra le penne migliori appartennero a intellettuali e scrittori "di destra". Prima che si alzino non desiderate lodi da destra o gli scudi della sinistra permalosa riporto l'attenzione sulle parole da me usate: "penne migliori" e non "pensieri migliori" (c'è poco da antologizzare nel "pensiero" novecentesco). Se da un lato registriamo l'esistenza di penne che all'estremità contenevano una bella sfera mobile, di vari spessori e sfumata, dall'altro lato, all'estremità delle penne, troviamo non di rado una monolitica palla. Anzi, diciamocelo pure: due palle. Volendo spiegare questa situazione si potrebbe ricorrere alla libertà concessa da un certo individualismo metodologico tipico della destra da un lato e all'irreggimentazione d'apparato riverberatasi pesantemente sulla scrittura dall'altro lato. Pensate a uno scrittore come Céline. Siamo tutti consapevoli di quali flatulenze di pensiero sia stato capace, ma allo stesso tempo, con ammirazione, lo riteniamo quasi universalmente, almeno in Europa, uno dei più importanti scrittori del Novecento. Parimenti forse potremmo riconoscere maggior interesse nella scrittura di un Lukács delle opere più d'occasione, quand'è lontano dai progetti più ambiziosi. Questa mia è ovviamente una semplificazione drastica, così come il mio esordio è una generalizzazione altrettanto drastica (magari dovuta anche al fatto che all'Italia sono irrimediabilmente mancati dei Koestler o degli Orwell?). Però tutto questo mi serve a dire, non senza rammarico, che uno dei grandi mali della sinistra - almeno in Italia - è stato, oltre a quel fastidioso piglio civilizzatore che qui da noi si porta ancora dietro come un marchio di fabbrica detestabile, il non saper essere stata protagonista di una scrittura e di una retorica convincente, innovative e al passo coi tempi (non penseremo mica che un sindaco rampante di una importante città toscana tolga le castagne dal fuoco a questa retorica ormai compromessa?). E quest'incapacità la sinistra sembra scontarla ancora oggi, con la differenza che anche da destra, ormai da molto tempo, da oltre mezzo secolo forse, ci si sta appiattendo e sterilizzando, con una perdita evidente per tutti e per il dibattito, che forse potrebbe rigenerarsi a partire da un gesto semplice, quantunque imbarazzante per molti: sbarazzarsi delle frecce di destra e sinistra. Farlo una volta per tutte. Magari cambiare anche l'architettura dei parlamenti, a cerchio anziché a semicerchio, così non esiste più una destra e una sinistra e la seduta diventa libera...


Pensavo a queste cose cercando di approfondire la vicenda editoriale di Robert Brasillach nel nostro paese. Sembra infatti caduto un veto sulla sua produzione. In questi anni di scarso "cinema visto" per me, cerco di sopperire malamente con qualche "lettura di cinema", e mi sono imbattuto sulle sue critiche cinematografiche e di striscio sulla sua Histoire du Cinéma che non ha certo avuto grandi fortune qui da noi, a quanto pare, anche se si contraddistinse per innovazione di approccio e sguardo. (Eppure non mancano case editrici attente al cinema, l'arte del Ventesimo secolo come l'ha definita qualcuno.) E così Brasillach è finito nel sottobosco editoriale dell'estrema destra, lo stesso che ha accolto sotto certe luci e echi pensatori come Mircea Eliade. Libero da certi preconcetti, ancora una volta, sembra essere stato Vanni Scheiwiller, che nel 1974 pubblicò il libello André Chénier (pp. 66, traduzione di Clara Morena, introduzione di Franco Maestrelli). Il piccolo saggio che Brasillach dedica al poeta del Settecento assomiglia da vicino al classico libro che si scrive "nel presentimento di". Così come Chénier fini gligliottinato, anche Brasillach, di lì a poco, finì giustiziato a Montrouge nel febbraio 1945 su mandato di De Gaulle e a poco valsero gli appelli "pesanti" di molti intellettuali per salvarlo. Ho come l'impressione che il riaccendersi di una lampadina su Brasillach potrebbe essere salutare anche al dibattito italiano. La cosa buffa, almeno per quel che concerne l'editoria italiana, è che ad esempio si trova tradotto Intelligence avec l'ennemi: Le procès Brasillach di Alice Kaplan per Il Mulino - sulla scia di un importante premio vinto dal libro - quando è facile che qualcuno si chieda "ma chi era questo Brasillach?" o "da dove salta fuori?".

Ma non voglio dilungarmi oltre. Ho scritto queste righe per un paio di motivi: perché è bene che si riconosca questa cosa della scrittura "di destra" spesso più convincente e avvincente di quella che veniva dalla sponda opposta (almeno nella prima metà del Novecento) e poi per riportare l'attenzione su Brasillach. Chissà che qualche editore serio possa prendersi la briga di farlo conoscere al lettore italiano, magari proprio a partire dagli scritti di cinema (tra l'altro non mi pare versi in condizioni entusiasmanti la nostra critica cinematografica). E poi, se qualcuno è fortunato, può ripescare quel libretto pubblicato da un editore vero come Scheiwiller. In fondo, anche con Drieu La Rochelle il veto è caduto e abbiamo scoperto uno scrittore altrettanto vero.

(Su Brasillach vi rimando infine a questa pagina del sempre interessante Lankelot.eu.)

2 commenti:

  1. Seguo questo Blog da un paio di mesi trovandolo abbastanza interessante e fatto bene. Strano non sia pieno zeppo di commenti come altri Blog di libri e letteratura. Un saluto.

    Matteo

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  2. Caro Matteo, grazie di seguire e per le parole. Per i commenti: forse Librobreve non è così interessante come lo trova lei, si vede. Le confesso comunque una cosa: faccio volentieri a meno di perdere minuti preziosi delle giornate a moderare l'aggressività verbale gratuita e sterile che si scatena nello spazio commenti di certi lit-blog. Un saluto a lei. Alberto

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