giovedì 21 gennaio 2016

I cento anni del Sudtirolo in Italia: "Il confine" di Sebastiano Vassalli

Passo di Valparola, qualche anno fa: ricordo una gita dolomitica con annessa visita al museo della Prima guerra mondiale ospitato all'interno del Forte Tre Sassi. Vi trovai una guida di quelle in "costume tipico". Ho presunto fosse della provincia di Bolzano da alcune parti del discorso e dal costume (ma di costumi non mi intendo tanto e quindi non ci metterei la firma). Aveva radunato un gruppo di turisti veneti raccontando con perizia le nefandezze compiute dal Fascismo in Sudtirolo durante il processo di italianizzazione forzata. Si soffermò a lungo sul Momumento alla Vittoria eretto a Bolzano dall'amministrazione fascista per celebrare il successo nella guerra del 15-18, simbolo dei "relitti" fascisti della città. Non era difficile ravvisare fastidio, astio e persino odio nelle parole scelte e nel tono di voce di quella guida. Il gruppo di turisti annuiva, un po' intimorito da un incalzare tutto sommato aggressivo, tradito dalla tensione del collo e del volto. Ecco: l'odio. Inteso in senso bidirezionale e carsico, questo sentimento è uno dei protagonisti del libro (l'ultimo edito in vita, se non erro) che Sebastiano Vassalli ha dedicato alla questione sudtirolese. Il Confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (Rizzoli, pp. 148, euro 16,50) prende forma da lontano, ovvero da un'inchiesta che Vassalli portò a termine nel 1983 per il settimanale "Panorama" di cui era inviato in quelle valli. Questo libro inoltre si collega a un altro titolo di Vassalli più o meno coevo di quell'inchiesta, Sangue e suolo. Viaggio fra gli italiani trasparenti del 1985 (lo pubblicò Einaudi ed è fuori catalogo). Come ricorda l'autore in queste pagine, fu quello un testo che non mancò di far discutere aspramente e accendere certi animi.

Appena trascorso il centenario della Prima guerra mondiale, nel 2019 ricorreranno anche i cent'anni del trattato di St. Germain con il quale veniva ripartito il puzzle del fu Impero austro-ungarico. Uno dei punti del trattato prevedeva il ritorno del territorio a sud del Tirolo al Regno d'Italia e ristabiliva il valico del Brennero quale confine fra Italia e Austria. Si tratterà di un ritorno stabile, fatta eccezione per un lustro poco più, dal 1939 al 1945, in cui i cittadini di quelle terre riconfluirono nel Reich assetato di uomini da mandare al fronte, nella cornice degli accordi presi da duce e führer (le "opzioni"). Per gli oltre novant'anni rimanenti si tratta di una storia italiana, nel senso di storia compresa dentro i confini dello stato italiano. La vicenda del Sudtirolo degli ultimi cent'anni annovera le questioni di minoranze linguistiche e culturali, la fascistizzazione e italianizzazione a suon delle fandonie dell'ingegneria storica di Ettore Tolomei, la Guerra fredda (alla fine della Seconda guerra mondiale non era scontato che le cose andassero come sono andate dal punto di vista dei confini del Sudtirolo e Vassalli spiega bene come c'entra l'assetto della Guerra fredda in quel che accade al confine dopo il 1945), le cosiddette gabbie etniche, attentati terroristici prima solo infrastrutturali poi sempre più sanguinosi, De Gasperi e Andreotti, le rivalità tra Trento e Bolzano, la trasversalità di un partito come Südtiroler Volkspartei, e le prominenti personalità politiche (le figure e le lunghe carriere dei presidenti Silvius Magnago, Luis Durnwalder fino ad arrivare al recente Arno Kompatscher sono tutte prese in considerazione dall'autore de La Chimera).

Vassalli afferma dal principio di non essere storico, ma sostiene anche che questa del confine estremo settentrionale dell'Italia, nel suo complicato sviluppo dopo la Grande Guerra, sia una storia che va conosciuta. Volendo allargare per un attimo la visuale, il tema del confine insiste anche nell'Europa di oggi, com'è evidente, al di là delle ripetute sospensioni di Schengen, fra l'altro previste dal trattato per un dato periodo di tempo (ma spesso manipolate dai giornali a scopo sensazionalistico). Per secoli in Europa i confini, compreso quello del Sudtirolo/Alto Adige, hanno danzato (in questo caso c'è pure il tiro alla fune linguistico della denominazione "Sudtirolo vs. Alto Adige"). Ora che con un prolungato periodo di Pax Europaea determinati confini si sono installati in un dato paesaggio, la parte peggiore della retorica europeista li ha un po' espunti dal dibattito, senza pensare che il problema del confine era solo rinviato oltre, appena un po' più in là. Il carotaggio compiuto da Vassalli in un secolo di storia del Sudtirolo è sicuramente efficace nel restituire tutto quello che la gestione politica del confine è costata in termini di incomprensioni, sangue, lotte e, come detto, odio (tutto passa, le amicizie e gli amori, e solo l'odio ha il carattere di sentimento duraturo in grado di eternarsi). Probabilmente però, come ipotizza lo stesso Vassalli, la questione di quel confine è destinata a perdere rilevanza nello scenario attuale; staremo a vedere, consapevoli di quello che è successo negli ultimi cent'anni. Penso però che un suggerimento, ancora una volta, potrebbe venire dal paesaggio. Non tanto da una pedissequa sovrapposizione di ostacoli naturali e confini, bensì dalla comprensione di questo paesaggio, nella sua variazione, fisica e fisica in senso storico: un confine è qualcosa di irreale o quantomeno convenzionale, è una linea, un paesaggio no, è un piano a diverse profondità e altezze. Lo stesso paesaggio è chiamato più volte in causa da Vassalli (ad esempio la notoria, anche se non esclusiva aggiungerei, bellezza delle montagne e di quelle valli ecc). Eppure bisognerebbe oggi passare oltre, ficcarci bene in testa che non ci sono montagne tanto più belle di altre e che le valli tirate a giardino tanto acclamate da chi passa di là come turista non sono necessariamente "garanzia di paesaggio", e tantomento di naturalità o naturalezza (quello è soltanto marketing turistico/territoriale per la family mountain che il più delle volte non tutela affatto l'ambiente, anzi, e ha rinverdito il marketing opposto, quello che fa leva sul mito della wild mountain). Allora, pur nelle differenze, nelle incomprensioni radicate e alimentate da privilegi ora dall'una ora dall'altra parte, le due anime del nostro confine si sono fatte forse più simili, un altro secolo è passato, e un paesaggio con degli uomini rimane sia di qua che di là della nostra linea, con buona pace delle "gabbie etniche", aberranti sin dal nome. Ci guardiamo attorno e troviamo dappertutto un paesaggio di passaggio, oggi, di camion e colture intensive, di sfruttamento millimetrico delle risorse, di un'inedita "industrializzazione della natura": una situazione che insomma accomuna ormai quasi ogni angolo del globo ma che lì espone dei tratti interessanti e forse inediti da studiare, di rara intensità

Ci assomigliamo più di quanto siamo disposti a credere e purtroppo facciamo sì che i nostri paesaggi si assomiglino. In questo continente sempre più simile e perciò pullulante di irrinunciabili ipocrisie nazionali, con una moltitudine umana che si accalca e spinge ai nuovi confini, dove sta realmente il problema del confine? Una risposta sta nel "personaggio" principale di questo libro e in quello che sa generare: mi riferisco naturalmente a quel sentimento proteiforme ed eterno che è l'odio, da cui ero partito.

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