giovedì 26 maggio 2016

Alcune poesie di Matthew Sweeney su "Testo a fronte n. 53"

Riviste #7

Il numero 53 della rivista semestrale dedicata alla traduzione letteraria "Testo a fronte" (Marcos y Marcos, euro 25) è uscito un po' di tempo fa. Questo fascicolo contiene una manciata di testi del poeta irlandese Matthew Sweeney che ho scelto e tradotto. Riporto di seguito la nota introduttiva che accompagna la piccola antologia e una delle poesie.

 Nota

Matthew Sweeney  è nato a Lifford, nella contea di Donegal, nel 1952. Ha studiato al Polytechnic of North London e all’università di Friburgo e ha trascorso diversi anni tra Berlino e Timisoara, prima di fare ritorno in Irlanda, a Cork, dove vive. Rappresenta oggi una delle voci più significative della poesia irlandese contemporanea. Il poeta serbo-americano Charles Simic ha detto che le sue poesie «sono riflessive, divertenti, estremamente fantasiose e scritte in modo impeccabile; insomma, sono poesia contemporanea ai più alti livelli».

La poesia di Sweeney, di cui qui è dato uno tra i primissimi saggi di traduzione in italiano, è attraversata dai modi della narrazione immaginifica e giunge a una forma di realismo che l’autore stesso ha definito, in un’intervista rilasciata a Lidia Vianu, «alternative realism». Questo realismo alternativo, che non è certo di matrice surrealista, trova dei precursori nella letteratura tedesca, a lungo studiata da Sweeney, e nell’amato Kafka, e giunge ad assottigliare fin quasi alla trasparenza il confine tra ordinario e favoloso. Nei suoi componimenti, quasi sempre scevri di elementi decorativi, il banale e l’usuale di ogni giorno, ma anche quegli accadimenti che semplicemente bolleremmo come strani e sospesi, sembrano impennarsi verso un monotono sublime, non esente dalle pennellate del grottesco, dell’umorismo nero, del ridicolo e a tratti persino da quelle del mistero. Non di rado al lettore sembra di assistere alla rivisitazione della celebre suspension of disbelief applicata a contesti di apparente normalità. I suoi testi poetici abitano entrambi i territori della poesia, quello visivo della lettura e quello orale dell’ascolto, senza essere mai soltanto da una parte o soltanto dall’altra. Del secondo regno, quello dell’oralità, Sweeney sembra preservare, più che altri caratteri, una cornice enigmatica di parabola e di inedito e moderno exemplum senza auctoritas, sia che la sua macchina da presa operi in scene d’interno sia che il ciak avvenga all’esterno.

Tra i libri di Matthew Sweeney ricordiamo, in ordine di pubblicazione, A Dream of Maps (1981), A Round House (1983), The Lame Waltzer (1985), Blue Shoes (1989) e Cacti (1992) usciti per l’editore Secker & Warburg, The Bridal Suite (1997), A Smell of Fish (2000), Selected Poems (2002), Black Moon (2007) pubblicati da Jonathan Cape, The Night Post: A New Selection (2010) uscito per Salt e il più recente Horse Music (2013) nel catalogo di Bloodaxe Books. Tra quelli di poesia per bambini si ricordano The Flying Spring Onion (1992), Fatso in the Red Suit (1995) e Up on the Roof: New and Selected Poems (2001). Ha scritto anche racconti per bambini inclusi in The Snow Volture (1992) e Fox (2002). Per l’editore Faber ha curato The New Faber Book of Children’s Poems e Walter De la Mare: Poems (2006). Assieme a Jo Shapcott è stato il curatore di Emergency Kit: Poems for Strange Times (2006) uscito sempre per Faber ed è uno degli autori di Writing Poetry (Teach Yourself series, 1997) e del racconto Death Comes for the Poets pubblicato da Muswell Press nel 2012, assieme a John Hartley Williams.
Nel 1997 è stato incluso nel dodicesimo volume della serie antologica Penguin Modern Poets assieme a Helen Dunmore e Jo Shapcott. Il libro di poesie del 2007, Black Moon, è entrato nella short-list del T.S. Eliot Prize. 


Cactus


Dopo che se n’era andata comprò un altro cactus
identico a quello che lei gli aveva preso
all’aeroporto a Marrakech. Dovette cercare
un bel po’ per Londra e poi a Camden Town
tra orde di bambini che si tenevano per mano
e ostruivano il mercato, lo trovò,
lo prese e lo portò a casa accanto al suo.
La settimana dopo tornò a prenderne un altro,
poi un altro ancora. S’era fissato a provare
tipi differenti, intensi di un rosso vivido
come il sorriso della commessa 
che non aveva notato. Comprò pure un tappetino
tinta sabbia per il soggiorno e trascorse
un fine settimana a ridipingere 
le pareti in beige, il soffitto in azzurro.
Il logoro appartamento era ora rifoderato
col colore della tintarella. Si distese sul divano
indossando una djellaba marrone, coi cactus tutti attorno
e musica araba in sottofondo. Dovesse tornare,
pensò, potrebbe sentirsi a casa.


Cacti (da Cacti, Secker and Warburg, London, 1992)


After she left he bought another cactus
just like the one she’d bought him
in the airport in Marrakesh. He had to hunt
through London, and then, in Camden,
among hordes of hand-holding kids
who clog the market, he found it,
bought it, and brought it home to hers.
Next week he was back for another,
then another. He was coaxed into trying
different breeds, bright ones flashing red –
like the smile of the shop-girl
he hadn’t noticed. He bought a rug, too,
sand-coloured, for the living room,
and spent a weekend repainting
the walls beige, the ceiling pale blue.
He had the worn, black suite re-upholstered
in tan, and took to lying on the sofa
in a brown djellaba, with the cacti all around,
and Arab music on. If she should come back,
he thought, she might feel at home.



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