lunedì 10 aprile 2017

"Trilogia (variazioni 2004 – 2014)" di Primož Čučnik nella traduzione di Michele Obit. Una nota di Giampaolo De Pietro

Incerti editori ha pubblicato, nella traduzione di Michele Obit, una selezione delle poesie del poeta sloveno Primož Čučnik con il titolo di Trilogia (variazioni 2004 – 2014). Ospito di seguito la nota di lettura di Giampaolo De Pietro contenuta nel libro. Lo scorso anno, circa in questo periodo, erano uscite qui queste tre poesie di Čučnik, sempre nella traduzione di Obit.


Dovremmo registrare questi giorni
con tutte le videocamere ed i microfoni
che possiamo

Forse cosi comprenderemmo
che sono stati «i giorni delle nostre vite»

è come la premessa che chi scrive, al condizionale, fa – si fa.
Primož Čučnik, autore-presenza di questa raccolta – chiamata Trilogia proprio perché “prende” da tre suoi libri di un decennio, che forse potremmo anche dire della maturità (il tempo che avanza, non è sempre un tempo che matura, ci matura e disavanza, forse?) – sembra trattare nei suoi versi il materiale vivissimo dell’esserci, e dell’inevitabilità, per ciò, di un “tentato sottrarsi” attraverso la poesia. Nel desiderio di “una vecchia maniera di vivere”, come esordisce ne La prima poesia. Giammai un sottrarsi, né “evitare” di partecipare, anzi – forse proprio perché la presenza del sentire è tale da farsi eco a/di ogni elemento, talvolta il poeta può quasi spalleggiarsi – quasi sempre a fine poesia - con uno degli elementi in particolare, che forse porta tutti con sé, amandoli (dunque, anche in sé, gli altri elementi “dati”) – passandovi sensibilmente attraverso: questa forte altra presenza, voce ‘dentro-campo’ delle pagine di Čučnik è il vento. “Tutto è rimasto nelle mani del vento”. Un vento testimone, pensiamo: una presenza, insieme, con quella dello sguardo di chi scrive. Un vento in accadere, come la vita che attraversa, mentre il poeta la aggiunge, raggiunge, si lascia conquistare, partecipe e attento com’è, distratto quanto basta, per esserci come parola-in-presenza – registrando sensibilmente tutto, passante tra i passanti, ammiratore dei ciclisti, come il vento stesso, che suggerisce loro di sollevarsi, “appoggiandosi ai loro corpi”. Ammiratore dei processi, alcuni e non altri. I processi che sono andature, riflessi, chiavi dei rapporti con l’altro, gli altri, l’altra, le altre creature e lingue. Fa, qui il poeta come il “suo” vento. Spalleggia “una letteratura”, inevitabile, incorporata in tutto quel che fa e “diventa”, colpisce. E il tempo è lì, Aprile, un martedì:
(…) Questo martedì è andato oltre tutte le metamorfosi
del fiato lieve e dei marcati colpi di vento. (…)
E ancora questo, dimenticavo di dire.
Questo vento continua a prendersi gioco di noi.
Ma noi stessi non siamo abbastanza seri, no,
una percezione che vale oro.
(…)

Eventi, cambiamenti – “nuove finestre” (titolo di un libro dell’autore, del 2005), per esser “pronto a vederla diversamente”. “Ora” sì che “si vede meglio, tutto pare distinto” – e Scelte passeggere. Tutti, sembrano convergere in declinazioni per il vento, sempre lui, il protagonista – forse si dirà “a specchio” del suo movimentato verbo. E quella percezione che vale oro. Ecco, la percezione del vento. Un cammino nel bosco. Un vento che è come responsabile, e vigile – presente, per l’appunto – a ricordarci di essere, ricordare di esserci stati: “il vento ha gettato indietro la cenere” (…). Gli estratti dal libro "Come un dono", del 2007, ci donano dei versi di una nettezza lirica significativa, profondamente incisivi, che sfociano in una personalissima “realtà parallela”:
(…)
La mia reale condizione è fissare lo sguardo
di un bambino. Questa – risvegliata da uno schiocco di dita –
realtà parallela.
In Avvisaglie di primavera, Hopkins a seguire “ci ritroviamo nel ruolo di oscuri suggeritori”. La primavera che continua e s’inoltra. Fino alla nebbia, di due testi a seguire che “si guarda tristemente attorno, dietro le incombenze del vento.”
“La lingua è un concetto universale che ci frantuma.”
Ecco, come accennato su, un discorso generale sul linguaggio, la lingua e natura in Le mie ortensie – un discorso europeo, nuovamente – geofisico e antropologico. Ma in questa poesia non grava alcun segno distintivo di forzata presa di posizione sociale, intellettuale. Non vi avvertiamo forzature, già. Ma un vento vivo, anche integro come le percezioni che ha, e soffia. Asciuga e suggerisce, porta. Insieme a una tristezza che non potrebbe essere trascurata o obliata a sincera testimonianza de «i giorni delle nostre vite».

Giampaolo De Pietro

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