venerdì 24 febbraio 2017

7x7 con Cristina Alziati: "Come non piangenti" in una lettura di Alessandra Conte (seconda puntata)


7x7 è una rubrica articolata in regolari uscite metrico-stilistiche nell'arco di sette venerdì e dedicate ad un libro. Come non piangenti è il libro di poesia di Cristina Alziati, pubblicato da Marcos y Marcos nel 2011 nella collana Gli Alianti, per il quale è stata scelta l'immagine emblema del Vergesslicher Engel di Paul Klee. Le analisi sono tratte da un più ampio studio di Alessandra Conte, dedicato a Cnp nel 2014.



Ciascuna delle cose che non viene nominata
è per sempre perduta, mi hai detto.
Aveva il suono di una preghiera.

Ti è promesso, consegnerò
ciascuna delle cose. Anche ora,
dovesse tornare qualche essere alato,
ad occhi chiusi, come una pista
- dovesse atterrare -, ti scrivo.


Il testo, immediatamente successivo a quello proemiale, inaugura la prima sezione denominata Vicoli e, oltre a figurare ufficialmente come il primo della raccolta, è anche l’unico testo isolato nella sezione segnata come I. A questa traccia ne segue un’altra: visivamente si presenta bipartito in due strofe eterometriche di poco differenti nel numero di versi, l’una di tre, l’altra di cinque. Inoltre l’occhio nota come quella sembri composta di linee più lunghe, grazie soprattutto al verso iniziale di quindici sillabe, e questa di linee leggermente più brevi e compatte. Ma la compattezza è prerogativa anche dell’attacco, monumentale, che pone il tema cruciale della scrittura. Durante la lettura l’orecchio interno percepisce profonda coesione nelle parole che vengono enunciate. L’autrice avvia il discorso in levare riportando una sentenza capitale: «Ciascuna delle cose che non viene nominata / è per sempre perduta», così è, ed è così che riporta in un frammento di dialogo, vero o figurato, avvenuto a distanza di tempo, e lo segnala solamente con l’aggiunta «mi hai detto», senza corsivo o virgolette. Questo testo pone all’inizio del libro in modo esplicito la riflessione metapoetica (già enunciata in apertura, in tono ottativo, nel desiderio «ch’io / qui resti ancora a chiamare per nome ogni cosa») dalla quale, in prima battuta, si ricava che la scrittura ha a che fare con il nominare ed il perdere. Il terzo verso segue poi a chiosare quanto appena detto, cioè che la sentenza «aveva il suono di una preghiera», e quindi è lecito intenderla come una richiesta sommessa, un brusio nella mente – di chi e cosa si vedrà leggendo. E delle preghiere, i primi due versi sembrano riprodurre la nenia, nella scansione piuttosto regolare in entrambi, tra tempi forti e deboli, e nelle rispondenze sonore tra le parole, creando omofonia imitativa interna («Ciascuna delle cose che NoN vieNe NomiNata / è PER semPRE PERduta»), dove il suono nasale /n/, di risonanza interiore, è più vicino al non suono di ciò su cui si tace, e la ripresa dei suoni /e/ ed /r/, variamente combinati, si condensa e si esterna a fine strofa, con l’ultima parola, «PREghiERa», appunto. Il frammento «mi hai detto» è racchiuso tra pause, breve di virgola e forte del punto a fine verso, ma pulsa e si ripropone come fosse pensiero ricorrente, legandosi a ritroso tramite i suoni /d/ e /t/ a perduta. Dal passato, anche prossimo e imperfetto (non solo come forma temporale, si vedrà) viene all’autrice un lascito che è anche richiesta dall’esterno. L’imperativo sotteso è il fortiniano scrivi, iterato in Traducendo Brecht, e che svela per ora un riferimento al quadrato. La divaricazione tra le strofe, a questo punto, è funzionale per evidenziare lo sviluppo di tale premessa, nell’articolazione tra eredità annunciata e decisione di presa in carico. Il secondo tempo viene a suggellare l’impegno con una promessa all’interlocutore per l’avvenire, a partire dal presente, di scrivere, iterando l’espressione – generica ma minuziosa nel proposito – «ciascuna delle cose», che torna con segno positivo, e che, nominata, potrà essere consegnata al futuro prima che sia perduta, perché mortale. Si tratta dunque di rispondere ad una chiamata – dell’interlocutore supposto, che alla seconda persona singolare («Ti è promesso») raddensa sia lo sprone a scrivere che le figure che popolano il libro – e di porre in custodia («consegnerò») di quanti leggano ciò di cui si parla. Per l’Alziati si tratta di una responsabilità che la coinvolge assieme al fruitore. La poesia termina coerentemente con il verbo portante «ti scrivo», (scrivo a te, per te o, con licenza, scrivo te come oggetto, ossia di te?) isolato a fine periodo, in iperbato, dall’inizio «Anche ora» collocato al verso 5. La distribuzione del peso tra le due espressioni consente di interporre, si immagina sottovoce, l’espressione parentetica

dovESSE tornare qualche ESSEre alato,
ad occhi chiuSi, come una piSta
- dovESSE atterrare - , ti Scrivo.

In silenzio, nel sibilo del volo segnato dalla presenza del suono geminato /s/ che risuona nella porzione replicata /esse/, il testo anticipa e dà segno della presenza di un’entità altra. La figura si incrocia tra bambino – essere innocente, tipicamente dell’infanzia, caratterizzata da pensiero magico e fiducia nelle filastrocche/preghiere – angelo e animale. Quale che sia la soluzione, tutti e tre questi aspetti compariranno scissi nel libro, e l’angelo stesso ritornerà addirittura nel titolo eloquente della seconda sezione (L’Angelo smemorato, dall’opera di Klee, che grossolanamente si potrebbe associare, per la componente figurativa, ad un raffinato disegno infantile) e nell’evocato Angelus Novus di Benjamin – rivolto alla serie degli eventi del passato, vede una sola catastrofe e viene spinto al futuro da una tempesta – che traspare tra i riferimenti dell’autrice. Con la preghiera del v. 3 si lega questa seconda strofa, tramite la rima imperfetta con il v. 5 (preghiera : ora) passando per la frazione fonica /er/ di consegnerò, e segnando un percorso lessicale significativo ai fini del senso.

Aveva il suono di una preghiERA.
Ti è promesso, consegnERò
Ciascuna delle cose. Anche oRA,

La simbologia dell’angelo (uccello / bambino) pone di fronte ad un panorama più che esteso di significati, di cui ora sarebbe impossibile trattare in modo esauriente. Nonostante tutto, il proposito è di scrivere, dovesse tornare o dovesse atterrare, con iterazione della formula ritmica in posizione iniziale ai versi 6 e 8, incisi con valore di prolessi ritardante che tiene in sospeso, per caricarla d’energia e attesa, la conclusione con «ti scrivo». Immediatamente prima, al verso 7, avviene il paragone con la pista, figura che si congiunge al tema dello scrivere, ma ad occhi chiusi. Dell’essere alato o dell’autrice? In quest’ultima opzione si tratterebbe dell’assunzione di un dovere a prescindere dalla condizione di essere al buio / ciechi, o nel buio e nella cecità della storia collettiva. La scrittura si rende pista o traccia da seguire, nel suo svolgersi sulla pagina concentrandosi sul silenzio acuendo l’udito, da parte dello scrittore e del lettore, o l’autrice stessa diventa pista con il suo corpo, e quindi medium di ciò che l’angelo suggerisce, o addirittura angelo stesso? Ad ogni modo il motore è l’ambito testimoniale, cioè portare “a compimento” (imperativo del primo libro) ciò che dal passato e dagli orrori della storia chiede voce e ragione[1]: la scrittrice vi conferisce concretezza facendosi attraversare dal silenzio delle cose del mondo – di cui non si vuole parlare perché scomodo, o di cui si ipercomunica ottenendo l’effetto contrario – e quindi dalle immagini che traduce in voce. La parola si fa portatrice di un’istanza di trasformazione e «testimone di visione e visione di testimonianza»[2], (al di là dell’immagine specchiata che potrebbe proporre l’autrice come corpo di scrittura attraverso cui trasportare un’esigenza di testimonianza di immagini stratificate dall’esterno), come suggerito da una delle citazioni riportate nel corpo dei testi del libro, precisamente il post haec della prima delle Poesie per G. che, come indicato in nota (p. 101 di Come non piangenti), appartiene alla precedente raccolta A compimento ed è tratta dall’Apocalisse:

Scribe ergo quae vidisti, et quae sunt et quae oportet fieri post haec.

Il quae oportet precisa che con la testimonianza nasce e coesiste un’istanza di trasformazione indipendentemente dalla sua fattibilità: oltre all’urgenza e alla necessità di comunicare che portano alla scrittura, all’Alziati non importerebbe l’attuabilità di uno slogan come un altro mondo è possibile; ciò che invece ritiene irrinunciabile e necessario è provarci, indipendentemente da qualsiasi garanzia che una meta possa essere raggiunta, anche attraverso la poesia, nonostante essa non sia il luogo deputato a cambiare fortinianamente il mondo.






[1] Incontro Testo, “Incontrotesto – Incontro con Cristina Alziati”, cit., p. 12.
[2] DAVIDE RACCA, “Recensione a Cristina Alziati”, 21 febbraio 2013, Punto critico. Critica letteraria, analisi e discussione sul contemporaneo, http://puntocritico.eu/?p=5067

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