martedì 13 dicembre 2016

"Editori vicini e lontani" di Cesare De Michelis

L'editore Gaffi in Roma pubblica all'interno della rifondata ItaloSvevo Editori vicini e lontani, raccolta di scritti di Cesare De Michelis (pp. 104, euro 14). I brevi capitoli di questo libro, accolti dalle pagine intonse della collana "Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile", coincidono coi ritratti che il presidente di Marsilio Editori ha dedicato dal 1989 al 2016 a protagonisti dell'editoria, scrivendo per più quotidiani o supplementi culturali. L'abitudine di recensire libri dedicati a figure importanti dell'editoria è diventata in quasi un trentennio il pretesto per tracciare una piccola orografia e geografia dell'editoria italiana degli ultimi duecentocinquant'anni e per mettere assieme una corona di ritratti che sarà opportuno elencare per esteso: Giuseppe Maria Galanti, Edoardo Perino, Adriano Salani, Rocco Carabba, Roberto Bemporad, Piero Gobetti, Angelo Fortunato Formiggini, le famiglie Calabi e Mauri, Valentino Bompiani, Alberto Mondadori, Roberto Cerati, Giulio Bollati, Giovanni e Dino Fabbri, Gianni Bosio, Gianni Sofri, Giovanni Gandini, Roberto Calasso, Marco Cassini, Gian Arturo Ferrari e Klaus Wagenbach.

Il punto di vista individuale e da insider aumenta l’interesse per ogni singolo ritratto. Tuttavia, in un libro così confezionato, diventano rilevanti sia lo scritto introduttivo sia l’exodus che accompagnano gli articoli d'occasione raccolti in volume. Il primo, ad esempio, si apre in tono quasi apodittico affermando che “nell’andamento del mercato editoriale, nella sua stessa struttura organizzativa, si riflette impudicamente lo stato della vita culturale di un paese; è proprio come guardarsi nello specchio, si vede esattamente quel che c’è.” L’immagine dello specchio tornerà anche in chiusura dello stesso scritto, laddove Cesare De Michelis scrive che “nei libri si specchia il mondo che c’è e bisogna essere contenti che così sia, perché questa è la premessa di tutte le libertà”. L’argomentazione che vi troverete è efficace, anche se bisognerebbe sempre ricordare che non tutti gli specchi riflettono quello che c’è allo stesso modo (si pensi a quelli concavi e a quelli convessi) e anche il rapporto tra vita culturale e libri può entrare nello spazio di riflessione di specchi non piani.

Ricordo che anni fa, in un'intervista rilasciata proprio mentre frequentavo il suo corso di Economia e gestione delle imprese editoriali a Padova, De Michelis dichiarò che l’editore è essenzialmente "un operatore della logistica". Nel suo apparire così poco eroica e fascinosa, questa definizione prende di petto la vera protagonista del mondo moderno nel quale, in fondo, è nata l'editoria come la conosciamo: parliamo di quella logistica che permea di sé ogni angolo del reale e del pianeta, anche laddove circolano parole come "idee", "progetto" e "cultura". Persino la cosiddetta dematerializzazione dell'informazione ha implicazioni logistiche di prim'ordine, com'è evidente a chiunque osservi la rete e i suoi nodi. In questo quadro, una domanda a bruciapelo come quella che De Michelis si sentì fare a inizio anni Settanta dal presidente di Messaggerie “Ma lei a quanto vende al chilo i suoi libri?” assume un tono tutt’altro che bieco o prosaico. Del resto, proprio nei ritratti dei grandi editori che De Michelis inanella, emerge costantemente l’attenzione viva di questi pionieri per l’aspetto economico più brutale e non andrebbe mai dimenticato che anche l’invenzione del corsivo italico da parte di Aldo Manuzio servì anche a far risparmiare carta. Tutto questo ovviamente si colloca prima dell'editoria ideologica e di propaganda che ha conosciuto il Novecento.


Penso ci stia un appunto sul frammento in epigrafe che dice “meglio vendere i libri che si fanno che fare i libri che si vendono”. Col venir meno delle ideologie e delle linee editoriali, si è iniziato a parlare di editoria e progetto. Parallelamente, il grande meccanismo che l’editoria dei colossi sembra voler rincorrere è solamente quello rappresentato dal diktat del mercato. Sembra esserci un equivoco di fondo ed è qui che si inserisce il senso di quell’epigrafe, che sprona a evitare un’editoria di cultura trainata dalle sole leggi (spesso poi presunzioni di conoscenza) sulla vendibilità di un nuovo titolo. In un ipotetico gioco sull’uovo e la gallina traslato in editoria, sembra insomma che De Michelis suggerisca di preoccuparsi di fare i libri e porre l’istinto editoriale davanti al carro, per poi preoccuparsi, una volta fatto il libro, della sua "promozione" ("promozione" che in ambito editoriale è spesso sinonimo di "distribuzione" e "vendita"). Il lavoro dell'editore coincide anche con l'innalzamento dell'asticella di ciò che si potrebbe leggere. Insomma, meglio fare i libri e occuparsi di venderli anziché preoccuparsi delle vendite per mettere insieme i nuovi titoli.

Nell’ottica di De Michelis il mercato è un meccanismo semplice, “una regola pragmatica che premia soprattutto la capacità di previsione, che smorza qualsiasi illusione di linguaggi universali e di culture totalizzanti; seleziona le proposte, ma delude qualsiasi illuministico dover essere”. In questo ragionamento, ancora una volta, ne esce protagonista e rafforzata l’editoria di catalogo - paradigmatico in tale direzione è ormai il caso di Adelphi - ovvero l’idea di editoria fondata su questo dispositivo proiettato nel tempo e nella durata, in grado di superare anche gli ondivaghi meccanismi dei bussolotti finanziari e proprietari. Ne risulta una visione tutto sommato equilibrata dei destini dell’editoria libraria, la quale, anche alla luce delle nuove opportunità del libro elettronico, saprà rimanere lontana da discorsi inutili riguardanti soltanto le dimensioni (la dicotomia, divenuta quasi insopportabile, tra piccolo e grande editore) o l’omogeneizzazione e l'omologazione, che mal si addicono a un latore di diversità e libertà quale si mostra il nostro libro attraverso i secoli. Di certo le “sfide” e gli scenari sono mutati, non da ultimo quelli attorno al copyright, al modo in cui leggiamo e prima ancora scriviamo e, più banalmente, al modo in cui passiamo il tempo. Insomma, chi vivrà vedrà. Resta che quella del libro è sempre una vicenda interessante e avvincente da seguire, come tutte le storie di specchi, concavi convessi o piani che siano.

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