giovedì 14 novembre 2013

Pierluigi Cappello: "Azzurro elementare", "Questa libertà" e un numero della rivista "Atelier"

Riviste #2

Avevo detto che ogni tanto, per cambiare passo, avrei parlato di riviste-libri o libri-riviste. Il numero 71 della rivista "Atelier" (caspita, che longevità: anno XVIII, numero 71, fa quasi paura questa durata, non comune tra le riviste letterarie che spesso nascono e muoiono più celermente) è intitolato Il fattore X ed è dedicato per la quasi totalità a Pierluigi Cappello. La rivista già da tempo ha trasformato le uscite in monografie. Questa su Pierluigi Cappello coincide con un momento significativo della vicenda editoriale del poeta friulano, visto che nel mese di settembre Rizzoli ha mandato in libreria simultaneamente due titoli, Azzurro Elementare e Questa libertà. La monografia di "Atelier" diventa allora uno strumento utile per addentrarsi nella bibliografia che sta finalmente crescendo attorno questo autore, il quale sa davvero parlare ai suoi lettori (e con "parlare" intendo quasi un'accezione prossemica, come di un gesto delle mani inglobato nei versi).


Se Azzurro elementare è il libro giusto per raccogliere in un unico luogo i molti libri di poesia del poeta di Chiusaforte, alcuni dei quali diventavano ormai difficilmente reperibili, pur nel buon momento scandito anche da recenti premi importanti, Questa libertà (Rizzoli, pp. 182, euro 16) si presenta invece come la prima prova di narrativa, una vite che si imbullona saldamente in una manciata di racconti importanti, che non mancheranno di toccare in tanti nervi i lettori e dove seguiamo l'autore dall'infanzia alla scuola, dalla famiglia alla vita da solo, nelle varie fratture-traumi dell'arrivo del consumismo, del terremoto e nell'infortunio seguito all'incidente in motocicletta. Dicevo anche di "consumismo", ma Pasolini non c'entra stavolta o c'entra fin là. Potrete scoprirlo. Questa libertà resta, a ben vedere, la vera novità di questa stagione di libri. "In questo libro è raccontata la storia di come una libertà, la mia, sia germinata dai luoghi vissuti da bambino e poi abbia preso il volo dal mio incontro con la lettura. Così queste pagine, nei mesi, sono diventate un’ossessione, la scrittura mi ha torto il collo e ha costretto il mio sguardo nei luoghi felici dell’infanzia o a muovere i miei passi dentro dolori intensi che pensavo di avere rimosso." In effetti si torna molto spesso all'atto della lettura in questo libro. Non è scontato. Anche l'immagine di copertina cerca di introdurci a questa antica pratica, oggi in rapida e accelerata mutazione.


Azzurro Elementare. Poesie 1992-2010 (sempre Rizzoli ma all'interno della BUR, pp. 256, all'invitante prezzo di euro 10) spunta come una pietra miliare dall'erba di un ciglio, nella vicenda editoriale del poeta friulano. Non che mancassero editori di peso: Assetto di volo e Mandate a dire all'imperatore sono in catalogo Crocetti, editore che tra l'altro ha da poco fatto uscire un'altra grande voce friulana, introdotta da Cappello stesso: Ida Vallerugo e il suo Stanza di confine. Tuttavia conosciamo tutti cosa può significare un libro come questo inserito all'interno della rinnovata BUR (non piacevolissima, almeno per me, la sensazione tattile del nuovo cartoncino scelto per le copertine della collana). Sulla poesia di Cappello si è iniziato a scrivere, anche se non in modo sistematico come con altri poeti della sua generazione, mi pare. Sicuramente è una poesia che, come detto, è riuscita a farsi leggere molto più di altre. Se quest'impressione di una contenuta attenzione critica è vera, la ragione va forse scovata nella sensazione di "facilità" del poter dire della sua poesia. Tanto facile che pochi si cimentano seriamente. Si tratta di un autoinganno (e solo partire da un'analisi combinata dell'impiego di dialetto e italiano in Cappello metterebbe in crisi molti). L'asticella del salto in alto non sta tra il facile e il difficile. L'atto di tenere in mano la penna, la matita, per questo poeta che spesso ci incanta con le sue vocali, il suo vero "assetto di volo" (antico sogno di Cappello quello di entrare in aeronautica) hanno in effetti caratteri felicemente evasivi. Si fa leggere Pierluigi Cappello, e anche questo non è scontato. Ma sa anche trovare una nuova forma alla segatura surrealista, la plasma con la lezione manuale e artigianale di taluni grandi del Novecento (Caproni in testa) e la fa vivere nei colori delle sue parole, negli "azzurri, sottilissimi", come quelli che si percepiscono dopo che è nevicato. Lascio spazio ad una sua poesia, dove trovo un po' racchiuse tutte queste mie bofonchiate teorie e visioni del suo scrivere. E se volete saltare la lettura a video, andata al video linkato sotto il testo della poesia: troverete la poesia letta da Cappello stesso.


Parole povere

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con un fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.



(A questo link potete ascoltare la poesia sopra trascritta direttamente dalla voce del poeta).

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