venerdì 30 settembre 2016

“Scuola di felicità” (e della follia) di Gian Mario Villalta

Non è la prima volta che Gian Mario Villalta affronta di petto il tema della scuola (l’ur-tema, bisognerebbe dire). Il primo corpo a corpo si registrò molti anni fa nella pièce Lezione, monologo messo in scena dal regista Cesare Lievi. Già lì, in quella lezione surreale su Leopardi e Il sabato del villaggio, molti pensieri sulla didattica e su certa “follia” scolastica erano svelati. Poi, altrove nei suoi romanzi e curiosamente meno, se non addirittura per niente, nella sua poesia, il tema scolastico è riaffiorato (si veda anche Satyricon 2.0 del 2014). Scuola di felicità, da poco uscito per Mondadori (pp. 180, euro 18), torna su quest'ambito centrale della vita sociale. Abbiamo tutti la scuola sotto gli occhi: dopo la pausa estiva, anche quest’anno è da poco cominciato. Anno scolastico, s'intende, quell'altro anno s'avvia pian piano alla fine. Il gigante organismo fatto di edifici, orari, campanelle, logistica, studenti, docenti, personale vario e nuovi presidi sempre più protagonisti continua a scorrere parallelo alle vite di chi a scuola non c'è e a impattare su quelle di tutti noi, sia che siamo o non siamo coinvolti nella vita scolastica. Ma come non esserne comunque tutti coinvolti, anche banalmente dal cambiamento del traffico nei periodi scolastici o, in modo più rilevante, nel pensiero che è davvero la scuola a tracciare il destino di un paese? E così come ogni anno, tra qualche mese l’anno scolastico terminerà, creando separazioni, trasferimenti, delusioni, cambiamenti in tante direzioni, soprattutto tra i protagonisti, ovvero quegli studenti che a scuola trascorrono uno dei periodi più delicati della loro vita, nel quale si sbatte al bivio tra “massimizzare la formazione” (anche se qualcuno gradirebbe “massimizzare la performance”) e “ridurre al minimo i danni”. Anche qui, come in altri romanzi di Villalta, il "duello" con un tema principale viene via via intervallato da lunghe pause di pensiero e riflessione, le quali, a ben vedere, coincidono invece con i temi più sviluppati dalla sua poesia e i temi più duraturi della sua scrittura. In questo libro sono molti i rimandi alla telepatia e Telepatia si intitola proprio l’ultimo suo libro di poesia. Quali sono questi temi diversi da quello portante della scuola? Credo combacino, e non da oggi, con le coincidenze e il loro inserimento nutriente nella trama della vita. E poi con il lavoro-lavorio della memoria nel suo intersecarsi con la materia, sia essa intesa come materia che fa l'uomo-cervello-coscienza, il paesaggio e il tempo della luce e del buio. Dei cinque romanzi pubblicati finora, credo sia questo il libro dove il convergere di più istanze ha dato risultati più fecondi. Provo a dire perché.

L’accelerazione e mutazione in atto, visibile maggiormente tra i più giovani, è fuori discussione e non credo possa essere fatta passare per una mutazione soltanto apparente: è un punto comune di partenza e non ritorno forse. Le nuove generazioni, che a dispetto di quello che si sente a volte in giro sanno mostrarsi molto preparate e intelligenti, semplicemente vivono online, e quella è diventata la loro giornata immediata, finalizzata a determinati scopi (e comunque questo vivere immediato e sincronizzato online sconfina anche in età più adulte, nell’uso della chat e dei social). La scuola segue e insegue. Le generazioni, i linguaggi e la vita cambiano a ogni ciclo scolastico. Chi insegna lo può osservare meglio di chi lavora altrove, magari in un ufficio, per quanto sia chiaro a tutti che pure l’insegnamento si è fortemente burocratizzato e sclerotizzato. (Sia detto tra parentesi che in alcuni passaggi del libro è spassoso osservare il pullulare di maiuscole che usa Villalta per richiamare i diversi organi e istituti della vita scolastica e colpisce invece che abbia evitato di esagerare con gli acronimi, che pure sono imperanti a scuola, tanto da far assomigliare certe conversazioni tra insegnanti al susseguirsi di onomatopee fumettistiche tipiche di Batman e Robin, quelle del telefilm). È questa mutazione che interessa l'autore di Scuola di felicità e il tentativo di descriverla è uno dei due principali motivi di interesse del romanzo. Ma in fondo, ci domandiamo, a cosa dovrebbe interessarsi uno scrittore se non al cambiamento e al divenire di qualcosa e a quello che pensa la gente del suo tempo, che non è necessariamente la risposta alla domandina “A cosa stai pensando?” che pone Facebook per invitarti a scrivere un nuovo post.

Dal punto di vista della tessitura, si scorgono gli elementi che sorreggono un pensiero preciso sul raccontare: dialoghi vaganti che vengono attribuiti a dei parlanti con un leggero ritardo, ellissi temporali frequenti, scostamenti irruenti da un filo consequenziale poi ricondotti in alveo, interruzioni della narrazione principale - ovvero il giallo scolastico attorno a cui si coagula la storia - con deviazioni frequenti su affluenti di narrazione che non si possono definire “secondari”. E poi va quantomeno menzionato il ritmo costruito con la modulazione di lunghezza dei periodi e il gioco curioso ed efficace attorno a un narratore che sembrerebbe onnisciente ma che in realtà non lo è affatto. Appare onnisciente finché è un narratore-etologo, che entra in classe e avverte la puzza e l’afrore e guarda le facce degli studenti, poi però deve procedere per altre vie a una personale costruzione di senso.

Infine la storia, senza eccessivo spoiler: il narratore è un professore sulla cinquantina, un ricco vedovo che non avrebbe bisogno di lavorare, ma che continua tra qualche frustrazione a insegnare, lasciando intuire tra i suoi pensieri il gigante processo inerziale di cui pare vittima la scuola italiana, che non ce la fa proprio a stimolare un cambiamento o una riforma degna del nome. La routine scolastica di un istituto di Pordenone subisce un’interruzione all’arrivo della nuova preside, tale Bardella, una persona motivata con passati in politica (dalle sue trovate viene il parametro della felicità dell’ironico titolo). La scuola si spacca in due fazioni, i Benesserini e i Marci, e tutto ciò ha ripercussioni nella routine extrascolastica del nostro professore, del suo rapporto coi ragazzi che iniziano a coinvolgerlo al di fuori della scuola, con la preside e persino con i genitori che incontra a ricevimento. Sullo sfondo insistono alcune riflessioni sull'essere e avere maestri.

We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep. Ad un certo punto del romanzo, in una delle già ricordate parentesi di riflessione e analisi, il professore parte da questo celeberrimo frammento di Shakespeare (altrove invece se la prende giustamente con Wikiquote che fa sembrare tutti gran lettori) per dire che il drammaturgo è stato profetico. Questa frase, che probabilmente nasceva dall’osservazione del rapporto tra vita e illusioni, è in realtà aderentissima ai risultati più attuali e fecondi delle neuroscienze. Su tutto, al di là del tema scolastico, è quindi il macrotema della memoria e del tempo a muovere Villalta. Il lavorio della memoria sulla materia celebrale infiltra tutto di noi, nulla va perduto nell’incessante scambio di materia-anima-tempo e sonno-risveglio-veglia. Davvero siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e la nostra vita piccola è avvolta da un sonno.

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