martedì 28 febbraio 2017

Il ralenti dei "Tropismi" di Nathalie Sarraute

Marguerite Duras, Jean Cayrol, Claude Simon, Alain Robbe-Grillet, la recente proposta del romanzo-epistolario di Hélène Bessette La rottura, i racconti bellici di Blaise Cendrars e Nathalie Sarraute: la casa editrice Nonostante prosegue con costanza un percorso di riappropriazione di determinati libri importanti della letteratura di Francia (certo, non da sola, è in compagnia di altri editori, come ad esempio L'Orma). Curiosa anche dal punto di vista del bel progetto grafico è questa casa editrice, una delle poche a non nominarsi in copertina, se non con una parte del proprio emblema, risolto a sinistra con la finitura della liscia vernice UV sul bianco, grigio e blu che sono i colori che la contraddistinguono. E di Nathalie Sarraute Nonostante Edizioni è già al terzo titolo, che accompagna i volumi Ritratto d'ignoto e i saggi sul romanzi de L'eta del sospetto, di cui ho già dato notizia qui. (Pensandoci è curioso che questa realtà editoriale sia collocata a Trieste e non prossima al confine francese, e chissà che questa posizione serva tra qualche tempo ad avvicinare meglio scritture provenienti da altri punti cardinali.) Tropismi (pp. 115, euro 15, nella traduzione revisionata di Oreste Del Buono, postfazione di Arnaud Rykner) uscì in prima battuta nel 1939 per l'editore Robert Denoël dopo i rifiuti di Gallimard e Grasset. Nathalie Sarraute aveva iniziato a scrivere le brevissime prose che lo compongono nel 1932. Assai fredda fu l'accoglienza, con poche eccezioni, e tra queste si ricordino almeno Max Jacob e Jean-Paul Sartre, che poi firmò la prefazione a Portrait d'un inconnu nel 1948. L'opera ebbe una nuova edizione aumentata a 24 prose per Les Éditions de Minuit diciott'anni più tardi, nel 1957, quando tutti di discorsi possibili sul Nouveau roman e sulla centralità di queste pagine di Sarraute nella definizione di questo movimento erano già più maturi, calati in una sfera di possibilità e nel gioco letterario dei precursori.

Che cosa sono i "tropismi" del titolo? Si tratta di un prestito dal linguaggio scientifico e in questo Sarraute sembra inaugurare o quantomeno assecondare una lunga scia di prestiti scientifici nella letteratura del Novecento. In linea generale la biologia chiama così un "movimento orientato di un organismo, animale o vegetale, o di una sua parte, determinato dall'azione di uno stimolo esterno (luce, temperatura, umidità, gravità, fattori chimici, ecc.)". Il più noto tropismo è senza dubbio quello del girasole. Trasferendoci all'uomo, il tropismo che indaga Sarraute è una sorta di carotaggio della vita della psiche attraverso gesti, dialoghi contenutissimi, scene minimali. Nelle parole dell'autrice questi sono movimenti indefinibili che scivolano molto rapidamente verso i limiti della nostra coscienza e sono fonte delle nostre azioni, delle nostre parole, dei sentimenti che manifestiamo e crediamo possibile definire. In questi frammenti dove il ralenti testuale si tiene a larga distanza dal flusso di coscienza, pur condividendone certe prerogative, Sarraute coglie dei personaggi anonimi all'interno di un sistema e li descrive in un frangente di scissione interiore o soffocato terrore, tra l'impossibilità di affermazione e il desiderio di distinzione. Intendo qui l'accezione fisica della parola "sistema", quindi qualcosa di osservabile nel tempo. Ma proprio come nella fisica, il rischio, corso con coraggio, è quello che la conoscenza della realtà si riduca via via alla conoscenza della conoscenza o, per meglio dire, alla conoscenza dei metodi con cui cerchiamo di conoscere la realtà e si risolva con una sovrapposizione con l'oggetto stesso a cui è rivolta l'indagine conoscitiva, che in questo caso è di natura testuale e letteraria (sovrapposizione che non è necessariamente sinonimo di verità o conoscenza). E inoltre lo stato di perturbamento introdotto dall'osservatore-scrittore non è più - se mai lo è stato - indifferente nel tentativo di descrizione del sistema. Penso risieda qui una buona parte della consapevolezza teorica che ha trovato nella speculazione francese del Novecento, teorica e anche pratica, certi casi tra i più significativi dello scorso secolo. Accadeva questo quando altrove, in Europa e nel mondo, teneva banco, fra altri aspetti, una concezione di testo letterario come testimonianza. I personaggi di Tropismi non sono rappresentativi di qualcosa e portatori di istanze particolari, non sono emblematici, non possono nemmeno testimoniare qualcosa essendo senza nome; insomma oggi non sarebbero quei personaggi che fanno gola agli uffici stampa delle case editrici per ricamarci sopra un comunicato di lancio interessante. Sono semmai dei punti di partenza, attorno ai quali formulare un'ipotesi (che poi per simili ipotesi la fabbrica della narrativa contemporanea non abbia più tempo né spazio è un altro paio di maniche). Un libro da riprendere in mano, nell'epoca del fastidio e dei nuovi tropismi che avvengono nel parterre dei social media.

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