mercoledì 9 marzo 2016

Tradurre in italiano Roberto Bolaño, Luis Cernuda, Julio Cortázar, Almudena Grandes, Juan Carlos Onetti, Luis Sepúlveda e altri. Ricordi e riflessioni di Ilide Carmignani

Librobreve intervista #65


Ilide Carmignani (foto: Arianna Sanesi)
La lunga attesa è servita e finalmente posso ospitare all'interno della serie di interviste dedicate da Librobreve alla traduzione le risposte di Ilide Carmignani, che da oltre trent'anni svolge attività di traduzione, consulenza, editing e revisione dallo spagnolo. Se avete letto traduzioni italiane di Roberto Bolaño, Jorge Luis Borges, Luis Cernuda, Rodolfo Fogwill, Carlos Fuentes, Almudena Grandes, Gabriel García Márquez, Pablo Neruda, Juan Carlos Onetti, Octavio Paz, Arturo Pérez-Reverte o Luis Sepúlveda è assai probabile che vi siate imbattuti in un testo da lei tradotto. Buona lettura.

Luis Cernuda
LB: Qual è stato il primo libro intero che ha tradotto e quando è successo? Che ricordi ha di quei momenti (l'ingaggio, la traduzione, la revisione, il rapporto con l'editore)?
R: Il primo libro intero che ho tradotto è stato Ocnos di Luis Cernuda, una scelta molto audace per una ragazzina di ventitré anni, ma un professore all’università voleva pubblicare un volumetto senza perdere tempo con la traduzione, che non valeva nei concorsi, e mi propose di occuparmene. Ricordo che, per allettarmi, disse: «Ti affido le note che invece fanno titolo». Mi sembrò il mondo alla rovescia, le note degne di riconoscimento quando bastava copiare qualche edizione critica e un bel nulla la traduzione, così difficile, anzi impossibile, diceva Ortega y Gasset. Però quell’estate dopo laurea, trascorsa a tradurre in giardino poemi in prosa su Siviglia, fu così bella che ci presi gusto e quando l’anno dopo andai a perfezionarmi alla Brown University, negli Stati Uniti, chiesi uno special course a un grande traduttore, oltre che studioso, Alan Trueblood, e al ritorno presentai due proposte a case editrici di Milano. Erano tutte e due molto sbagliate, editorialmente parlando, poemi in prosa appunto e una raccolta troppo lunga di racconti di una scrittrice ancora sconosciuta, ma gli editori pur non accettandone nessuna mi fecero fare delle prove e arrivò il primo libro, dall’inglese, Figlia del Tibet di Rinchen Dolma Taring per la Serra e Riva. L’inglese l’ho poi abbandonato appena possibile, mi sembra già difficile conoscere adeguatamente una lingua, figuriamoci due, solo che in quegli anni dallo spagnolo si faceva pochissimo, era il calo del dopo boom. Ricordo come fosse adesso l’emozione quando, nel monolocale di un’amica che mi ospitava durante quei viaggi della speranza a Milano, mi telefonò Michele Riva, l’editor, e mi disse: la prova è andata bene, il libro è tuo. Venticinque anni dopo, ogni volta che lo vedo, provo ancora l’impulso di baciarlo. Il compenso, specie in confronto a quanto accade oggi con gli esordienti, era più che dignitoso. Il contratto in compenso mi spaventò a morte e corsi a mostrarlo all’unico traduttore che conoscevo: l’editore, a suo insindacabile giudizio, poteva questo e quello e l’altro ancora, come in tutti i contratti di allora e anche di adesso, e infatti il traduttore mi disse bonario “stai tranquilla”. La revisione la feci una domenica di primavera a casa dell’editor, che con grande pazienza passò la giornata a spiegarmi gli errori, le sviste, le sciatterie, le ingenuità, anche qualche alzata d’ingegno. Privilegi dell’editoria artigianale di quei tempi. Da allora non ho più smesso di tradurre. Ho avuto molta fortuna e poi all’epoca nessuno voleva fare il traduttore, gli editori erano quasi allibiti quando chiedevo. I colleghi erano tutti traduttori per caso.


Julio Cortázar
LB: E l'ultimo lavoro consegnato? Tra la prima e l'ultima traduzione portata a termine, quali sono gli aspetti più macroscopicamente mutati e quelli invece che hanno conservato intatto il loro colore, sapore?
R: L’ultimo lavoro consegnato è L’inseguitore di Cortázar per SUR. Non so cosa è cambiato. Sintetizzando, probabilmente tutto. Conosco molto meglio lo spagnolo e conosco molto meglio l’italiano, ma soprattutto, grazie anche alle letture di teoria della traduzione e alla condivisione di esperienze con colleghi di lungo corso in occasioni come il Salone di Torino o le Giornate della traduzione, ho perso l’innocenza di allora, so in quanti e quali modi diversi si potrebbe tradurre un certo passo, vantaggi e svantaggi, e conosco ormai per esperienza le strategie di mediazione linguistico-culturale preferite dall’editoria italiana contemporanea. L’acribia, anzi l’ansia di controllo è la stessa. Ma anche il piacere, grandissimo, si rinnova ogni volta: lasciarsi possedere da un’altra voce, respirare al ritmo di un’altra esistenza. Questo per quanto riguarda me e il lavoro sulla pagina. Per quanto riguarda invece l’editoria, be’, capita sempre più spesso che i tempi siano frenetici e che il revisore sia un collaboratore esterno mai visto né conosciuto. Per fortuna il genere di testi che traduco, classici contemporanei sostanzialmente, mi tengono un po’ al riparo. Lavoro con editori che si rivolgono a lettori forti e che curano ancora molto la traduzione. 


Juan Carlos Onetti
LB: Qual è il libro che l'ha tribolata di più? E che ricordo ne conserva ora? Quale era la vera difficoltà?
R: Non lo so, mi verrebbe da rispondere che ogni libro ha le sue difficoltà, tradurre è impossibile, come dicevo sopra che diceva Ortega. Certo, ci sono libri terribili, come per esempio Un certo Lucas di Cortázar, l’opera più inafferrabile (e divertente) che mi sia capitato di tradurre. Un certo Lucas non è un romanzo, perché non c’è una storia, una trama, anche se ci sono decine di storie, e per di più ha un protagonista ricorrente, un certo Lucas appunto. Non è una raccolta di racconti, perché non tutti i testi rientrano nei canoni della short story. Non è un saggio perché c’è molta fiction e per di più fantastica. Non è un’autobiografia, anche se Lucas è senz’altro Cortázar e il suo passato argentino un tema onnipresente. Non è un libro filosofico, anche se riflette a fondo sul rapporto fra realtà e conoscenza. Non è un saggio di critica letteraria, eppure indaga ripetutamente i meccanismi e il senso del linguaggio e della scrittura. Non è un libro erotico, anche se ci sono pagine di estrema sensualità. Insomma, anche solo seguirlo su tutti questi registri espressivi è stata un’impresa, per non parlare del lunfardo, dei giochi di parole, dei neologismi, dello swing che modula il ritmo del testo. È vero però che poi, per altri versi, trovo non meno difficile Onetti, che apparentemente è limpidissimo, non fa giochi di parole né tanto meno se ne inventa di nuove, ma ogni volta che ti aspetti un aggettivo ti presenta un verbo, ogni volta che ti aspetti un verbo ti presenta un sostantivo... La sua traduttrice francese scriveva che tradurlo era come cercare di far camminare all’ambio una zebra. Nemmeno Roberto Bolaño è facile. E sento molto la responsabilità anche per un autore come Luis Sepúlveda, che ha un’incisività e una freschezza difficilissime da restituire, e per di più finisce nelle scuole di ogni ordine e grado come libro di lettura.


LB: Parliamo di sintassi. Nei libri che traduce e nei libri che legge in lingua italiana, quali sono le principali divergenze tra le lingue usate dagli scrittori? Capisco bene che non si può generalizzare, ma ad un livello di percezione le sembra che ci siano degli andamenti di apprezzabile diversità nella sintassi degli autori di lingua spagnola se confrontati con quelli di lingua italiana?
R: Purtroppo i linguisti si occupano di analisi contrastiva più a fini didattici che traduttivi e quindi, per risponderle, mi devo basare semplicemente sulla mia esperienza, una cosa poco scientifica insomma. La sensazione è che lo spagnolo letterario sia una lingua più libera, più esuberante, per esempio non esita a costruire frasi a senso, a cambiare soggetto in modo implicito, oppure a costruire romanzi con flashback potendo segnalarne l’inizio con un solo trapassato per poi tornare con disinvoltura alla sveltezza del passato remoto. Immagino sia perché nasce da una tradizione barocca, senza contare che è la lingua di cinquecento milioni di persone. L’italiano mi appare ancora molto legato all’eredità classica, è una lingua simmetrica, per chi non è toscano forse anche un po’ artificiosa. Un bellissimo giardino di bosso potato ad arte. 


LB: Conoscere gli autori che si traduce: è sempre una risorsa e qualcosa di positivo o talvolta può tramutarsi in insidia? Se sì, in che modo?
R: Io credo che sia una risorsa. Mi piace molto incontrare i pochi autori viventi che traduco. Mi piace ascoltare il loro parlato, la lingua spontanea, l’idioletto. Mi conforta poterli interrogare se ho dei dubbi. Certo, essendo un matrimonio combinato dall’editore, può capitare che l’incontro funzioni solo sulla carta e l’uomo, di persona, si riveli molto meno interessante dello scrittore. Ma insidie non ne vedo, al massimo delusioni. E comunque io delusioni non ne ho avute mai. Anzi.


LB: La situazione "economica" che investe la condizione del traduttore letterario (ristrettezze, urgenze, difficoltà continue) sta già riverberandosi pesantemente sulla "qualità" dei risultati? Secondo lei è vicino il momento in cui questa condizione produrrà dei risultati così inaccettabili tanto da produrre un ripensamento generale e un passo indietro (che sarà però, finalmente, un passo in avanti)?
R: Sì, a volte si vedono traduzioni imbarazzanti. E infatti davanti a certi scempi si imbarazzano anche gli editor della casa editrice che li ha pubblicati, si imbarazzano i redattori, solo chi decide il budget per la traduzione resta impermeabile all’imbarazzo e continua a contare sull’ingenuità, per non dire ignoranza, della maggioranza dei lettori italiani, che sembrano capaci di ingoiare tutto. Comunque negli ultimi tempi, a mio avviso, si è rafforzato lo spazio per gli editori che lavorano sulla qualità, editori che rispettano i loro lettori e quindi – non dimentichiamolo -  i loro scrittori. Oltre a, va da sé, i traduttori.


LB: Da un po' di tempo si è soffermata su Roberto Bolaño. Ma volevo chiudere con un pensiero che la riguardi sulla traduzione di poesia in lingua spagnola (un testo tradotto, un ricordo o citazione, un'omissione). Grazie.
R: Chiudo volentieri con dei versi di Nicola Gardini, da un suo libro di poesie sulla traduzione che ho appena finito di leggere: 


La traduzione è un bacio.
È avere nella bocca
Non una, ma due lingue
Contemporaneamente

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