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sabato 17 marzo 2018

"L'informe e senza ombra" di Ikkyū. Due conversazioni

Librobreve intervista #82

Da qualche giorno è disponibile L'informe e senza ombra del monaco buddista e poeta giapponese Ikkyū (Kyōto, 1394 – Kyōtanabe, 1481), libriccino de La collana Isola tradotto da Leonardo Vittorio Arena e illustrato da Chiara Druda (per informazioni lacollanaisola.tumblr.com) e qui di seguito si ospita una conversazione della curatrice della collana Mariagiorgia Ulbar con l'illustratrice e il traduttore.

Una conversazione con Chiara Druda

1) Chiara, quando ti è stato proposto di disegnare un’Isola, i dattiloscritti che ti avevamo inviato erano due e tu hai preferito i canti di Ikkyu. Non conoscevi l’autore, ma lo hai scelto. Ti era stato detto che veniva dal passato e ti veniva proposta una lettura in traduzione. Sapevi che non avresti potuto comunicare con lui - non utilizzando i canali convenzionali almeno, ma non hai avuto dubbi nella scelta. Quale corda ha toccato? A quale visione grafica ti ha condotta?
R: Ho scelto Ikkyu perché parla una lingua universale, questo mi ha sollevata dal problema della comunicazione, una lingua mediopassiva cui tendo, insieme all’orecchio, la mia, in una sorta di bacio di comprensione e svelamento. L’ho scelto per la perspicuità con cui descrive l'amore per la vita e per la morte, si riesce a compatirlo, sono stata affascinata dalla naturalezza con cui la sua parola può sfumare nel discorso di un altro, andare e venire, insinuarsi. Un monito fiorito, privo di vanità, che dura nella vanitas. Graficamente ha evocato dapprima i segni, successivamente i disegni, intesi come discorsi complessi di subordinate grafiche.

2) Come hai disegnato le poesie di Ikkyu? Che rapporto c’è tra parole e immagini?
R: Ho letto e ho sentito il fiume ed anche il mare, ho sentito “lo stesso" manifesto in circostanze diverse, che sono le mie, le mie grafie, i miei topoi, visioni, casi e disguidi, i disegni. Ikkyu rende accessibile e confortevole la sospensione del giudizio, l’epoché, la verità. Per questo non ho illustrato le sue parole ma ho detto a modo mio, in proporzione a ciò che ho appreso, lo stesso sentimento. La montagna, la pioggia, il Calderone, il fiume, il mare, la verticale, l’ascesi orizzontale.

3) Se immagini questo poeta di molti secoli fa in un Giappone molto diverso da quello di oggi, provando a dirlo in una parola, cosa vedi? E se lo immagini oggi?
R: Lo immagino sorridente, per sempre. 

4) Sei una ceramista: come sarebbe la poesia di Ikkyu in ceramica? Che tipo di manufatto? Puoi dirci forma, colore, consistenza?
R: Sarebbe argilla, lasciata alla natura, non fissata irreversibilmente dalla cottura che definisce la ceramica. Sarebbe un invito ad andare a cercare la materia e godere delle forze che naturalmente la trasformano.

5) Che cos’è per te un’isola?
R: Un approdo, in senso lato. La collana Isola lo stesso.


Una conversazione con Leonardo Vittorio Arena

1) Dal 2012, la Collana Isola ha pubblicato ventuno Isole e questa è la ventiduesima, poesie e illustrazioni in bianco e nero come sempre, ma con una differenza: Ikkyu è il primo poeta non vivente e non contemporaneo a comparire nella collana. Ti chiedo: Ikkyu è “non vivente” e “non contemporaneo”?
R: Rispondo per analogia. Quest'anno, per il mio corso di Storia della filosofia contemporanea all'università di Urbino, una delle due parti è dedicata al maestro taoista Zhuangzi, all'incirca vissuto tra il IV e III sec. a. C. Ciò che ho detto per lui vale, a maggior ragione, per Ikkyu. La sua presenza si percepisce sempre di più oggi, grazie alle tematiche e allo spirito. Certe opere sono sovratemporali.

2) I canti che compaiono in questa edizione di Isola non sono la tua prima traduzione del poeta giapponese: quando hai tradotto Ikkyu per la prima volta? Quante volte lo hai tradotto e perché?
R: La prima volta fu per una rivista, ma non ne autorizzai la pubblicazione. Studiavo giapponese da due-tre anni. Pochi anni fa ho scritto un ebook, Ikkyu poeta Zen, con molte citazioni dalle sue opere. Mi è stato utile per un corso monografico sul suo pensiero, nella disciplina "Filosofie orientali". Ikkyu mi ha colpito subito. Il suo spirito anti-istituzionale e libero l'ho sentito molto vicino.

3) Quando rileggi le traduzioni che fai, trovi la distanza per leggerle? Quando hai il libro in mano, chi è a leggere? Leonardo, il traduttore di Ikkyu, un lettore qualunque, una emanazione di Ikkyu che legge la versione di sé in italiano, il lettore o la lettrice d’elezione che hai immaginato traducendo?
R: Non sono distante. Forse, nella rilettura, sono il traduttore o lo studioso del buddhismo. Penso che potevo cambiare alcune parole o impostare una versione diversa. È l'attitudine più comune con cui rileggo i miei testi stampati. Con Ikkyu mi è capitata una cosa strana, insolita: ho sentito una registrazione in cui si recitavano poesie dalla mia traduzione. Mi sono piaciute, non le ho riconosciute subito.

4) È la prima volta che qualcosa da te scritto o tradotto viene illustrato da una persona che non conosci e che ti viene proposta da chi cura il libro: avevi riserve in merito? Come è stato l’incontro con i disegni? Puoi raccontarci in poche righe reazioni, dubbi, gioie o altro?
R: Avevo riserve, ma potrei dire che non avevo colto lo spirito della collana. Non mi era stato spiegato, non lo avevo capito o non ricordavo che traduttore e disegnatore avrebbero lavorato in piena libertà e autonomia, senza comunicare. Sono un fautore della improvvisazione musicale radicale; quindi, una volta apprese le "regole" o i "principi" editoriali, ho accolto di buon grado disegni che non mi sembravano pertinenti. Nell'improvvisazione si accetta qualsiasi cosa dall'interazione tra i musicisti, senza prevenzioni. Tutto vale ed è bello. I disegni esercitano su di me un grande fascino. Mi piacerebbe fare fumetti, ma non ho mai trovato un disegnatore che potesse dar corpo alle mie storie. È stato molto gradevole per me vedere queste poesie "sceneggiate".

5) Pensando a tutto ciò che per te rappresenta la poesia di Ikkyu e dovendolo riassumere in una immagine o in un disegno, cosa vedi?
R: Un airone bianco in mezzo alla neve.

6) Come consiglieresti la lettura di questo libro usando solo tre parole?
R: "Fanne quanto vuoi."

7) Cos’è per te un’isola?
R: Evoca qualcosa di separato, altero, fiero della sua diversità.


NOTE

Chiara Druda è nata sulla costa dell'Adriatico centrale, ha studiato pittura e filosofia guardando l'orizzonte e attraversando campi e nel 2012 ha intrapreso il percorso della ceramica che l'ha portata a Castelli, sotto il Gran Sasso. Lavora a progetti artistici per la ceramica in Italia e in alcune città europee. Conduce laboratori di ceramica.

Leonardo Vittorio Arena insegna storia della filosofia contemporanea all'università di Urbino. Orientalista, fa corsi di meditazione e concerti di musica elettronica con ipad. Pubblica per Rizzoli, Mondadori e altre case editrici italiane. 
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Leonardo_Vittorio_Arena

martedì 14 febbraio 2017

"Elegia" di Lev Rubinštejn, nella traduzione di Alessandro Niero e con le illustrazioni di Stefano Ricci

Certe volte pensi fra te e te: «Beh, allora, caro, quando ti decidi a dire la tua senza mezzi termini? Quello bisogna fare. E invece, cazzo, sempre “arte”, “arte”...»

Ci sono alcune informazioni che si possono dare in avvio: la collana Isola, un progetto tra la poesia e il disegno partito nel 2013, riprende le pubblicazioni dopo un silenzio protratto; lo fa con una proposta da un poeta russo poco frequentato in Italia, tradotto da uno dei nostri più preparati slavisti. Elegia di Lev Rubinštejn (pp. 32, traduzione di Alessandro Niero e illustrazioni assai belle di Stefano Ricci) costituisce un'occasione per affacciarsi sulla poesia che si è scritta fuori dai nostri confini, ed è questa, quasi sempre, un'occasione da sfruttare. Anche perché - diciamocelo - spesso si perdono di vista i libri e quello che accade in poesia, dentro i nostri confini politici e linguistici, si riduce ai toni asfittici di qualche discussione campata in aria. La cartina di tornasole di un cervello poetico poco ossigenato è ormai il divagare schizofrenico, ora di ottimismo convinto ora di pessimismo catastrofico, sullo stato di salute dei versificatori nostrani (penso ad articoli che davvero a nulla servono se non al conto corrente di qualche collaboratore dei supplementi culturali). Non credo sia solo una mia impressione che si traduca troppo poco la poesia che si scrive altrove. Questo fatto già non è il massimo di per sé, ma se si inserisce in un panorama dove le chiacchiere superano di gran lunga la preparazione e la volontà di leggere, leggersi e confrontarsi , allora diventa un ulteriore ostacolo e capiamo perché la traduzione di poesia diventa quasi un valore in sé o un antidoto al veleno almeno, una facilitazione di una scoperta. Del resto è abbastanza facile riconoscere che, più che a un confronto schietto, l'attuale "comunità" di chi scrive e compra libri è improntata a un controllo di tutti contro tutti e non certo a una verifica dei poteri e soprattutto delle impotenze. Il gesto di proporre poesia in traduzione può dunque, a mio avviso, essere salutato come un vaccino contro i virus di questa stagione di grossa incertezza ed è una delle poche attività che ha senso incoraggiare e sostenere (altrove invece incoraggiamento e sostegno hanno perso del tutto le loro ragion d'essere, anche nei piani "generazionali"). Sul finire di questa introduzione aggiungo che chi ha maneggiato in passato i minuti libri di questa collana troverà stavolta un numero di pagine raddoppiato rispetto ai precedenti titoli del contenitore ideato e curato da Mariagiorgia Ulbar e Andrea Bruno.

Preceduto da una breve apparizione in un'antologia di Clueb del 2007 intitolata Il poeta è la folla. Quattro autori moscoviti: Vsevolod Nekrasov, Lev Rubinstejn, Michail Ajzenberg, Aleksej Cvetkov (a cura di Eugenia Gresta), questo nuovo contributo alla conoscenza della poesia di Lev Rubinštejn racchiude 47 frammenti che iniziano tutti con "Certe volte...". Già a metà della lettura l'effetto di accumulo è prossimo all'ipnosi. Il testo originale russo è in coda e non a fronte, dal momento che la contrapposizione ricercata in questi libretti è tra poesia e immagini, più che tra lingue disposte sullo specchio di pagina. Può interessare sapere qualcosa del sistema con cui questo poeta e saggista russo (classe 1947) è solito vergare i fogli della propria poesia: si tratta di tessere, simili a quelle della catalogazione bibliografica di una biblioteca. Ecco uno stralcio in 5 frammenti:



34.
Certe volte ti si ficca in testa una certa frase e cerchi di sbarazzartene. Peccato: in essa, forse, si cela il senso recondito di ciò che sta accadendo in quel momento.
35.
Certe volte ti scalmani tanto in cerca della agognata quiete, ma basterebbe aspettare: e tutto arriverebbe.
36.
Certe volte è come se ti stessi avvicinando a una certa cosa, ma quella non fa che allontanarsi, allontanarsi.
37.
Certe volte ti avvicini al limite fatale, sosti un attimo a riflettere, poi lo oltrepassi.*
38.
Certe volte non si dovrebbe perdere letteralmente neanche un minuto e noi, invece, siamo lì che indugiamo, indugiamo.
* Allusione all’ incipit della poesia Est’ v blizosti ljudej zavetnaja čerta... (C’è nella vicinanza umana un limite fatale, 1915) di Anna Achmatova.


C'è poco da aggiungere forse, si tratta di un libretto che si sta prima a leggere e che può incuriosire nuovi lettori. Poi, va da sé, si può anche rileggere, come tutte le cose scritte, e allora incrementerà la densità che possiamo percepire, anche negli intervalli dei 47 frammenti. Alcune informazioni prima di concludere: il sito della collana Isola, al quale potete rivolgere eventuali richieste, si trova qui, mentre a questo link potete liberamente consultare una tesi di laurea di Sara Zaghini su Lev Rubinštejn.

venerdì 5 dicembre 2014

Fabio Donalisio, "Nulla più e nulla meno"

Le note critiche del premio letterario "Anna Osti"











Quinto e ultimo appuntamento della miniserie di cinque post dedicati alle note critiche ai libri premiati o segnalati all'ultima edizione del premio letterario Anna Osti. Ringrazio i promotori del premio e i singoli autori di queste note. Ospito oggi il testo che Giusi Montali ha scritto per Nulla più e nulla meno di Fabio Donalisio (Isola, 2014).

Nulla più e nulla meno è un'esile raccolta di sei testi che, a detta del titolo, si danno in apparenza come una scrittura semplice, schiacciata sulla realtà, scevra da interpretazioni plurivoche. Quanto di più errato. Tema della raccolta è la difficoltà di ancorare l'esistenza e il primo testo mette in scena un soggetto alle prese con la difficoltà del riconoscere la propria identità burocratica sancita dalla foto di un documento [I, “rientro nella foto del documento; | guardarla, nel suo caucasico non rosa, | lo sguardo troppo dritto per essere (anche un briciolo) | vero, mantiene il minimo sindacale di grottesco”]. Così se il documento ci limita all'identità anagrafica e ci appiattisce alla dimensione unica della burocrazia, ci dona però la supposizione di una nostra esistenza (V, “un onorevole recapito giuridico | […] un luogo […] dove […] | concedersi l'illazione di esserci | stati”). E ancora, questa discrasia tra l'essere (il vivere organicamente, l'avere un corpo) e l'esistenza (più alta forma di vita che valica i confini della mera biologia) sembra irreparabile e si incunea anche nei momenti di rilassatezza e svago quando il pensiero produce “domande | prive di ogni ragione in quanto (tanto) | l'unico movente plausibile è mettere | lontano tra l'essere e il vivente” (III). Proseguendo nella lettura, il soggetto è presentato in situazione: cammina per il suo quartiere, considera l'assommarsi nel corso del tempo degli errori edilizi e umani, constata l'espandersi della città oltre i suoi confini, ed è sorpreso dai rovesci climatici romani che lo riconducono alla certezza dell'esistenza (II, “star qui dopo il doccione tropicale | quotidiano – un po' corto di fiato, ma vivo”). Ma ad attirare la nostra attenzione è il quarto testo che promette al lettore ostinato, e pronto ad accettare la sfida interpretativa, lo svelamento di una poetica. Si incomincia con la citazione di parte del ritornello di una canzone di Pink, Try, che banalmente profetizza un destino di consunzione a opera del desiderio. Questo il preludio a un testo 'incendiario' che contrappone alla banalità delle canzonette un altro destino: divenire cenere “bagnata che non vola, | danza”, impregnata d'acqua, resto di ciò che era il fuoco (o come direbbe Derrida: “Feu la cendre”, ovvero 'fuoco la cenere', oppure l'omofono 'fu la cenere', e quindi il fuoco che la cenere un tempo è stata). Forse peccherò di un eccesso interpretativo, ma lo scritto di Derrida succitato rivela la tensione che si crea tra scrittura e parola, tra lettura a voce alta (corporale) e lettura silenziosa (mentale), ponendo in luce le numerose interpretazioni di una data scrittura - apparentemente lineare - una volta che questa è stata sottoposta a un pubblico di lettori: e allora il monologo dell'autore diviene dialogo con il lettore e, infine, polilogo quando i lettori comunicano tra loro l'esperienza di lettura, generando la critica, l'esegesi e, in senso più ampio, il discorso intorno alla letteratura. Non ci troviamo forse nel medesimo frangente leggendo queste poesie di Donalisio? Sospendendo la domanda, ritorniamo al testo e notiamo che, attraverso l'abbandono al rito incendiario (IV, “ho scosceso il dito | dalla tanica al cerino, avvinto faccia a vampa | come vischio addosso al pino”), il soggetto riesce a denudare Euridice - la vera musa dei figli di Orfeo, i poeti – lei, che può voltarsi ma non fugge e si vota alla morte (all'incendio?), prende la parola per inaugurare un nuovo dire, una coniugazione altra (la quarta!) che assicura la sizigia, l'unione perfetta di pensiero (mente, riflessione, passività) e azione in un senso e in quello contrario (contro-azione), ma anche contrazione: e davvero la mente si unisce al corpo, la riflessione all'attivismo, la ragione alla corporeità.

Giusi Montali


domenica 9 novembre 2014

Due presentazioni della collana Isola, a BILBOLBUL di Bologna e al Teatro Capovolto di Carbonera (Treviso)

LIBRICCINI DI POESIA E DISEGNI

Due presentazioni ravvicinate della collana Isola
a Bologna e a Treviso:

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domenica 23 novembre 2014 alle ore 16:30
nell'ambito del festival BILBOLBUL
Libreria Modo Infoshop - Bologna 

Letture e conversazioni con poeti e illustratori della collana
Modera l'incontro Domenico Rosa de Il Sole-24 Ore
 
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venerdì 28 novembre 2014 alle ore 21
Carbonera - Treviso

Letture di Marco Simonelli da Ora di chiusura (illustrazioni di Luca Genovese)
e di Alberto Cellotto da I piani eterni (illustrazioni di Nicolò Pellizzon)
Introduce l'incontro Marco Scarpa

Il sito della collana Isola sta qui.

giovedì 24 luglio 2014

"I piani eterni" per la collana Isola

Appena stampato; illustrato dal bianco, dal nero e dai grigi di Nicolò Pellizzon.


I piani eterni, pp. 16
testo di Alberto Cellotto e illustrazioni di Nicolò Pellizzon


La collana Isola - libriccini di poesia e disegni 
a cura di Mariagiorgia Ulbar e Andrea Bruno

[...] Ci sono occhi che restano / nei sentieri come bastoni di pastori / bellissimi tra i pastori e tra i bastoni.

domenica 25 maggio 2014

La presentazione della collana Isola inaugura la seconda edizione di "Bologna in Lettere"

De "La collana Isola", libriccini di poesia e disegni, ho scritto a gennaio dando notizia dell'uscita dei primi quattro titoli. La ricerca continua, sono pronte altre perle di collana e ora la presentazione di questo progetto curato da Mariagiorgia Ulbar diventerà il momento inaugurale della seconda edizione del festival di letteratura contemporanea "Bologna in Lettere" che si terrà i prossimi 30 e 31 maggio nel capoluogo emiliano. L'arcipelago della collana s'arricchisce proprio in questi giorni con La spadina, uscita in parte anticipata nel precedente post, che ci porta al poeta e traduttore polacco Jarosław Mikołajewski. Il testo polacco è qui reso in italiano da Silvano De Fanti e illustrato da Francesco Balsamo (qui a fianco vedete la copertina). Ricordo che a Mikołajewski dobbiamo alcune tra le più recenti traduzioni in polacco dei nostri poeti: Pasolini, Penna, Pavese, Luzi, Ungaretti, Montale, Leopardi, Michelangelo, Petrarca e Dante. Per finire, e prima di lasciarvi al programma completo di "Bologna in lettere", un paio di anticipazioni da questa collana di libri davvero brevi: a giugno usciranno sia le poesie di Raimondo Iemma illustrate da Cristina Portolano sia quelle di Marco Simonelli illustrate da Luca Genovese. Questo il sito del progetto.


Bologna in Lettere
Festival di letteratura lontemporanea
II edizione
30/31 Maggio 2014
(potrebbe essere soggetto a variazioni e aggiornamenti)

sabato 18 gennaio 2014

La collana "Isola", libriccini di poesia e disegni a cura di Mariagiorgia Ulbar e Andrea Bruno

Storie di collane micro #11

Per chi voglia provare a fare buoni libri di poesia c'è spazio. Forse c'è più spazio che mai. Ovvio che magari dobbiamo scordarci copertine rigide, sovraccoperte, grandi formati e foliazione, distribuzione capillare. Ma questo non significa scarsa cura grafica, anzi. E poi non è in quelli apparati che dobbiamo cercare e possibilmente trovare la poesia, anche se la fattura del libro può ancora rivestire una certa importanza: il blasone di certe collane di poesia storiche ormai inizia a scricchiolare sonoramente. Mi pare di aver sostenuto quest'idea già altre volte e la ribadisco. Un'ulteriore conferma arriva anche dalla nuovissima collana dal nome huxleyano di "Isola" di Mariagiorgia Ulbar e Andrea Bruno. "Libriccini di poesia e disegni" recita il sottotitolo. Libri davvero piccoli, 16 pagine, che però dimostrano una progettazione coerente ed efficace, nata - suppongo - sulla scia di un libretto che oggi potremmo considerare il numero zero della collana, Osnabrück, contenente poesie della Ulbar e illustrazioni di Bruno. Se quel libretto presta forse il format a questa nuova collana, l'ultima sezione de I fiori dolci e le foglie velenose, "Isola", presta il nome a questa nuova collana terracquea. Chi la inaugura? In alto vedete la copertina di Da un luogo vacillante di Yari Bernasconi (1982), poeta della Svizzera italiana che avevamo già potuto apprezzare nell'ultimo Quaderno edito da Marcos y Marcos (si veda anche qui) e che rileggeremo presto per le sue importanti curatele su Giorgio Orelli, in uscita in questo 2014. Il suo libro illustrato da Guido Volpi inizia così: "Correvi nelle stanze disfatte, tra i mattoni, / nel grumo di pareti sbiadite e abbandonate. / Sapevi dove andavi: anche al buio, la sera, / riconoscevi il contorno dei mobili, le tracce / di chi aveva deciso di partire (lasciando tutto). [...]".

Sono contento di aver trovato in un altro libretto della collana, Cosa inutile, l'opportunità di leggere più diffusamente Dina Basso (siciliana di Scordia, classe 1988) che scrive nel proprio dialetto. Nel suo libretto illustrato da Elena Guidolin mi ha colpito in particolar modo questo testo che comincia così: "Arristava abbabanuta / ogni vota ca scupreva / do trasportu de' cavaddi / verso i cursi e no maceddu. / Iddi fermi, supra i rroti / u travagghiu è ddo muturi, / comu u latti dintra i camii / comu i camii da binzina / ca ieunu versu u rifornimentu. [...]" (Restavo abbacinata / ogni volta che scoprivo / del trasporto dei cavalli / verso le corse e al macello. / Loro fermi, sopra le ruote / il lavoro è del motore, / come il latte dentro i camion / come i camion della benzina / che andavano verso il rifornimento. [...]").


"distratti / dal profumo delle rose / abbiamo barattato / il cosa era con il quanto siamo // simili nel gambo // storti nelle pose // dentro un male incorniciato/  stiamo cresciuti / ma completamente soli [...]" La poesia di Sergio Rotino (Lecce, 1958, da tempo a Bologna, tra i fondatori di una delle più belle riviste degli anni passati, "Versodove") è contenuta in Altra cosa da inventare, libriccino stavolta intervallato dai disegni del bravissimo Davide Catania, illustratore dotato di uno dei tratti più convincenti tra quelli che accompagnano questa prima infornata di titoli. La lunga frequentazione del cinema salda in questo volume di "Isola" la compenetrazione tra parole e quel delicato fenomeno che diventa un'illustrazione di queste. Di Rotino vorrei consigliare un piccolo proseguimento qui (ma prima di cliccare arrivate alla fine di questo post, se avete voglia, sennò non tornate più).

L'accoppiata Ulbar-Bruno ritorna dopo Osnabrück in Transcontinentale, volume dove l'ossessione del viaggio dell'autrice abruzzese  nata a Teramo nel 1981 appare sin da un titolo che s'annuncia più come una lacerazione che come un'unione di terre. La rete da pesca della scrittura insulare di Mariagiorgia Ulbar ha rivisitato e riparato tante maglie, se la confrontiamo con il bel libro d'esordio I fiori dolci e le foglie velenose (un libro che ha solo il difetto, a causa della copertina, di finire sicuro dentro lo scaffale "Giardinaggio" delle librerie se nelle librerie dovesse arrivare). Cambia la rete, cambiano le maglie e cambiano i pesci di cui si nutre l'autrice ("che se mangi poi per forza devi espellere / e che questo vale anche per l'affetto" scriveva a proposito nel libro d'esordio), ne restano imbrigliati altri, nuovi animali, nuove peregrinazioni sul tempo con un passo che batte un ritmo tra l'ancestrale e il postatomico: "Pur cercando io non ho mai trovato / una cosa in me che mi rendesse / un essere stanziale , un animale / come un cane, un cinghiale o un lupo. / Vagare per desolazioni ampie / - territori boscosi o di pietre - / lunghe, spaziose, remote / ma sapere riconoscere le proprie."

Una nuova infornata di titoli è già impastata. Di Alessandra Carloni Carnaroli è già pronto Sei Lucia illustrato da Paolo Parisi. Le accoppiate poeti-illustratori annunciate sono degne di nota. Un'anticipazione? Carlo Bordini-Silvia Rocchi, Azzurra D'Agostino-Michelangelo Setola e Fabio Donalisio-Marco Corona. Questo è il sito della collana Isola. Un'intervista di approfondimento e presentazione del progetto di Gianni Montieri a Mariagiorgia Ulbar si può leggere qui.

In bocca al lupo.