martedì 3 maggio 2016

"Oscillazioni. Frammenti di un'autobiografia" di Federico Ferrari: "Questo sei tu. Io sono già altrove."

L'aforisma è un fuoco fatuo, lo aveva colto già Camillo Sbarbaro e lo rammenta Federico Ferrari in questo suo libro intitolato Oscillazioni. Frammenti di un'autobiografia pubblicato pochi giorni fa da SE (pp. 112, euro 18). Abbiamo davanti un volume di aforismi e apoftegmi che raramente ci capita di poter leggere, non so se a causa della non eccelsa fortuna del genere nel nostro paese (d'accordo, Leopardi e Flaiano figurano tra queste pagine e non solo nel risvolto di copertina) o a causa di quel fraintendimento - ontologico ma anche editoriale - nel quale qualsiasi precipitato autobiografico è stato aspirato. Un'oscillazione è solitamente intesa come il moto di un corpo tra due estremità ed è pure un termine con cui ci si riferisce al variare di una grandezza. Si dice anche oscillazione di una sorta di indecisione della lingua attorno a un vocabolo, alla sua grafia, ad esempio. Questo libro di frammenti che inevitabilmente vanno a fondare l'auto-bio-grafia di cui dice il titolo, e nel quale gli spazi tra un frammento e l'altro sono il ritmo del pensiero - oscillazione, onda, periodo sono tutte immagini che si inseguono - offre una possibilità rara di confronto con il pensiero e la sua essenza del tutto misteriosa. Ed è il pensiero stesso, nella sua "potenza anonima" (avvicinabile forse a una potenza parimenti anonima dell'eros?), a interessare queste vibrazioni di frasi, sia esso preso dallo spigolo della psicanalisi (per la quale Ferrari ha aspre parole), del trauma originario ("mitologia di bassa lega: risciacquo teologico"), dell'arte, della filosofia (Eraclito, soprattutto Plotino e poco Cioran), delle neuroscienze o dell'esperienza, la quale lascia tracce "assai superficiali rispetto alle cicatrici di cui è capace la parola". Per le cronache e per gli interessati: Federico Ferrari insegna filosofia dell'arte e fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ne ha anche per il mondo universitario-accademico e sarà facile, per chi ha avuto una qualche esperienza di università negli ultimi vent'anni, convenire amaramente (taluni grandi filosofi si sono interrogati sul destino delle università, possibile che questo destino non interessi più?). Ad ogni modo, stavolta davvero non hanno importanza la provenienza e il curriculum di chi ha scritto questi righi e ritmi, e conta invece la proposta complessiva dell'opera, il suo saper far risplendere di inizi e albe i temi più disparati, siano questi le epoche, la nostalgia del futuro, la scrittura a quattro mani collegata alla potenza anonima del pensiero di cui sopra o la "superbia dell'autore", i nomi propri contrapposti al "senza nome" e all'indistinto, fonte di estasi e, assieme al pensiero, secondo capo della fune tesa dove oscilla la corda del funambolo (come quello di Klee scelto per la copertina). Oppure c'è la solitudine, la quale "non è un sentimento triste" ("Amare un essere umano significa far precipitare la propria solitudine dentro quella di un altro [...]"). Che cosa sono questi aforismi? Circa a metà dell'opera leggiamo: "Il frammento è sempre un inizio assoluto. Tutto quello che è venuto prima è dimenticato (e da dimenticare)".


Francisco Goya, Vuelo de brujas (1798)
Come invito a cercare e leggere queste pagine ripercorro allora alcuni frammenti dell'opera, le sue oscillazioni, che possono sfiorare i mistici (i veri atei), la conoscenza come inizio del disincanto e di una melanconia infinita, il vedere che non è leggere (in questi passaggi l'infilarsi nella nostra più trita quotidianità è acuto), il "fine della lettura" inteso come l'istante in cui si alzano gli occhi dalla pagina, l'aristocratico e la democrazia, l'orgasmo e la masturbazione, il buon gusto come questione di attenzione, lo scrivere inteso come gesto che dà dignità al mondo, lo squallore del mercato editoriale davanti al quale non restano che "edizioni semiclandestine e incontri inattesi", l'ingenuità degli intellettuali e la mancanza di gusto tra gli uomini di cultura, considerazioni sul numero dei lettori e sul "successo", la grazia dell'esistenza che solo chi è stato abbandonato almeno una volta può comprendere o l'autosufficienza di ogni epoca ("Non ci sono epoche migliori di altre. In ogni epoca c'è tutto: genio, finezza, grandezza, volgarità e decadenza."). Gli si crede quando scrive "Un piccolo quadro di Goya, Vuelo de brujas, vale per me più di tutta l'arte contemporanea". Insomma, questa mia campionatura profondamente stupida, perché annienta il ritmo della scrittura e le oscillazioni del pensiero, i suoi bianchi e le sue esitazioni, valga almeno come invito a verificare questa scrittura e saggiarne la suddivisione del tempo, la frequentazione del mistero del pensiero e dell'indistinto. Un invito a leggere che ho sparso in queste righe, qui e ora ("Qui e ora, cioè altrove.")

Nessun commento:

Posta un commento