Seamus Heaney (1939-2013) |
Di Heaney, in Italia, è recentemente uscito un libro breve per un editore interessante come Tre Lune (un catalogo da tenere sott'occhio). Si intitola Virgilio nella Bann Valley (pp. 104, euro 13, a cura di Giorgio Bernardi Perini e Chiara Prezzavento) e rappresenta, volendo tirare un po' lo sguardo, un inedito e bell'incrocio tra il grande irlandese e il nostro Zanzotto, all'insegna di Virgilio. Il volume rimanda alla traduzione della Bann Valley Eclogue (già in Electric Light assieme all'altro testo virgiliano intitolato Virgil: Eclogue IX) e contiene contributi saggistici inediti disparati, tutti confezionati per un'occasione importante, quale fu la consegna del "Premio Internazionale Virgilio" avvenuta Mantova nel 2011. Anche la presenza di Virgilio, trasversale, in sincronia e diacronia, potrebbe essere oggetto di un qualche studio. A me interesserebbe leggere qualcosa di simile, detto in altre parole. Credo che questo piccolo libro, uscito un paio di mesi fa, diventi ora, a pochi istanti dalla notizia della morte del poeta, un bell'omaggio, proprio quando in Italia, nel frattempo, cresce anche l'attesa per la traduzione "integrale" di Marco Sonzogni.
L'ultima traduzione di peso pubblicata sinora in italiano rimane quella di Human Chain (Catena umana, Mondadori, 2011). Ne ho già accennato, in uno dei primissimi post di questo blog. Con questo libro Mondadori aveva avviato tra l'altro una nuova veste grafica per la collana Lo Specchio e pubblicato quattro bei (anche se orribili nel formato e nella carta) volumi di poeti "giovani" (Bernini, Carabba, Pellegatta e Ponso). La traduzione, come nel caso di Electric Light, era stata affidata a Luca Guernieri, dopo anni in cui il lettore italiano aveva conosciuto la poesia e le prose di Heaney nelle versioni dell'amico Massimo Bacigalupo o di Roberto Mussapi. Di questo libro pesco un testo soltanto. Come si legge anche in Virgilio nella Bann Valley, a volte non sono importanti "molti testi". A volte, per ciascuno di noi, basta il senso del trascolorare di pochi testi nell'arco di una vita. La mia scelta cade allora su The Baler, una poesia che mi riporta molto indietro, alle balle di fieno della mia infanzia, anche se quelle erano parallelepipedi e non cilindri come queste irlandesi di Heaney o quelle che troviamo ormai ovunque anche nei nostri paesi. La traduzione è mia. Ce l'avevo, quasi pronta.
L'imballatrice
Il rumore di un'imballatrice tutto il giorno
senza sosta, monotonia cardiaca,
dato per scontato
al punto che arrivò la sera prima
che capissi cosa stavo ascoltando
e perdendo: le ore più piene dell'estate
come erano trascorse dal principio,
sollevate dalla forca, solcate di sudore
e quasi ricompensate quanto basta
dal trotto di un trattore in corsa
sul finire del giorno
all'ultimo giro del campo di fieno.
Ma quello che ricordai anche,
mentre i colombacci corteggiavano al bordo
di trenta acri spigolati
e io stavo a inspirare il fresco
in un eldorado crepuscolare
di possenti balle cilindriche,
furono le parole di Derek Hill,
l'ultima volta che sedette al nostro tavolo:
non ce la faceva più a guardare
la discesa del sole
e chiese se per favore poteva
essere messo con le spalle alla finestra.
The Baler
All day the clunk of a baler
Ongoing, cardiac-dull,
So taken for granted
It was evening before I came to
To what I was hearing
And missing: summer's richest hours
As they had been to begin with,
Fork-lifted, sweated-through
And nearly rewarded enough
By the giddied-up race of a tractor
At the end of the day
Last-lapping a hayfield.
But what I also remembered
As woodpigeons sued at the edge
Of thirty gleaned acres
And I stood inhaling the cool
In a dusk eldorado
Of mighty cylindrical bales
Was Derek Hill's saying,
The last time he sat at our table,
He could bear no longer to watch
The sun going down
And asking please to be put
With his back to the window.
That is a great poem. I love it (and was looking for it).
RispondiEliminaLuke