mercoledì 26 novembre 2014

"Atlantide" di Hart Crane. Poesie, prose e corrispondenze tradotte da Simone Maria Bonin

Librobreve intervista #49

Oggi propongo un'intervista a Simone Maria Bonin, traduttore e curatore del volume del poeta statunitense Hart Crane intitolato Atlantide (Thauma edizioni associazione culturale, pp. 238, euro 10). Mi risponde dall'Inghilterra dove vive e studia matematica e questa chiacchierata a distanza, per molti versi, è una boccata d'aria fresca.



Hart Crane (1899-1932)
LB: Hart Crane era scomparso dalla circolazione in Italia, pur avendo avuto in passato anche importanti edizioni (si ricordi soltanto quella di Guanda curata da Roberto Sanesi). Ci racconti del tuo avvicinamento alla sua opera, dando anche qualche coordinata su questo autore?
R: Ci sono autori che amano disperdere le proprie tracce. Hart è fra questi. Nasce in Ohio nel 1899 ed è figlio del nuovo secolo delle macchine, per la quali ha un forte interesse. Non nasconde la propria omosessualità e questo, nell’America puritana del tempo, gli rende la vita difficile. Si scontra continuamente col padre e vagabonda da un posto all’altro in cerca di lavori per sostenersi. Scrive nei ritagli di tempo e la frustrazione di non potersi dedicare alla Poesia lo perseguiterà tutta la vita. C’è un constate richiamo all’oceano nei suoi scritti. Crane è una vera e propria mere-maid, un compagno del mare. Alza la voce dai fondali marini aspettando un eventuale palombaro che ne percepisca il suono e si immerga e lo riporti in superficie, giusto per qualche istante. Ricordo di essermi avvicinato alla letteratura americana a 14 anni. I miei primi contatti furono con Leaves of Grass di Whitman, un libro che porto con me dovunque vada. Scoprii poi le impennate linguistiche di Cummings, gli scritti di Ezra Pound, per il quale ho una lieve ossessione e poi Masters, Moby Dick e infine gli ordigni esplosivi della beat generation, penso a Howl, Naked Lunch o Mexico City Blues. Un giorno lessi un commento di Ginsberg circa il lavoro di Crane, che non conoscevo. Lo chiamava un esempio di Stupidità e Genio fusi assieme. Mi informai sull’autore e incuriosito dal commento mi feci arrivare dagli Stati Uniti una vecchia copia dei Complete Poems di Crane, edita Doubleday Anchor Book. Non riuscivo a coglierlo. L’inglese di Crane è un inglese difficile, ricco di termini ricercati e riferimenti alchemici. Sta di fatto che c’era qualcosa in quel libro che richiamava la mia attenzione. Alcuni distici furono per me una rivelazione.
In quel periodo traducevo e scrivevo molto. Stavo lavorando a una traduzione del Prufrock di Eliot e delle canzoni di Blake. Così decisi di provare a mettere le mani su Crane. Fu un tentativo fallimentare. Non avevo né la capacità tecnica necessaria né una comprensione dell’inglese adeguata per renderlo in italiano. Decisi di mettere il progetto da parte, con il sogno e la convinzione che un giorno ci sarei riuscito e così è stato. 
Credo che il significato del verbo “leggere” sia un equivoco linguistico. Si guarda spesso a un libro come a un codice da decifrare e immagazzinare attraverso lo sguardo. Sono di un parere contrario. Il foglio in questo caso è il nostro corpo. Il libro, o qualsiasi altra manifestazione di linguaggio, porta in sé delle tracce, dei meccanismi iscrittori che ci scrivono. Ed è sempre il libro a scegliere il proprio “lettore” e non il contrario.


Vachel Lindsay (1879-1931)
LB: "Giovane" è una brutta categoria. Sembra più un ritrovato del marketing letterario, oramai. Resta il fatto che sei indubbiamente giovane. Da come ho percepito, questo tuo lavoro assomiglia molto al risultato di un innamoramento e folgorazione che ha cercato di concretizzare in un libro il tutto. Davvero è così? Altri innamoramenti e folgorazioni?
R: È davvero così e mi rende molto felice sapere che questo è quanto ne traspare. Atlantide è scritto in forma di preghiera, di canto liturgico, nel senso di pegno spirituale. La mia attività di lettore (iscritto – seguendo quanto detto prima) è molto carnale. È un continuo corteggiamento che parte dal primo contatto con la copertina di un libro e si addentra fra le pagine. Per dirla con G. Deleuze, cerco di mettere in contatto le mie macchine desideranti coi meccanismi del libro. Se gli ingranaggi combaciano scatta la scintilla. Mi sono sempre sentito in dovere di tradurre quegli autori che mi hanno dato una mano nel groviglio del mondo. Tradurre un autore è un modo di includerlo nelle proprie tracce, e prolungarne le risonanze. Riuscirci è una soddisfazione enorme. Mi chiedi se ci sono altri innamoramenti e folgorazioni in vista? Sì, molti.
Assieme a Gerardo de Stefano, ideatore della collana Rigor Mortis, stiamo svolgendo un lavoro di ricerca che va a mappare la letteratura europea e americana (al momento). Vogliamo individuare tutti quei nomi mai tradotti e dimenticati. Viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda ed è un piacere lavorare assieme. Purtroppo l’editoria del nostro paese non dà alcun valore a progetti come questo e la gente non è interessata alla poesia. Ma non ci importa molto. La RigorMortis nasce proprio per mettere in evidenza i cortocircuiti del mercato del libro in Italia. Il titolo è corrosivo e dà voce al fastidio che proviamo ogni qual volta vediamo gli stessi autori riproposti sulle vetrine delle librerie. Sempre più spesso mi accorgo di quanti contemporanei che pensano di aver scoperto linguaggi nuovi non facciamo altro che riscoprire vecchi poeti sconosciuti che hanno scritto le stesse cose decenni prima. Dovrebbero avere l’umiltà di pubblicare meno e tradurre di più, e di guardarsi intorno prima di invocare la sibilla del Linguaggio. Vachel Lindsay, volume primo della Rigor Mortis e tradotto magistralmente da Paola Roberta Berizzi, pure giovane, è un bellissimo esempio di quanto sto affermando. Un autore che ha anticipato la beat generation di più di 50 anni.

LB: Come nasce il rapporto con Thauma edizioni?
R: Ho incontrato Gerardo de Stefano e Serse Cardellini per la prima volta a Treviso, nel 2010, presentavano un loro libro a un serata di poesia organizzata da Marco Scarpa. Con Gerardo è nato subito un reciproco interesse. Siamo tipi piuttosto solitari e non sopportiamo la letteratura da circoli e club, che crea sempre meccanismi di potere critico molto pericolosi. Abbiamo continuato a sentirci, fino a quando mi ha parlato di quest’idea che aveva in mente da tempo. Seduti al bancone di un’osteria, Gerardo tira fuori dalla sua sacca un malloppo di libri vecchi e qualche appunto. Parla di autori andati dispersi, di rabbia per un mercato del libro che non funziona, del sogno di farsi tombaroli e rispolverare i tesori che nessuno considera più. Ne nasce la collana RigorMortis. Serse Cardellini dà alle stampe la sua traduzione di Edith Stein che aveva pronta da molto tempo. Paola Roberta Berizzi traduce magistralmente Vachel Lindsay. Paolo Galvagni si unisce al team con Nere sopracciglia di Taras Ševčenko. Insomma succede tutto molto per caso e abbastanza in fretta e siamo contentissimi d’essere riusciti a stampare 4 libri in meno di un anno e di averne molti altri in progetto.

LB: Rimanendo al tuo lavoro di traduzione, quali difficoltà hai incontrato nella scelta dei testi, nell'ottenimento di eventuali autorizzazioni e soprattutto nel confronto testuale con l'opera di Crane?
R: La scelta dei testi muove da due volumi principali. I Complete poems della Doubleday Anchor Book e un epistolario - The Letters of Hart Crane- curato da Brom Weber. Sapevo cosa mi sarebbe piaciuto includere nell’antologia e cosa invece preferivo tralasciare. Individuare i testi importanti è stato piuttosto semplice. Non ho dato troppo peso agli ultimi lavori di Hart, agli scritti dal Messico, né ai versi giovanili, mai pubblicati durante la sua vita. Atlantide comincia dalla presa di coscienza di Crane d’essere poeta, comincia dalla carne, e termina con Eos, dea dell’Aurora, sorella del Sole e della Luna, eppure lontana, è divinità che sorge ogni mattina dal confine ultimo degli oceani e risplende. È inoltre Madre dei venti e per questo causa delle nostre navigazioni. Quello che io credo sia la poesia: né apollinea né luna bianca, come definita da Graves, ma piena resurrezione dell’alba e costante moto di materialità e linguaggio.
Il confronto testuale con l’opera di Crane non è stato affatto semplice. Fortuna vuole che il mio stile personale si avvicini abbastanza alla sua ritmica, pure se completamente differente. Per darne una breve analisi, credo sia utile suddividere il verso di Hart in tre tipologie diverse. C’è un Hart Crane simbolista, dove l’arcano della parola è indissolubilmente legato alla parola stessa. È il Crane di Edifici bianchi, quello per me più difficile da tradurre. Qui la ritmica passa in secondo piano ed è la densità di significati che la fa da padrone. Ha richiesto un’attenzione maniacale al linguaggio. Ci sono testi in Edifici bianchi dove la volontà alchemica di Crane di manipolare la magia delle parole sfocia in risultati particolarmente estremi e intraducibili: penso a Lachrymae Christi o a Recitativo. C’è poi il Crane epico-simbolista ad ampio respiro. È il Crane del Ponte. Gli arcani sono legati al simbolo dell’opera, i versi sono invece epici, fluviali. Lo stesso Crane afferma come il distendere il verso scrivendo il Ponte l’abbia aiutato molto. Cominciava a sentirsi costretto. C’è poi un terzo Crane. È il Crane mitologico e prosaico di Eternità. Eternità è una narrazione del diluvio, un uragano che colpisce l’isola dei pini a Cuba. Il tema è biblico, la simbologia è completamente rovesciata. L’uomo sopravvissuto trova conforto nel discorrere con arroganti soldati. L’apocalisse è raffigurata da due cavalli che si affrettano verso il mattino. Le lacrime che ne sgorgano sono di rassegnazione e di salvezza. “Tutto perduto, o ravvolto di grazia e mistero”.
Rendere la poesia polimorfa di Crane ha richiesto l’uso di ogni mia risorsa. Mi sono sentito messo alla prova tecnicamente sotto ogni aspetto. Non facile poi è stata la traduzione delle lettere. Ci sono passaggi decisamente ambigui dove l’uso della sintassi inglese è inconsueto e arduo da decifrare.


LB: Il libro che ci troviamo tra le mani, Atlantide, è un un'opera che ibrida poesia, prosa, interventi e bellissime lettere. Come ti sei mosso nel montaggio?
R: Atlantide in corso d’opera ha assunto molte forme diverse. L’idea iniziale era quella di pubblicare una selezione di saggi e lettere, escludendo le poesie, per paura che potesse trattarsi di una mole di lavoro esagerata. Il pensiero di scontrarmi con alcuni testi di Edifici bianchi e con l’unità primordiale del Ponte mi spaventava. Eppure era evidente che i saggi e le lettere, da soli, non bastavano; di Crane emergevano gli organi interni, mancavano le forme degli arti, mancavano i moti, le folgorazioni poetiche. Così iniziai a tradurne i versi. Non avevo però alcuna voglia di presentare all’eventuale lettore un’antologia di quelle che si sono sempre scritte, mantenendo stagne le opere poetiche e relegando lettere e saggi in epistolari che non legge mai nessuno. È un modello che non funziona e non serve. Crane inoltre è un autore che i più definiscono difficile e complesso. Mi sono deciso a districare questa apparente complessità su carta. Ho cercato di svolgere il corpo di Crane e creare una specie di superficie, un atlante, che permettesse al lettore di addentrarsi nei versi di Hart e di coglierne le scintille che li hanno fatti nascere. Assemblare un libro così che l’uomo e le lettere coincidano, perché è sempre il caso se si tratta di Poesia. Allo stesso tempo distinguere la vita dall'eternità e riaffermare la vita nell'eternità. Volevo che tra le pagine di Atlantide trasparisse quel ragazzo combattuto, dilaniato dalla dea della poesia e ferito dai traumi familiari, dalle situazioni e dalle necessità del quotidiano, dai compromessi. Volevo che trasparisse il modo in cui quell'entità che ci domina il cuore e che non riusciamo mai a definire, la parola, sconvolge la vita di un Poeta, come Crane. I versi sono crudeli. La poesia non concede spazi. È farmaco e veleno che non accetta rimedio, in una contorsione continua. Ne è nato un ibrido, come definisci tu. Un’antologia che attentamente intervalla lettere e saggi alle opere poetiche. Ho semplicemente seguito il mio istinto, cercando di non deframmentare troppo conglomerati come il Ponte e le suites di Edifici bianchi. Spero questo ibrido riesca nel suo intento.

LB: Non vivi in Italia, per cui immagino ti sia difficile promuovere e veicolare questa tua fatica. Ci riesci e ci provi comunque? Grazie.
Mi è molto difficile. Vivo in Inghilterra da ormai tre anni e mi sposto spesso. Torno in Italia di rado. La promozione della collana è portata avanti principalmente da Gerardo. Per ora stiamo organizzando varie presentazioni e all'orizzonte c’è qualche invito interessante. Purtroppo dobbiamo sempre guardare ai fondi, limitati, ed è importante credo, trovare persone che siano disposte a darci un po’ di visibilità. Sono fermamente convinto della validità artistica del nostro lavoro, della validità di quanto è stato fatto finora e di quanto verrà dato alle stampe a breve. Ti ringrazio moltissimo per questa discussione. 

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