venerdì 21 agosto 2015

"Non è un paese per poeti" di Klaus Miser: fallire la mia vita / è stata la mia ambizione più riuscita

Fin troppo facile pensare al titolo del libro di McCarthy, portato sullo schermo dai fratelli Coen. E nessuno infatti vi vieta di farlo, anche se il tutto vi porterebbe piacevolmente fuori strada. Non è un paese per poeti di Klaus Miser, pubblicato da Prufrock spa (pp. 70, euro 12) in tempi assai recenti, costituisce il primo vero libro di poesia di un'autrice ha fatto della dispersione versuale, del mutamento continuo e delle situazioni policrome in cui la poesia accade il momento per dire i propri versi. Potreste incamminarvi in questo libro scegliendo più tagli obliqui: gli alberi, ad esempio, con tutte quelle betulle, i faggi ("dei faggi al sole che vivono fuori dal cerchio del tempo") o le sequoie, oppure disponendo topograficamente i rigagnoli, i fossi e i canali di scolo, potreste immaginare triangolazioni geografiche che dalle nuvole britanniche vi riportino giù in Pianura Padana, alle "pozze adriatiche" e poi fino alla città natale, Pescara, seguendo le indicazioni precise di versi che spesso ricorrono ai singoli punti cardinali ("il collo a ovest / occhi chiusi a sud"). Potreste credervi a bordo di un'astronave che vi trasporta in neri buchi siderei e fra molte vocali e consonanti rimaste isolate, date, mesi e numeri, con un rinnovato gusto per l'acrostico e per il numero espresso in cifre che percorre l'intera opera (non sarà una coincidenza che la poesia a pagina 38 inizi così: "38 miglia a est del tuo addio / tutto mi parve più leggero"). Potreste anche decidere di volta in volta quale colore prevale nella tavolozza (pantone?) di Klaus Miser, chiedervi perché la macchina da presa si soffermi sugli sterni degli uccelli, su sigarette che terminano, oppure potreste passare del tempo a scoprire come si sparpagliano i moltissimi rimandi letterari inchiodati nel testo (nella nota iniziale si legge "Nel testo scintillano isolati versi di T. S. Eliot, J. Dos Passos, M. Foucault, A. Ginsberg, J. Kerouac, P. Vicinelli e E. Villa"). Insomma, potreste davvero divertirvi a leggere questo libro frugando molteplici traiettorie ma nessuno di questi percorsi, cavalcavia, bivi, sottopassi esaurirebbe la sorpresa di una proposta che s'affaccia sul panorama poetico italiano del 2015 con la contagiosa e progressiva vertigine di un libro pienamente centrato.

Il sacco delle parole di Klaus Miser svuota immagini trattenute nel viaggiare, vegetazione ("che resta del vigore di erbe infestanti / dei canti bronzei del tradimento / del cuore di una fornace"), elementi spesso orizzontali e liquidi dei paesaggi italo-britannici incrociati alla verticalità della vegetazione e del già citato albero, un "parlar per numeri" che come accennato ritorna sovente ("3 pappagalli alla sbarra / estasi di tabacco e samovar di antichi riti / 2 cugine di nome Heather / 5 metri quadrati di soffitti pieni di preludi e di muffa / i cieli del 27 aprile oltre i vetri"), frequenti inserti dalla lingua inglese (si arriva al floydiano "goodbye blue sky goodbye" o "day after day love turns grey" di "One Of My Turns"), frequenti ricorsi alla ripetizione (la similitudine introdotta da "come" è una presenza densa e fitta, ben distinta da quella che abbiamo imparato a riconoscere in Umberto Fiori, visto che qui è spesso anaforica e martellante), variazioni quasi fumettistiche come "[...] a come bocca come noia / come baiaaa inondataaa dalla mareaaa / come sergey che si ficca in negozio / avevo solo 17 anni quando annegai nel desiderio / della terra di ermione o semplicemente delle tue gambe [...]". Affiora un paesaggio derelitto, eppure traguardato da un occhio che ridisegna la bellezza che va cercando, come nella bellissima poesia di pagina 39 ("[...] mi regalavo sulla soglia del lago / prima del rigore dell’inverno alla pensione gabriella / in una vasca arrugginita credendomi fassbinder / e invece ero solo una lampadina avvitata male / e un cane a chiazze mangiato d’amore / o una sequenza palustre di nulla / tirata a lucido per questo film [...]"). Quel che accresce mano a mano che ci addentriamo nella lettura e nell'acrostico (le iniziali di un determinato gruppo di testi vanno a formare il titolo dell'opera) è la presa di coscienza di un fatto unico e stupefacente già per la mente di chi dice e scrive: accade infatti che il ricordo viene al mondo con la poesia e non accade che un ricordo sia, più genericamente, il punto di partenza di una poesia (che poi, a ben interrogarci, dove stia il "punto di partenza" di una poesia è un aspetto davvero misterioso e non necessariamente legato a discorsi di ispirazione ma appunto, più concretamente, di "punto di partenza"). Specularmente, nella già citata dispersione e variazione versuale di questi testi, vorremmo capire dove sta la parola FINE al lavoro di revisione e cambiamento, come nella pellicola di un film. Sono questi due aspetti, a mio avviso, i punti su cui questo libro posiziona bene il proprio tentativo d'esistenza. E se un ricordo viene al mondo con la poesia, significa allora che parlare, come spesso si fa, di "necessità della poesia" non è solo un modo di dire, bensì un modo di vivere. Ritornerò su questo aspetto tra non molto.


In questi testi popolati di facchini e greti, grembi e parietarie, in cui "eternità" si elide nel passo brevissimo di un verso in "eternit", l'ipermetro assume spesso una funzione di centralità, non solo topologica ma anche di senso ("già stato scritto de rerum natura allora la notte a rimini", il già citato "dei faggi al sole che vivono fuori dal cerchio del tempo") e senz'altro spicca il cromatismo insistente, continuamente ricercato, a volte ripetuto (la saliva ad esempio è sempre gialla). Colpisce davvero la tavolozza (o pantone), in alcuni casi ogni verso contiene un colore (succede ad esempio nella poesia di pagina 59, che non a caso incomincia e termina con "P delle mie miserie pantone"). Ciò che colpisce in seconda battuta, almeno ad un livello d'analisi successivo alla lettura, è il fatto che questi stacchi e scacchi cromatici convivono in testi che poi non risultano "carichi", tantomeno "pittorici". Il colore, le variazioni sul celeste, il pervinca o il porpora, sono allora agnizione privata di un personaggio o di un paesaggio più che epifania, apparizione più che scoperta ("morfologie fluviali del blu / orbitanti nel nulla e nel bianco"; "esecuzione random di celesti seriali / morti immolati / per salvare il pervinca"). A tal proposito va segnalata 
la consonanza con l'opera di copertina di Antonio Maria Zambianchi, racchiusa in un progetto grafico convincente nel suo complesso.

Naturalmente quel ricordo riaffiorante assieme alla poesia di cui si diceva ci parla di un sincronismo mentale capace di agguantare la memoria già all'interno di una forma, quindi all'interno di un passo metrico e linguistico caratterizzato da un continuo dialogo tra io e cosmo (si prendano anche solo le "stelle", qui "stelle invecchiate", e l'occorrenza di questa parola ed emblematica allora diventa allora la poesia di pagina 43). I nomi e le visioni di Emilio Villa e Patrizia Vicinelli citati in apertura dall'autrice sono allora più  che un'affermazione di debito e amore, ma un senso di nutrizione continua, e venga davvero l'ora che si leggano sia uno che l'altra. Ho scoperto da poco la poesia di Patrizia Vicinelli, quasi in contemporanea con quella di Klaus Miser e prima di iniziare a leggere questo libro. Quel che arriva parimenti da entrambe le fonti assomiglia molto al desiderio di porre la poesia al centro della vita o quantomeno trasformarla in ciò per cui permane un senso, farne letteralmente la cosa ("solo le donne e la poesia sono gli occhi di dio"), quella più importante, al di là del discorso performativo che effettivamente le accomuna. La poesia di Klaus Miser, ora emergente in forma di libro per Prufrock spa dopo anni di oralità autodistruttiva, pone anche un interrogativo violento a tanto versificare e al "dettato" (parola ambigua nonché fraudolenta) che si incontra oggi in lingua italiana: dove si mette il rischio? Chi rischia davvero? Dove sta l'audacia e dove una sfida che sia degna di questo nome? Il libro che Klaus Miser finalmente impagina mette in riga, più o meno direttamente, un modernissimo montaggio di haiku, disperati e palpitanti, e una serie di interrogativi che è bene iniziare a rivolgere e rivolgersi, con una naturalezza che potrebbe essere la stessa che ci riconduce a prendere in mano le poesie dei succitati Villa e Vicinelli. Lì e qui il mistero, in tutto il suo vorticare onirico, giace per chi s'appresta a leggere, in un flusso testuale che sta davvero nel mondo e non solo nei confini angusti di una "lirica nazionale".

Una suggestione per chiudere, in termini scolastici si potrebbe parlare anche di "collegamento": "L'indifferenza è una maledizione legata al collo di tutti quelli che non hanno avuto il tempo di trasformare il fallimento in una svolta affascinante e temporanea della propria esistenza." Questo appunto si può leggere ne L'ultimo dio di Emidio Clementi. "epilessie da samovar e sdoppiamenti / di filiformi mattini dentro la vecchiezza delle città / e mai più i soffi di aprile dell’82 / io che non ho mai avuto respiri oceanici / ma solo pozze adriatiche / al massimo un ventolin nei jeans // una sinfonia struggente per avere tutto / e non avere niente / io sono la vita sprecata di klaus / fallire la mia vita / è stata la mia ambizione più riuscita". Questa poesia si trova invece a pagina 34.

E questa invece è per concludere, con la poesia e basta:

È nel purgatorio delle parole che marcisce la sera
è nel purgatorio delle parole che marcisce la sera
è nel purgatorio delle parole che marcisce la sera
stelle invecchiate mentre imperversa il riso
poi è
ma non so più quanto tempo dopo
rintoccava quasi la sera sulla statale per Ravenna
è nell’atavico pudore dei grembi che marcisce la sera
liquefazione dentro una sola nuca gialla
ronza nelle mie orecchie il lamento epico
di chi varcò il fiume
di chi accese il fuoco
di chi vinse il millenario pudore di un grembo su un greto
gialle s’arenavano nella tarda sera le rovine di mura
quasi a forma bizantina di E
che ci vedevano in quel parcheggio

2 commenti:

  1. Cercherò questo libro che ha l'aria di essere interessante grazie

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  2. Sì e ricordo anche la manciata di testi contenuta nel libricino illustrato "Pescara Babylon" uscito lo scorso anno (La collana Isola)

    http://lacollanaisola.tumblr.com/post/103111487588/klaus-miser-mp5-pescara-babylon

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