"Ciò che per me è sacro non è né la sua persona né la persona
umana che è in lui. È lui. Lui nella sua interezza. Braccia, occhi,
pensieri, tutto. Non arrecherei offesa a niente di tutto questo senza infiniti
scrupoli.
Se quel che vi è di sacro in lui per me fosse la persona umana,
potrei cavargli gli occhi facilmente [...]".
Sembra un passo quasi innocuo eppure diventa rivoluzione, se fatto
nostro con attenzione, perché apre le porte all'impersonale, che è veramente ciò che di sacro vi è in una
persona. Verità e bellezza abitano quest'ambito di ciò che è impersonale,
anonimo. La persona e il sacro si lascia leggere anche per le
sfumature ricche della prosa, spazia e ritorna costantemente al tema del titolo
(un titolo che, sotto certi aspetti, potrebbe pure depistare). Belle, inoltre,
le pagine dedicate al lavoro fisico, tema conosciuto e sperimentato da Simone
Weil, e anche le "ipotesi di
lavoro" su determinate istituzioni intermedie destinate ad abolire tutto
ciò che nella vita contemporanea "schiaccia le anime sotto l'ingiustizia,
la menzogna e la bruttezza". Pagine vere, quasi operative, nient’affatto
vaghe.
Questo scritto non sarebbe lo scritto che è ed è diventato se non
fosse corredato, nella sua incompiutezza, di quella netta visione del diritto
(Weil parla di "mediocrità" della nozione di diritto) che troviamo circa
a metà libro. Il diritto è per natura dipendente dalla forza, ci ricorda Simone
Weil. Nata in epoca romana, tale nozione si correla al monopolio della forza, diventa
nella sostanza un'idea utile per ammantare la forza, affinché quest’ultima abbia
piena efficacia. Sta qui una delle parti più notevoli, specificatamente nella
ripresa del diritto così come ce l’avevano consegnato Diderot e la sua cerchia
(non certo Rousseau) nel XVIII secolo, come punto di non ritorno verso le nuove
derive di bruttezza, uso e abuso contemporanee (curioso che altri intellettuali
e giuristi, come Hans Kelsen e Carl Schmitt, si confrontassero, più o meno
negli stessi tempi, col tema del diritto). Secondo la Weil lodare Roma per
averci trasmesso la nozione di diritto è "scandaloso". I greci non possedevano
tale nozione e solo per un singolare malinteso la vicenda di Antigone è stata
scambiata per "diritto naturale". Ma sono davvero molti i passi in
cui lo scritto si fa denso (quelli sul linguaggio, la bellezza e sull'ascolto,
certe immagini o similitudini adoperate) e dove lo stile appare rastremato
verso sommità di pensiero. Prendete ad esempio questo passaggio intermedio e
chiave di volta delle pagine dedicate alla nozione di diritto:
“La materia pesante è in grado di
salire e andare contro la gravità solo nelle piante, grazie all’energia del
sole che, captata dal verde delle foglie, opera nella linfa. La gravità e la
morte si riapproprieranno invece, progressivamente ma inesorabilmente, della
pianta che sia privata della luce”.
A voi scoprire come tale passaggio
si innesti nelle riflessioni sul diritto. L'ho riportato perché, a prescindere da dove è collocato, offre un micro-saggio della sua prosa. Se "mistica" fu, questa
donna che indossava inconfondibili occhiali, aveva anche i piedi così straordinariamente poggiati a terra. Camminando
per strada, e ovunque siamo, dopo aver letto un libro così breve e potente,
possiamo provare a capire che in ogni uomo vi è qualcosa di sacro. Questo qualcosa non è certo la
sua persona e tantomeno la persona umana. "È semplicemente lui, quell’uomo”.
Utile, la ringrazio. R.
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