sabato 23 maggio 2015

Tradurre in italiano Don DeLillo, Nick Laird, James Graham Ballard e molti altri. Intervista a Federica Aceto

Librobreve intervista #56

Chi di voi non ha mai captato e registrato il suo nome potrà far un salto qui e, con un colpo d'occhio assai rapido, scorrere la lista di libri che Federica Aceto ha tradotto in italiano. Sono molti e scommetto che qualcuno l'avete letto. Tra questi poi ritroverete titoli famosi di Don DeLillo, Ali Smith, Nick Laird, James Graham Ballard, Martin Amis o Alison Louise Kennedy. Di recente il nome di Federica Aceto si è sentito anche in seguito alle discussioni che hanno scoperchiato le situazioni di insolvenza di una parte dell'editoria nazionale. Ma qui Federica Aceto ha accettato di rispondere ad alcune domande sulla traduzione, sui miti già sfatati e quelli ancora da sfatare, su alcuni libri tradotti. Certo, non manca la domanda cosiddetta d'attualità. Il legame tra traduttori e case editrici in fondo è importante, così come quello tra case editrici e altre persone che orbitano attorno a queste con il proprio lavoro. Buona lettura.

LB: Vorrei iniziare con lo sfatare dei luoghi comuni o baggianate che si leggono sulla traduzione letteraria; da quel che ho letto nel tuo blog mi pare che tu abbia il carattere giusto per accogliere una simile richiesta. Ne potresti scegliere due?
R: Luoghi comuni e baggianate se ne sentono e se ne leggono su qualsiasi professione. Siamo sempre bravissimi a fare i lavori degli altri e siamo tutti CT della Nazionale. Ma forse è anche un po’ responsabilità di ognuno di noi far conoscere agli altri il nostro lavoro e sfatare alcune credenze sbagliate. C’è chi crede che siamo dipendenti di una casa editrice, o che basti conoscere discretamente una lingua straniera per poter tradurre un libro. Se poi intendi le baggianate che noi stessi perpetuiamo, ce ne sono tante, ma quella che mi sento di sfatare ora è quella della solitudine del traduttore: sì, lavoriamo da soli davanti a un computer, ma c’è anche molta solidarietà. Le invidie, le meschinità, l’incapacità di lavorare insieme per il bene comune ci sono come in tutti i settori, ma c’è anche molto senso etico, consapevolezza, maturità.
Poi si potrebbe parlare dei concetti di invisibilità e fedeltà, ma quelli sono miti sfatati già da tempo, ormai.

LB: Ora vorrei proseguire chiedendoti un paio di cose che raramente si ha il coraggio di ammettere, almeno fra traduttori, quelle cose inconfessabili che però più o meno tutti sanno.
Ognuno ha i suoi piccoli segreti: accettare tariffe basse per paura di uscire dal giro, lavori fatti male e in fretta, pesanti ritardi nella consegna, autolesionistica complicità con gli editori nella ripartizione dei finanziamenti alle traduzioni. E, di nuovo, l’assenza di un confronto non fa che ingrandire queste “colpe” facendoci sentire ancora più soli: è importante sentirsi liberi di parlare apertamente anche dei propri errori. Tutti ne facciamo. Tutti possiamo migliorare e prendere coscienza.

LB: Un libro tradotto che più ha lasciato il segno, anche e soprattutto come lettrice?
R: Ce ne sono due che ho amato moltissimo. Uno è Magic Kingdom, di Stanley Elkin, uscito per minimum fax nel 2005. E l’altro deve ancora uscire, per Bollati Boringhieri; si tratta di A Manual for Cleaning Women, di Lucia Berlin. Sono due libri molto diversi per tematiche, lingua e struttura, ma pieni di una sincerità disarmante, di quelle cose che quando le leggi continui a fare di sì con la testa da solo.

LB: Non ho mai fatto questa precisa domanda ad altri traduttori qui intervistati. Qual è stata la tua formazione? Cosa toglieresti e cosa aggiungeresti?
R: La formazione è un processo continuo e si fa sul campo: tradurre libri è un lavoro che si impara facendolo. La teoria serve a preparare meglio il terreno, ma alla fine ci vuole soprattutto tanta pratica vera. Per quanto mi riguarda, momenti chiave della mia formazione sono stati il fatto di vivere tanti anni in un paese dove si parla la lingua dalla quale traduco, l’esperienza, seppure brevissima (uno stage di tre mesi) nella redazione di minimum fax, e il confronto continuo con altri traduttori.

LB: Sempre nel tuo bel blog (raggiungibile qui), dove chiunque può farsi un'idea di quante e quali opere tu abbia tradotto, affronti davvero le tante sfaccettature di questo mestiere. Che cosa ti ha portato a creare questo spazio? È stato utile e, se sì, in qual modo?
R: Ho aperto questo blog un anno fa soprattutto per il bisogno di rallentare e articolare meglio certi ragionamenti che faccio tra me e me quando lavoro. Lavorando da soli, con tempi di consegna incalzanti, non abbiamo spesso modo di riflettere con calma, di mettere in parole certi meccanismi e ragionamenti che ci sono dietro le nostre scelte. Il blog è nato quindi soprattutto per un bisogno di chiarire meglio a me stessa certe cose e anche per confrontarmi con i miei colleghi o chiunque sia interessato alla traduzione. Ogni volta che pubblico un post infatti, ho sempre dei riscontri interessanti, anche se purtroppo avvengono più su Facebook che nella sezione dei commenti del blog, dove avrebbero una vita meno effimera. Ma non mi lamento, sono spunti comunque molto utili che mi arricchiscono.

LB: Su Twitter (e immagino anche su Facebook) è partito finalmente un tamtam per provare a portare alla ribalta il problema degli editori che non pagano. Si è letto un po' di tutto. Cosa vorresti aggiungere qui, avendo un po' più spazio di quello che ti consente un tweet o un altro breve post su un social network?
R: Questo genere di proteste pubbliche e pacifiche si rende necessario quando qualsiasi altro tentativo di comunicazione con il debitore (solleciti privati, ingiunzioni di pagamenti da parte del tribunale) fallisce. Non è solo una questione di soldi, ma anche di comunicazione. Se abbiamo parlato pubblicamente (e come abbiamo detto più volte non siamo stati i primi e di proteste pubbliche contro case editrici insolventi ce ne sono state diverse nel corso degli ultimi mesi) non è per desiderio di protagonismo o per mettere qualcuno alla gogna. Chi crede che sia così è libero di farlo, ma ragionare in questi termini è sterile e superficiale, è pura dietrologia. I fatti sono altri. I fatti sono i compensi non ricevuti, le e-mail e le ingiunzioni di pagamento ignorate, i finanziamenti alle traduzioni che non vengono usati per pagare i traduttori. I fatti sono la convinzione che il lavoro si possa pagare in visibilità. E tra i fatti c’è anche che nel nostro paese si legge poco, si comprano pochi libri e le politiche le campagne per promuovere la lettura sono deboli e fallimentari. C’è bisogno di nuove idee per affrontare questa crisi che non è solo economica, ma strutturale, è soprattutto una crisi di idee.

LB: Vorrei finire in bellezza. C'è un passaggio, un aforisma, un breve testo che secondo te meglio di altro dice di questo mestiere "vagolante" tra le lingue? Grazie.
R: Uno di Borges: l’originale è infedele alla traduzione.
Grazie a te.

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