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lunedì 10 settembre 2018

"De l'infinito, universo e mondi". Il manuale di esobiologia di Sebastiano Vassalli. Uno scritto di Roberto Cicala

L'editore Hacca ha mandato in libreria De l'infinito, universo e mondi. Manuale di esobiologia di Sebastiano Vassalli. Il titolo bruniano cela uno scritto a lungo rimasto inedito, tra le carte dello scrittore. Destinato originariamente a Einaudi, questo testo non ebbe fortuna. Di seguito, per gentile concessione dell'editore e grazie alla puntuale collaborazione di Francesca Chiappa, si propone lo scritto introduttivo di Roberto Cicala, il quale, oltre a fornire un piccolo saggio di storia dell'editoria italiana, colloca quest'opera all'interno della ricerca vassalliana.

Un manuale per trovare la via del romanzo.
La ricerca di Vassalli tra poesia e fantascienza a cavallo del Sessantotto

«Fuori del libro nell’universo dei sogni, un universo di morte» è la visione apocalittica che segna la parabola di Sebastiano Vassalli a cavallo del Sessantotto nelle pagine del Millennio che muore, forse il punto lirico più alto del giovane autore d’avanguardia che, non va dimenticato, nasce proprio come poeta con Lui (Egli) pubblicato nel 1965 da Rebellato. Fin dal titolo della sua prima plaquette l’idea di «annullare l’io» predominante in tutta la letteratura tradizionale è uno degli imperativi categorici del contestatore che riceve il battesimo dal Gruppo 63 in un incontro a Fano alla vigilia di quel 1968 in cui esordisce nel catalogo Einaudi con l’«euforica bisboccia verbale sconnessa e avvampante» rilevata da Giorgio Manganelli in Narcisso, anche se è Giorgio Bárberi Squarotti a segnalarlo per primo al gruppo della collana dello Struzzo “La ricerca letteraria” dalla tipica copertina rosa shocking.
Eppure i versi del «millennio che muore, un canto corale, armonioso, possente, di morte su un universo di individui e di cose che esistono senza essere» sono schegge di quel tronco di fantascienza che il giovane autore prova a intagliare con un’impostazione creativa che l’attuale scoperta del Manuale di esobiologia dimostra d’essere, nella bibliografia vassalliana, non una semplice curiosità ma un passaggio nodale nella ricerca di una via nuova per l’urgenza di una scrittura in quegli anni avvertita come «macaronico inganno, sontuosa, carnevalesca dissimulazione di un’idea di morte, di cosmica vacuità». Lo ammetterà sulla soglia dei settant’anni: «Il mio percorso per diventare scrittore è stato lungo e inutilmente tortuoso. Vorrei aver seguito un altro percorso; ma vivevo in quell’epoca, e non potevo tirarmene fuori».
Vent’anni prima della Chimera il trentenne intellettuale, nato a Genova ma residente a Novara da quando ha pochi anni di vita, ha una laurea in lettere con una tesi sull’arte contemporanea e la psicanalisi discussa con Cesare Musatti e si mantiene insegnando, mentre dipinge e organizza eventi artistici della neoavanguardia. Sono anni da lui definiti «straordinari e straordinariamente inconcludenti», in cui si cimenta anche come editore in proprio con le sigle C.d.E. (Centro di documentazione estetica) e poi, nel segno dell’«anti editoria», Ant. Ed, cui intesta anche una rivista underground costituita da un grande foglio piegato in 20 facciate. Se l’editoria in proprio è una modalità per incontrare i lettori senza sottostare alle logiche delle grandi case editrici, e senza cadere nell’omologazione culturale, il terreno argilloso delle riviste è il campo privilegiato per seminare tutte le idee possibili: nel solco della torinese “Geiger” dei fratelli Spatola, della leccese “Gramma” e della fiorentina “Salvo imprevisti” coltiva il progetto controverso di “Pianura”, che però abbandona presto sebbene il nome resta un’identità forte nel suo percorso, cercando sempre di andare oltre quegli orizzonti piatti, quel «non-tuttoe-il-contrario-di-tutto tenuto insieme dalle idee confuse ma forti di quegli anni».
I testi ora scoperti grazie al lavoro di ordinamento dell’archivio che lo scrittore ha donato al Centro Novarese di Studi Letterari permettono di ricostruire questo momento di passaggio e di «contraddizioni di una generazione che si era illusa di cambiare il mondo» e che ha nel Millennio che muore un «punto d’arrivo e di partenza verso nuovi, inesplorati territori», secondo il suo migliore osservatore editoriale in presa diretta, l’einaudiano Guido Davico Bonino, al quale Sebastiano Vassalli rivela in una lettera del 199, terminata la stesura di Tempo di màssacro, di «sprofondare negli abissi del macro-microcosmo fantascientifico alla ricerca del “genere” romanzo». È una rivelazione di grande importanza per il giovane insegnante che nel fatidico 198 va a vivere con la futura moglie a Casa Bossi che avrebbe raccontato decenni dopo in Cuore di pietra: così gli studi e le letture di science fiction – la definizione coniata dalla rivista “Amazing Stories” negli anni venti poi tradotta in Italia come «fantascienza» nel 1952, quando inizia a uscire “Urania” – sembrano una via di fuga per smarcarsi da certa neoavanguardia artistica che lo ingabbia dentro la «cappa dell’irregolare e del violento contro Dio, natura e arte». L’idea è di tentare, si legge in altra lettera a Davico, «una sorta di operazione alchemica, difficile e complessa quanto la tradizionale quadratura del circolo: una letteratura d’avanguardia che possa essere veramente “popolare”».
È in quest’ottica che il giovane scrittore impegnato (iscritto al partito comunista da cui rimane ben presto deluso) avverte l’importanza di un’impostazione teorica del problema letterario che gli sta a cuore, suggerita forse dal lavoro di supplente e dalla collaborazione con Einaudi come curatore di edizioni per la scuola a partire da Il giorno della civetta di Sciascia (poi Dolci, Viganò, Tobino, Malcom X, Revelli e Gramsci), sebbene il suo approccio teorico segua sempre canoni postmoderni influenzati dalla neoavanguardia, come la dialettica di prestiti linguistici alti e bassi con esasperazione stilistica in chiave satirica. Nascono così due opere legate alla fantascienza: il Manuale di esobiologia, rimasto sepolto fino ad ora nella rivista internazionale “Pianeta” e proposto in cinque puntate tra il 1971 e il 1973 con una parte del tutto inedita, e Sesso®. Piccola enciclopedia universale di fantasesso, di cui Vassalli si finge traduttore e curatore attribuendo l’opera a tale Stephen Blacktorn, autore d’invenzione definito «studioso tra i più quotati di esobiologia e di genetica comparata», pubblicata nel 1970 dalla casa editrice Dellavalle di Piero Femore e Vittorio Viarengo, già promotori delle torinesi Edizioni dell’Albero. Ora le due opere si possono legare finalmente tra loro, non soltanto per il taglio di caricatura rispetto ai libri fantascientifici di quegli anni. Soprattutto la ricerca sul Manuale, la cui non facile edizione è ora disponibile per la cura attenta di Martina Vodola, permette di dare un nuovo senso al segmento di produzione a cavallo del 1970. Va infatti messa a fuoco un’attenzione verso il genere manualistico quasi esasperata, perché vissuta da Vassalli come imprescindibile per impostare una cassetta di strumenti narrativi per il futuro, da Tempo di màssacro, sul cliché della trattatistica barocca ma deformata, scelto da Italo Calvino per i primi titoli della sua collana “Einaudi Letteratura” nel 1970, fino a Manuale di corpo, passando per i due testi fantascientifici, rifiutati da Einaudi.
Un terzo rifiuto dello Struzzo, in verità contro il parere favorevole di Manganelli, riguarda un altro manuale, AA. Il libro dell’utopia ceramica, scritto anch’esso nel 1970 e pubblicato quattro anni dopo da Longo in «una collana gestita dagli autori stessi»: anche qui predomina la tensione millenaristica e universalistica, dal momento che l’«utopia ceramica» significa dare metaforicamente un ordine al mondo ricoprendolo di piastrelle, nel senso di una «figurazione piana, bidimensionale» in grado di riprodurre la Storia, non nella sua interezza, ma per allusioni, «per frammenti riflessi, in Mitologie e Utopie». È l’impresa di un io narrante che colleziona piccoli esagoni di ceramica ma «non più protagonista» della «ceramizzazione del mondo». E la figura di un collezionista appare anche nelle pagine del Manuale di corpo ovvero Sentenze di scrittori antichi e moderni, scritto nel 1972 e rimasto inedito fino al 1983. Dopo la pubblicazione nei senesi Quaderni di Barbablù sarà Leonardo Mondadori a riproporlo nel 1991 con l’osservazione dell’autore secondo cui l’operetta «contiene in sé le ragioni migliori dell’avanguardia (prima fra tutte, l’idea di letteratura come corpo di parole), e contiene anche le ragioni che allora mi spingevano a cercare altre strade, fuori da quella che avevo percorso fin lì e che vedevo essere senza sbocchi».
Uno sbocco intermedio si trova nel successivo Abitare il vento, tra le prime prove narrative in cui alla fine il protagonista Cris si impicca, nel senso di una morte necessaria dell’io poetico tradizionale per rinascere e ripartire senza più la stessa prima persona verbale, in questo caso dopo l’illusione ideologica della stagione dell’avanguardia che Vassalli vuole chiudere con la scelta di «abitare il vento», azzerare la situazione presente, alzare la posta in gioco secondo un’immagine di libertà tratta dal Libro dei Proverbi: «Chi distrugge la propria casa abiterà il vento». Vassalli sceglie quindi il mestiere di scrittore passando prima dagli esercizi manualistici, poi indagando in archivi e provando anche il genere del reportage (dapprima sugli italiani in Alto Adige), soprattutto però mettendo a frutto le intuizioni di un libro del «maestro e amico» Giulio Bollati su L’italiano. Il carattere nazionale come storia e invenzione. Trova così la propria strada inseguendo personaggi sconfitti, dal fascista semianalfabeta Benito dell’Arrivo della lozione al comunista Augusto Ricci di Mareblù, preannunci dei personaggi Antonia, Mattio e molti altri, a partire da uno puro, il suo «babbo matto» Dino Campana, protagonista della Notte della cometa, la prima opera della sua maturità nel segno della ricerca storica e della narrativa. Già in una lettera indirizzata all’Einaudi aveva confessato di sentirsi «assolutamente consapevole, per quanto mi riguarda, di aver imboccato la via stretta che conduce chissà dove, forse da nessuna parte: cioè di essere uno scrittore».
Il florilegio trattatistico di biologia aliena al centro della riscoperta di questo momento creativo di passaggio è un catalogo di vegetali e animali extraterrestri compilato per costruire «una visione non del “mondo” – termine quanto mai ambiguo e polivalente – ma dell’Universo: ché l’epoca delle “visioni del mondo”, come quella dei “protagonisti” autori di tali visioni è trascorsa». Lo sbocco della science fiction è infatti uno dei generi possibili da lui individuati in anni di crisi per trovare una vocazione alla scrittura narrativa dopo aver accantonato il progetto di fare il pittore o soltanto il poeta. La parabola del «viaggiatore nel tempo» Vassalli prenderà tuttavia un’altra strada, proiettandosi nel passato anziché nel futuro, eppure la semina fantascientifica (che trova un riscontro bibliografico anche in un racconto pubblicato in un volume della Grande Enciclopedia della Fantascienza del 1980 curata di Francesco Paolo Conte) porterà frutti anche in seguito, sempre evidenziando il contrasto fra l’io e l’umanità come dilemma e conflitto tanto sociale quanto letterario.
La fantascienza, a suo tempo coltivata per liberarla dalle restrizioni di genere minore, torna sulla scrivania di Vassalli negli anni novanta con il dibattuto romanzo 3012, che in qualche modo si beffa di chi gli aveva «contristato l’anima per anni con l’etichetta di romanziere storico». E senz’altro alla stesura del libro non sono estranei i suoi cataloghi di «esobiologia» (dove «eso-» deriva dal greco e sta per ciò che è «esterno», appunto extraterrestre) e di «fantasesso» essendo ricchi di suggestioni circa personaggi e situazioni. Per esempio echi dell’Albergo Intergalattico citato nel Manuale «costruito sugli stessi princìpi degli alveari» con «le stanze comunicanti che comunicano in realtà verso l’alto o verso il basso, senza eccezioni» tornano nella descrizione dei «trasferitori» che permettono gli spostamenti nei Blocchi residenziali dove ha vissuto Antalo, il protagonista di 3012 in cui dominano le tensioni belliche, i conflittuali rapporti interpersonali e le sovrastrutture di ogni società con l’odio come motore delle vicende umane: è una delle tesi presenti nel Manuale di esobiologia, le cui suggestioni popolano pagine di un’altra opera narrativa della maturità pubblicata alla vigilia del Duemila, Un infinito numero, dedicata al viaggio di Virgilio e Mecenate nella terra dei Rasna alla ricerca delle origini di Roma con la rivelazione della cosmologia etrusca secondo cui conseguenza necessaria a tutto ciò che viene creato per popolare il Nulla (termine fondamentale nella visione dello scrittore) è «l’infiltrazione dell’infelicità». Lo stesso titolo del romanzo rinvia a un passo dello Zarathustra di Nietzsche – «Tutti gli stati che questo mondo può raggiungere, li ha già raggiunti, e non una sola volta, ma un infinito numero di volte» – riportato nel nono capitolo 9 del Manuale, da cui emerge talvolta il medesimo desiderio, caratterizzante la vocazione primaria di Vassalli, di raccontare storie dimenticate dalla Storia. Anche in Stella avvelenata, il «Viaggio anacronismico nell’isola di Atlantide» del 2003, sono raccolti altri frutti formatisi dai semi gettati decenni prima in De l’infinito, universo e mondi, come la teoria della pluralità dei mondi e dei loro abitanti esposta citando a più riprese Niccolò Cusano. Altri riferimenti si trovano nei racconti, dal Robot di Natale – con l’idea che il desiderio di conoscere nell’universo una vita aliena derivi dal bisogno di trovare «un nemico esterno, abbastanza lontano per non rappresentare un pericolo imminente, ma abbastanza reale per costringerci ad accantonare, in tutto o in parte le nostre liti domestiche» – fino a La morte di Marx e altri racconti, dove la visione della contemporaneità è popolata da uomini-macchina dotati di ruote al posto delle gambe.
Il filo rosso della fantascienza non è quindi un accidente o, meglio, lo è in senso filosofico, come qualità di un elemento, in questo caso la scrittura, che può anche mutare nella sua espressione esteriore senza che l’idea originaria ne venga modificata. Di questo sono una testimonianza ineludibile la dimensione utopica e tragica presente tanto nella narrativa matura quanto alla base di questo originale Manuale di esobiologia, forse non riuscito come genere letterario compiuto ma sorprendente strumento di teoria che porterà, per esclusioni, alla pratica del romanzo. Vassalli ne sarà un maestro rappresentando soprattutto alcuni elementi come l’odio e la dolorosa relazione umana dentro uno spazio apparentemente circoscritto, illuminato sempre da una visione apocalittica, la stessa del Millennio che muore, di un mondolibro universale che si decompone per lasciare a tutte le parole la libertà di rappresentare in modo diverso e nuovo «cose, individui / ciascuno in grado di vivere nel proprio libro, di scrivere il proprio libro».
Se apocalisse e fantascienza davvero vengono in contatto è questione cui lo scrittore non dà peso, credendo maggiormente in quanto è ben espresso nella laica domanda del poeta a lui più vicino, Dino Campana, scelta a esergo della Notte del lupo: «Qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto ci appare ombra di eternità?».

Roberto Cicala


giovedì 21 gennaio 2016

I cento anni del Sudtirolo in Italia: "Il confine" di Sebastiano Vassalli

Passo di Valparola, qualche anno fa: ricordo una gita dolomitica con annessa visita al museo della Prima guerra mondiale ospitato all'interno del Forte Tre Sassi. Vi trovai una guida di quelle in "costume tipico". Ho presunto fosse della provincia di Bolzano da alcune parti del discorso e dal costume (ma di costumi non mi intendo tanto e quindi non ci metterei la firma). Aveva radunato un gruppo di turisti veneti raccontando con perizia le nefandezze compiute dal Fascismo in Sudtirolo durante il processo di italianizzazione forzata. Si soffermò a lungo sul Momumento alla Vittoria eretto a Bolzano dall'amministrazione fascista per celebrare il successo nella guerra del 15-18, simbolo dei "relitti" fascisti della città. Non era difficile ravvisare fastidio, astio e persino odio nelle parole scelte e nel tono di voce di quella guida. Il gruppo di turisti annuiva, un po' intimorito da un incalzare tutto sommato aggressivo, tradito dalla tensione del collo e del volto. Ecco: l'odio. Inteso in senso bidirezionale e carsico, questo sentimento è uno dei protagonisti del libro (l'ultimo edito in vita, se non erro) che Sebastiano Vassalli ha dedicato alla questione sudtirolese. Il Confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (Rizzoli, pp. 148, euro 16,50) prende forma da lontano, ovvero da un'inchiesta che Vassalli portò a termine nel 1983 per il settimanale "Panorama" di cui era inviato in quelle valli. Questo libro inoltre si collega a un altro titolo di Vassalli più o meno coevo di quell'inchiesta, Sangue e suolo. Viaggio fra gli italiani trasparenti del 1985 (lo pubblicò Einaudi ed è fuori catalogo). Come ricorda l'autore in queste pagine, fu quello un testo che non mancò di far discutere aspramente e accendere certi animi.

Appena trascorso il centenario della Prima guerra mondiale, nel 2019 ricorreranno anche i cent'anni del trattato di St. Germain con il quale veniva ripartito il puzzle del fu Impero austro-ungarico. Uno dei punti del trattato prevedeva il ritorno del territorio a sud del Tirolo al Regno d'Italia e ristabiliva il valico del Brennero quale confine fra Italia e Austria. Si tratterà di un ritorno stabile, fatta eccezione per un lustro poco più, dal 1939 al 1945, in cui i cittadini di quelle terre riconfluirono nel Reich assetato di uomini da mandare al fronte, nella cornice degli accordi presi da duce e führer (le "opzioni"). Per gli oltre novant'anni rimanenti si tratta di una storia italiana, nel senso di storia compresa dentro i confini dello stato italiano. La vicenda del Sudtirolo degli ultimi cent'anni annovera le questioni di minoranze linguistiche e culturali, la fascistizzazione e italianizzazione a suon delle fandonie dell'ingegneria storica di Ettore Tolomei, la Guerra fredda (alla fine della Seconda guerra mondiale non era scontato che le cose andassero come sono andate dal punto di vista dei confini del Sudtirolo e Vassalli spiega bene come c'entra l'assetto della Guerra fredda in quel che accade al confine dopo il 1945), le cosiddette gabbie etniche, attentati terroristici prima solo infrastrutturali poi sempre più sanguinosi, De Gasperi e Andreotti, le rivalità tra Trento e Bolzano, la trasversalità di un partito come Südtiroler Volkspartei, e le prominenti personalità politiche (le figure e le lunghe carriere dei presidenti Silvius Magnago, Luis Durnwalder fino ad arrivare al recente Arno Kompatscher sono tutte prese in considerazione dall'autore de La Chimera).

Vassalli afferma dal principio di non essere storico, ma sostiene anche che questa del confine estremo settentrionale dell'Italia, nel suo complicato sviluppo dopo la Grande Guerra, sia una storia che va conosciuta. Volendo allargare per un attimo la visuale, il tema del confine insiste anche nell'Europa di oggi, com'è evidente, al di là delle ripetute sospensioni di Schengen, fra l'altro previste dal trattato per un dato periodo di tempo (ma spesso manipolate dai giornali a scopo sensazionalistico). Per secoli in Europa i confini, compreso quello del Sudtirolo/Alto Adige, hanno danzato (in questo caso c'è pure il tiro alla fune linguistico della denominazione "Sudtirolo vs. Alto Adige"). Ora che con un prolungato periodo di Pax Europaea determinati confini si sono installati in un dato paesaggio, la parte peggiore della retorica europeista li ha un po' espunti dal dibattito, senza pensare che il problema del confine era solo rinviato oltre, appena un po' più in là. Il carotaggio compiuto da Vassalli in un secolo di storia del Sudtirolo è sicuramente efficace nel restituire tutto quello che la gestione politica del confine è costata in termini di incomprensioni, sangue, lotte e, come detto, odio (tutto passa, le amicizie e gli amori, e solo l'odio ha il carattere di sentimento duraturo in grado di eternarsi). Probabilmente però, come ipotizza lo stesso Vassalli, la questione di quel confine è destinata a perdere rilevanza nello scenario attuale; staremo a vedere, consapevoli di quello che è successo negli ultimi cent'anni. Penso però che un suggerimento, ancora una volta, potrebbe venire dal paesaggio. Non tanto da una pedissequa sovrapposizione di ostacoli naturali e confini, bensì dalla comprensione di questo paesaggio, nella sua variazione, fisica e fisica in senso storico: un confine è qualcosa di irreale o quantomeno convenzionale, è una linea, un paesaggio no, è un piano a diverse profondità e altezze. Lo stesso paesaggio è chiamato più volte in causa da Vassalli (ad esempio la notoria, anche se non esclusiva aggiungerei, bellezza delle montagne e di quelle valli ecc). Eppure bisognerebbe oggi passare oltre, ficcarci bene in testa che non ci sono montagne tanto più belle di altre e che le valli tirate a giardino tanto acclamate da chi passa di là come turista non sono necessariamente "garanzia di paesaggio", e tantomento di naturalità o naturalezza (quello è soltanto marketing turistico/territoriale per la family mountain che il più delle volte non tutela affatto l'ambiente, anzi, e ha rinverdito il marketing opposto, quello che fa leva sul mito della wild mountain). Allora, pur nelle differenze, nelle incomprensioni radicate e alimentate da privilegi ora dall'una ora dall'altra parte, le due anime del nostro confine si sono fatte forse più simili, un altro secolo è passato, e un paesaggio con degli uomini rimane sia di qua che di là della nostra linea, con buona pace delle "gabbie etniche", aberranti sin dal nome. Ci guardiamo attorno e troviamo dappertutto un paesaggio di passaggio, oggi, di camion e colture intensive, di sfruttamento millimetrico delle risorse, di un'inedita "industrializzazione della natura": una situazione che insomma accomuna ormai quasi ogni angolo del globo ma che lì espone dei tratti interessanti e forse inediti da studiare, di rara intensità

Ci assomigliamo più di quanto siamo disposti a credere e purtroppo facciamo sì che i nostri paesaggi si assomiglino. In questo continente sempre più simile e perciò pullulante di irrinunciabili ipocrisie nazionali, con una moltitudine umana che si accalca e spinge ai nuovi confini, dove sta realmente il problema del confine? Una risposta sta nel "personaggio" principale di questo libro e in quello che sa generare: mi riferisco naturalmente a quel sentimento proteiforme ed eterno che è l'odio, da cui ero partito.

giovedì 12 novembre 2015

"Breviario di novembre" di Alessandra Conte: una presentazione a Compiobbi (Fiesole)

I libri di poesia durano quel che durano, come gli altri libri del resto. A volte scompaiono, poi riemergono quando decidono loro, altre volte scompaiono per sempre o quasi. Certi galleggiano e poi sprofondano. Va così, inutile occuparsi più di tanto di questo. I critici possono avere un peso in questo su e giù, ma non sono sempre loro a essere determinanti. Ci sono sempre stati i critici che abbassano la cresta a un autore fortunato e innalzano dai fanghi dell'oblio un autore scordato. A volte queste operazioni sono argomentate e in buona fede critica, quindi interessanti e salutari, altre volte mi pare che lo siano meno e possono rivelarsi un po' pretestuose, uno stratagemma vecchio come il mondo attraverso il quale il critico cerca di far notizia e quindi cerca facile visibilità, in primis per sé. Certi libri di poesia, a distanza di sei anni dalla pubblicazione (un'eternità!), senza particolari spinte promozionali continuano a compiere un tragitto, a scavarsi una trincea e a interessare nuove persone, magari appartenenti a più "sfere disciplinari". Sembra questo il destino di Breviario di novembre di Alessandra Conte, uscito per l'editore Raffaelli nel 2009, un insieme di testi che di anno in anno continua a trovare un lettore nuovo o una situazione nuova dove essere presentato e letto. Al libro sono arrivato tempo fa grazie a Marco Scarpa, un amico poeta che legge molta poesia. (Ho scoperto che tra chi scrive poesia non è automatico leggere molta poesia; inizialmente ciò mi pareva una cosa strana, poi mi sono detto che è un'opzione come un'altra e alla fine conta il risultato: insomma, forse si può anche leggere poco e arrivare a scrivere belle poesie.)

Sabato 14 novembre Alessandra Conte sarà a Compiobbi, ospite della biblioteca della frazione di Fiesole. Con l'occasione combino una cosa che volevo fare da tempo, cioè pubblicare un paio di testi da Breviario di novembre. In realtà l'operazione è un po' rischiosa, visto che per me è stato uno dei libri che ho più apprezzato nella lettura in sequenza e credo che meno di altri si presti agli "assaggi". Ad ogni modo andrà bene anche pubblicare soltanto i due testi che seguono, per oggi. Il mese poi è quello giusto.



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Breviario di novembre
di Alessandra Conte
(Raffaelli Editore, 2009)

presentazione alla biblioteca comunale di Compiobbi
(Via Romena 58, lato piazza Etrusca, Fiesole - FI)
sabato 14 novembre ore 16:30

appuntamento a cura dell'associazione Amici della biblioteca di Fiesole,
con il Palinsesto e Coop Firenze Nord
(INGRESSO LIBERO)

Seguirà la condivisione del libro La chimera
di Sebastiano Vassalli
Letture a cura di Tamara Tagliaferri
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“Un tè con i morti. Breviario di novembre, dal 2009 un evergreen tra I tre porcellini e La carica dei cento e uno. L’autrice ne dice: "amo le costruzioni per negazioni, non vorrei che il lettore non pensasse che non sia un libro senza capo né coda, allego il testo incipitario ed il corsivo di chiusura. Sono felice di essere stata invitata alla stessa serata con Sebastiano Vassalli”


La suora bambola chiama
nel suo letto di noce che sale
con le pareti che si perdono
ancora più in alto, dove i rondoni
gridano e circondano di voli
i morti, fatti di scritture
e guano seccato.
I muri di Galugnano esalano
foglie di tabacco e voci
di donna grossa,
che gioca a domino con le lupe
e vince, e ha già perso.


Un soldo,

per aggiungere tempo al tempo
e dare il modo ai verbi sciolti.
Un soldo sotto la lingua
e sperare l’assoluto.
Un soldo a decantare
i sali del reflusso.

Là dove le mani non arrivano
si deformino i verbi e i nomi
si bagnino i contorni di nero china.
Da dove la voce non esce
si sfibri il laccio.

E il traghetto ondeggia
tra un braccio e un altro
intravisto solo come orizzonte.



(Per proseguire nella lettura potete trovare altri testi qui e soprattutto qui, dove si pubblicano anche alcune "carte" con cui Lia Malfermoni ha illustrato Breviario di novembre.)