domenica 18 maggio 2014

Il carteggio tra Biagio Marin e Claudio Magris: "Ti devo tanto di ciò che sono"

 Quote #3

"To repeat or copy the words of another, usually with acknowledgment of the source." Questo il verbo "to quote". Ma in italiano "quote" è il plurale di quota, parola che mi interessa soprattutto nel senso della misura di un'altezza o di un lato. Citando e contestualizzando minimamente passi importanti, cerco un modo assai svelto di dar notizia di libri significativi, possibilmente brevi. Stando breve, pure io.


Per la cura di Renzo Sanson Garzanti pubblica Ti devo tanto di ciò che sono (pp. 460, euro 18.60), carteggio fitto tra due figure portanti della nostra cultura e del nostro tempo, Claudio Magris e Biagio Marin. Scrivo "nostro tempo" perché questo carteggio sta tutto inculcato nel nostro presente, anche se gli incartamenti di cui è composto partono nel 1958 per arrivare al 1985, anno in cui Marin morì, la vigilia di Natale. Leggiamoli i carteggi, tra vent'anni o anche prima non potremo più pensare di pubblicare e leggere i carteggi che anche oggi magari avvengono in altre forme, o magari dovremo pagare un pegno a Gmail e Yahoo per recuperare le lettere. Ma come cambia il carteggio? Cosa sono questi carteggi di grandi affetti, tra maestro e allievo? Che cosa vi passa? Vi passa davvero quello che ha senso far passare di due vite, vi entrano i momenti di pensiero più fondanti, quando ancora i pensieri stanno bollendo, vi entrano gioie e amarezze profonde, vi entra anche l'editoria, che non sempre farà una bella figura, lasciando sfogo a frustrazioni grandi. Magris si rivolge inizialmente a Marin con "Caro professore" mentre Marin risponderà quasi sempre con un "Caro Claudio", talvolta alternato da un semplice "Claudio", altre volte "Mio caro figliolo". Magris passerà più tardi a un "Caro Marin". Magris vede in Marin un unico padre, dal quale attingere forza, verità e salute. Marin forse sente nell'inquietudine di Claudio quella di un figlio (e il figlio morto di Marin, Falco, spesso adombra o illumina anche la prosa di queste lettere). Ho scelto di riportare una lettera di Marin, che parte tra l'altro da una lettera di Magris scritta in fretta e non ritrovata tra le carte del poeta di Grado. La seconda parte mi è sembrata importante, laddove parla dei geni della tradizione. E poi una poesia, scelta tra quelle dell'Elefante Garzanti curato proprio da Claudio Magris assieme a Edda Serra, da El vento de l'eterno se fa teso.


9.V.'59

Caro Claudio,

non voglio fare a meno di ringraziarti per la tua ultima, scritta in fretta, con una calligrafia da far disperare, ma, come tutte le tue lettere, dono di vita. Grazie.
Sì esiste davvero quel pericolo, per gli uomini spirituali, di naufragare nella superbia del superuomo. Ma bada che il problema psicologico è più complesso, più delicato di quanto ti possa parere. Anche Gesù ha conosciuto l'amarezza del sentirsi solo, e la rivolta contro l'ottusità del suo prossimo. E anche per il "trascende temet ipsum" avrei qualche parola da dire.

Quel temet ipsum non può essere trasceso se non in quanto esso non è una realtà naturale definita, ma è processo all'infinito. E questo processo, mio caro, non lo trascendi. Esso costituisce l'uomo interiore che via via si adegua a Dio. Se veramente ci fosse uno iato, Dio non avrebbe a chi parlare, dove incarnarsi. Non ti fidare di nessuno, neanche dei geni della tradizione, che hanno avuto anche essi i loro limiti e le loro contraddizioni. Ogni momento in cui tu non ti ripeta, in cui tu veramente pensi, ti trascendi. Vi ha una trascendenza concreta, che, come detto, è eterno processo, itinerario dell'uomo presente definito hic et nunc, fino all'universalità del divino, e una trascendenza astratta, più immaginata che pensata da certi mistici e poi contrabbandata da teologi. Tu tienti a quella concreta. - Sì, è anche vero che ogni nostra costruzione implica una nostra limitazione, un nostro imbozzolamento, per cui, ad un certo momento, perdiamo la libertà creatrice. Comunque, mio caro, scendi sempre alle "madri", alle sorgenti, e fa che tu possa sempre rinascere ed essere nuovo.


Con affetto ti abbraccia e saluta, 
Marin




Me a la vita crèo
ma nissun l'ha mai vista in viso,
ha misurào la màgia del so reo,
el so sgorgâ dal mistero inproviso.

I vol portâla in alvei de corente,
in condote d'assal, forsàe,
traverso munti e piane solesàe,
segondo el comandâ de la so mente.

Ela la ríe, la passa via lisiera,
cô no' la spaca duti i so struminti 
e la disperde ai quatro vinti,
e òmini e sità, sensa maniera.


Io alla vita credo; / ma nessuno l'ha mai vista in viso, / ha misurato la maglia della sua rete, / lo sgorgare improvviso del mistero. // Vogliono portarla in alvei di corrente, / in condotte d'acciaio, forzate / attraverso monti e pianure assolate, / secondo il comandare della loro mente. // Lei ride, passa via leggera, / quando non spacca tutti i suoi strumenti / e disperde ai quattro venti / e uomini e città senza maniera.

2 commenti:

  1. alberto, grazie, per la lettera (stupenda) e la poesia (stupenda anche quella).

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  2. Gentile Carla, grazie, fa piacere
    leggere commenti simili. Alberto

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