martedì 1 dicembre 2015

L'improvvisazione intima ovvero sul tango. Intervista a Davide Sparti

Librobreve intervista #63

Davide Sparti è professore di Sociologia dei processi culturali ed Epistemologia delle Scienze sociali presso il Dipartimento di scienze sociali e cognitive dell'Università degli studi di Siena, docente presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e l'Università della Svizzera italiana. Ricordo alcuni dei titoli dei suoi libri più recenti: L'identità incompiuta. Paradossi dell'improvvisazione musicaleIl corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz, Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz e Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana. Come (pochi) altri scrittori di estrazione accademica riesce a coniugare la ricerca rigorosa con una produzione scritta capace di incuriosire e coinvolgere anche persone che non si limitano a saltare e ricadere dentro il cerchio stretto dell'università (per fare un parallelo con un filologo penso ad esempio a Claudio Giunta e alla sua felice penna e non molti altri me ne vengono in mente). Sia per le tematiche trattate, sia per la facilità di scrittura, Sparti sa sedurre gli interessati con libri importanti e, di fatto, prima assenti nel panorama italiano. Dopo i molti studi dedicati al jazz e all'improvvisazione arriva, per il Mulino, Sul tango. L'improvvisazione intima (pp. 224, euro 16). Gli ho rivolto alcune domande. Buona lettura, milongueros.

LB: Qualche anno fa ci eravamo salutati con l'intento di risentirci nel caso fosse uscito un tuo nuovo studio sul jazz. Hai cambiato rotta, ma fino a un certo punto. Come arrivi ad occuparti di tango, dopo una serie di significative pubblicazioni sul jazz e l'improvvisazione? 
R: La prima ragione è personale. Mia madre si è sempre occupata di danza, da storica e coreografa. Il tango corrisponde dunque per me ad un’esperienza, nel senso di un vissuto che segna ma pure nel senso del rapporto con uno specifico ambiente o campo, quello delle milonghe, i luoghi dove si balla il tango argentino, una pratica in cui il contatto fra due persone in movimento - nonché fra queste e le altre coppie (a loro volta in movimento) - si genera un peculiare ambito, dinamico ed intimo al tempo stesso. In secondo luogo, il tango argentino (da non confondere con il tango da sala) è una danza di improvvisazione, una collaborazione che è una co-elaborazione (una improvvisazione a due). Il passaggio attraverso il tango rappresenta dunque la possibilità di esplorare il tema dell’improvvisazione in un ambito differente da quello del jazz. È proprio passando attraverso questa esteriorità che ho potuto sondare più a fondo forme creative terze rispetto alla produzione industriale e la progettazione di una coreografia, che costruisce con grandi raffinamenti successivi un’opera fissata e compiuta, con il suo statuto di oggetto inalterabile, esposto ad una contemplazione estetica stabile. Laddove nel tango abbiamo a che fare non con qualcosa di oggettivato ma con una pratica generata in condizioni ‘spettacolari’, nel doppio senso che si crea in presenza di spettatori, e che si crea mentre balla. Una pratica che si dissolve nel portarsi a compimento.

LB: Sin dal sottotitolo del nuovo studio mantieni salda "l'improvvisazione", avvicinandole l'aggettivo "intima".  A me sembra ci sia un grosso equivocare attorno alla parola "improvvisazione" in ambito musicale e filosofico. Confermi? E se confermi, quali strategie metti in atto ogni volta che scrivi di improvvisazione per sciogliere tale equivoco? Penso in particolar modo al capitolo centrale dello studio, dedicato al "lato creativo" del tango...
R: In effetti intorno al tema dell’improvvisazione si sono prodotte diverse mitologie, legate all’esaltazione modernista del nuovo. Definire ‘libera’ l’improvvisazione ad esempio – così come l’idea di una creazione ‘di getto’ - è un vizio epistemologico. La libertà di chi improvvisa è sempre condizionata, poiché ogni nuova azione reca in sé il peso del passato. Consideriamo la temporalità di chi improvvisa, tenendo il tango come ambito di riferimento. Nel caso della danza coreografata il tempo è quello ragionato e fissato nella traccia coreografica, che nessuno mette in dubbio. I gesti sono ricondotti a un passato che riproduco e rivitalizzo nell’esecuzione (non sono dunque gesti morti; semplicemente, non hanno l’urgenza dell’attualità). Nel caso del tango, invece, il tempo si realizza e configura adesso (i gesti sono generati sul momento), in un presente di cui, come ballerino, faccio parte a pieno titolo. Il tanguero non segue impronte. E tuttavia chi improvvisa guarda necessariamente al passato a quello prossimo, grazie alla ritenzione di quanto appena avvenuto, ma anche al passato storico, al ricordo di quanto avvenuto tempo fa. Sia per intercettare spunti da portare a compimento, sia per evitare inizi abortiti e fallimenti passati. Di più: chi balla si affida ad un vocabolario di gesti che il corpo ha “indicizzato”: ci si rapporta all’incontro con altro con la fiducia proveniente da un passato di movimenti incorporati che permette di agire a partire da un già-danzato/già sentito che costituisce la conoscenza di sfondo condivisa fra ballerini. Oltre che rivolto al passato, chi improvvisa si proietta in avanti - è proteso verso l’istante successivo, verso l’avvenire. Solo che questa capacità di generare inizi, questo pensiero incipiente legato alla protensione del futuro non implica anticipazione di quello che deve accadere, quanto piuttosto apertura nei confronti del non-ancora-accaduto. Si tratta di una protensione aspecifica – mi aspetto che accada qualcosa, ma che cosa esattamente accadrà resta incerto. La forme temporale dell’improvvisazione è dunque il ‘futuro anteriore’. Durante la danza il senso di quello che stiamo facendo non sempre è chiaro o anticipabile. È solo a posteriori, una volta che il tango o quel passaggio sarà infine terminato, che ci rendiamo conto che è stato tracciato un percorso intelligibile, che fra i movimenti emerge un ordine, che i passi configurano un raggruppamento organico, una costellazione quasi necessaria. Il futuro anteriore è un avvenire concepito per anticipazione come passato, e permette di spiegare il paradosso dell’imprevedibile previsto a metà. Profeti retrospettivi, i tangueri pre-sentono che questo tango avrà un senso, benché non sappiano quale sia finché, retrospettivamente, sarà emerso. Non si tratta di un difetto (una mancata sincronizzazione fra senso e ballo, un ‘ingiusto’ persino crudele ritardo) ma della condizione di possibilità dell’improvvisazione.

Maurice Merleau-Ponty
LB: Occupandoti di tango, delle sue implicazioni sociali, demografiche-etnografiche e culturali, ti occupi di una danza e inevitabilmente abbracci anche una secolare riflessione filosofica sulla danza e sulle danze. Quali sono stati allora i tuoi fari in questo?
R: Più che dei riferimenti teorici precisi (benché Merleau-Ponty e Foucault restino imprescindibili) è l’affinità fra tango argentino e filosofia che mi ha ispirato e agevolato. Il tango, pur essendo una pratica del corpo (una forma di conoscenza operativa, non tematica, come dicono i fenomenologi) è una danza molto intellettuale, con un alto tasso di riflessività: si ripercuote su chi la pratica, e praticarla significa comprendere le cause che co-determinano il nostro agire, in maniera tale da diventare via via più sensibili agli effetti generati dalle proprie azioni. La filosofia è a sua volta una attività riflessiva, che nasce dal bisogno di porsi certe domanda e di esplicitare i propri presupposti. In secondo luogo, in quanto danza di improvvisazione, il tango valorizza il principio della contingenza, riassumibile nell’espressione: “è così, ma anche altrimenti”, nel senso che ogni interazione avrebbe potuto svilupparsi altrimenti, o diversamente dall’atteso (laddove il principio della necessità rimanda invece a ciò che non-può-non-essere). Quando balliamo il tango, pur assorbiti nella pratica, non siamo come robot che hanno attivato un programma e lo eseguono ciecamente (quando ciò succede, quando si balla affidandosi al pilota automatico dell’abitudine - che è sede di economie cognitive -, ben difficilmente si risulterà reattivi e creativi). È proprio l’automatismo – la cattiva inerzia del corpo, l’ansia che ci induce a ripetere compulsivamente certe figure - che può indurre una prestazione sciatta e approssimativa. Ci si fissa su determinati segmenti del tango: li si ripetono in modo quasi coatto. Occorre cercare di disfare le fissazioni, di produrre una de-fissazione, rimettendosi in gioco. Ebbene la filosofia è a sua volta quella pratica che permette di pensare-altrimenti, per dirla con Foucault, la cui forma canonica è il saggio, che saggia, appunto, i limiti di una situazione. In questa disposizione a mettere in questione il già-dato emerge un’ulteriore affinità fra danza (di improvvisazione) e filosofia. Perciò ho avvertito presto l’esigenza di riconnettere il tango praticato di notte con la mia vita di pensiero diurna, come se vi fosse una sotterranea solidarietà fra ciò che muoveva i corpi di notte e il movimento del pensiero di giorno.

LB: Qual è la cosa più stupefacente che hai scoperto scrivendo questo libro? (Intendo qualcosa che esulava completamente dal tuo nucleo di "aspettative di scoperta", se così si può chiamare, prima di cimentarti nella ricerca.)
R: Il tango invita a situarsi in un duplice movimento: a quello fra i due ballerini che formano la coppia si aggiunge il movimento della coppia nel gruppo. Mi muovo per muovere te che muovi me, muovendoci insieme a tutti gli altri, immersi in un metacorpo collettivo. La cosa più stupefacente è che sepolta nel tango c’è la promozione della vita plurale, che è poi la possibilità di deporre la propria individualità nel contesto sociale della milonga, di scaricarla in una circolazione collettiva. Per vivere, per esistere, abbiamo bisogno di non essere ridotti a noi stessi; abbiamo bisogno di partecipare a una forma di circolazione che passa attraverso gli altri, e il tango è precisamente un tale circuito. Per questo ci si sente vivi, la musica ci attraversa, ci si sente muovere. Mi trovo non solo essere qua, nelle braccia di questa persona, in questo momento, ma essere situato fra le persone che mi hanno preceduto e quelle che mi seguiranno, situato in questa catena. Di fronte a questa catena, riconosco con umiltà che il tango mi sopravvivrà, che siamo noi l’elemento fragile, passeggero, e che è il tango l’elemento che ha più avvenire.

LB: Nella milonga accadono incontri bellissimi e talvolta si incarna la sola verità di un attimo (i "minuscoli secondi di eternità" li definisci tu), la grazia di pensiero breve, forse triste ma al contempo pensiero indimenticabile. Sei d'accordo? E che cos'altro accade nelle milonghe? Si può parlare anche di un rapporto tra tango e memoria individuale oltre che di quello tra tango e memoria sociale?
R: Nonostante l’indispensabile tecnica (il tango è una pratica difficile delle cui condizioni di esercizio non si diviene mai detentori), l’apice del tango (esperienza pubblica che si consuma nel corso di pochi minuti fra persone che non sempre si conoscono) è una vertigine per definizione transitoria, ed è questa transitorietà che la rende straordinaria e forse anche triste. La profonda affinità di cui si fa talvolta esperienza è un bene di fortuna o di grazia – a patto di non intendere quest’ultimo concetto nell’accezione cristiana di dono divino, ma nel senso pagano di bene concesso arbitrariamente dalla sorte. A questa famiglia di beni appartengono gli incontri casuali, i legami affettivi e le esperienze di comunione come l’amicizia e l’amore: tutte cose che gli esseri umani desiderano fortemente, e senza le quali la loro vita non potrebbe mai dirsi davvero felice, ma che per definizione si sottraggono al loro controllo.


LB: Scrivere di tango è stato un modo per scrivere di...
R: Della vita. In quanto danza di improvvisazione il tango ha a che fare con la nascita (la generazione di qualcosa di nuovo, o comunque di differente dal passato), con la morte (qualcosa di transitorio ed evanescente, ma anche qualcosa a cui non si può mai essere del tutto preparati), e con il nesso io/altro: la circostanza di essere in due introduce nel tango una sfasatura ineliminabile, una sfasatura che non permette di coincidere interamente con se stessi. Perturbando l’assetto consolidato, l’incontro/scontro con l’altro ci costringe a fuoriuscire dal solco delle nostre consuetudini, votandoci ad una perpetua non coincidenza con noi stessi. Precisamente nella sfasatura fra me e l’altro il tango mi offre l’occasione per operare una presa obliqua sui miei presupposti, rimettendoli in questione (attraverso la presa di coscienza dell’alterità dell’altro faccio infatti esperienza del mio stesso peso, della mia mobilità - o inerzia - del tipo di ‘energia’ di cui sono portatore).

LB: Il tango è praticato, diffuso, ma più difficilmente - pensiamo soltanto a un paragone col jazz - si ricordano o si nominano "autori di tango". Potresti allora fare dei nomi?
R: In effetti ho voluto scrivere un libro che si interrogasse sui significati del tango, al di là dell’annedotica, dell’elenco degli stili, dell’idolatria verso questo o quel cantante o ballerino. C’è però una ragione più profonda a questa mia reticenza, legata all’autorialità. Mentre gli autori di testi e di musiche tango, da Gardel a Piazzolla, sono chiaramente identificabili in rapporto ad un canone, chi balla non è autore di opere ma è titolare di una capacità di (improvvis)azione che si consuma senza lasciare tracce.

LB: Potresti scegliere un pezzo dal pozzo, un video o un file audio dalla rete come congedo, senza dirci perché scegli proprio quel pezzo? Grazie.
R: Ecco qua (è la stessa composizione, scelta per mostrare come ogni tango sia differente, persino quando è la stessa coppia la quale, a pochi giorni di distanza, balla sulla medesima musica)


2 commenti:

  1. Articolo interessante. Ballo tango da quasi cinque anni e questa intervista mi ha molto incuriosito sul libro. Le osservazioni dell'autore (e la scelta dei due video) suggeriscono una competenza sull'argomento (non so se solo teorica o anche pratica) piu' che discreta. Il tempo di regali e' gia' passato quindi credo che questo libro lo prendero' per me :P. Cordialmente, Diego.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Diego. Per regalare un libro, un libro come questo, penso sia sempre il tempo. Un saluto, A.

      Elimina