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lunedì 17 febbraio 2014

da "Corruptio optimi pessima" di Antonio Turolo

Una poesia da #31
(in realtà non soltanto una, per stavolta)



Nella biblioteca interiore di questo poeta non c'è spazio per la "letteratura come gioco" e tantomeno per la scrittura intesa come terapia. E non ci vuole molto a capirlo, se si prende in mano questo libro, tanto bello quanto forse dimenticato o passato inosservato. Corruptio optimi pessima di Antonio Turolo (Nuova Dimensione, pp. 132, euro 11, ancora in commercio) rappresentò un libro atteso, almeno qui, tra gli amici della provincia di Treviso e tra chi si interessa di poesia. Proprio sulla sua/nostra provincia si erano lette in rivista alcune composizioni importanti, tra le più sorprendenti di quel periodo. C'era stata prima anche la silloge, altrettanto importante e sorprendente, intitolata Le parole contate, inclusa nel Sesto quaderno italiano di poesia contemporanea di Marcos y Marcos, nel 1998. Nel decennio a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i Duemila, poche furono le occasioni di leggerlo, ancor meno forse quelle di ascoltarlo (ma quando capitava, a me sembrava non volasse una mosca tra il pubblico). Quando nel 2007 arrivò questo libro, con una prefazione atipica nei modi e riconoscente di Giulio Mozzi (quasi un'inversione del senso della gratitudine tra prefatore e autore), le cose non cambiarono di molto, nel senso che non mi pare che Corruptio optimi pessima abbia avuto l'attenzione che meritava e merita tuttora. Per fortuna è anche vero che nessuno sta qui a sindacare sui circuiti che segue (o sui quali si segue) la poesia oggigiorno: la poesia resta di chi la trova, e qui secondo me avete un'occasione per trovarla. Per questo motivo ora mi limito a rimettere in circolo una manciata di versi, cercando di contare anch'io le parole. La poesia di Antonio non ha bisogno infatti di molte introduzioni, arriva diretta, come un colpo sparato ad alzo zero. Colpisce, ferisce, talvolta strappa un sorriso con le unghie delle sillabe, anch'esse contate. Mozzi parla anche della "tenerezza" di questo libro, e in fondo ha ragione. Una sola poesia non bastava, secondo me, per tornare a parlare di questo libro intitolato con una massima di Gregorio Magno e così intriso di storia familiare (i due perni sono spesso la zia e la madre dell'autore, ritratta nella foto scelta per la copertina). Facendo allora una piccola violenza a questo spazio intitolato "Una poesia da", ho scelto alcune delle mie orecchie fatte sulle pagine di questo libro.

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Poesie da Corruptio optimi pessima di Antonio Turolo (Nuova Dimensione, 2007).


Da un'altra psicologa



Quand'è fuori dal nido cosa fa?
Mi chiese dopo che con precisione
di panico e di agorafobia
le avevo riferito.

Domanda errata - le direi oggi -
non è andar fuori, è rincasare
che mi fa male.

Come un cane legato alla catena,
più corta
più lasca
dipende,
abito insieme alle mie ossessioni.

Potrei vivere a New York o a Nuova Delhi,
da questa casa
da questa città
non uscirò più.

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In un soggiorno una pendola ha scandito
per anni i giorni di noi tre in famiglia.
È un oggetto vecchio robusto e delicato insieme.

Quando mia zia l'aveva rinvenuto
tra le vecchie cose di mia nonna, 
ricordi tramandati tra generazioni,
anche l'orologiaio -
commosso un poco e un poco incuriosito
dal suo meccanismo -
era venuto fino a casa nostra
per stabilire sul muro esattamente
l'unico punto che la faceva andare.

Tutto bene per un po' di anni.

Un precario equilibrio
ritmava
in una scansione ordinata
i miei libri,
i cappelli della zia,
le ombre nella mente della mamma.

Ma 
la tradizione è finita.
Io non avrò figli.
La mamma sta male, io non ho un lavoro.
La pendola è rotta.

La venderò per soldi domattina.


--

Treviso tre




La neghittosa provincia non è priva
di una sua sorniona saggezza.

Con soggezione ci si iscrive
alla grande Università
Universitas Patavina Libertas
la cattedra di Galileo
gli affreschi di Giotto
il magnifico Rettore.

Facendo il pendolo via Mestre,
ci si illude che quelle mete estere
Parigi Monaco Zurigo
declamate dall'altoparlante
saranno nostre un giorno
con tutti questi studi
e che la nostra vita forse cambierà.

Disillusi, un po' invecchiati,
ci si rivede poi a Treviso
a qualche concorso
a far le guardie mediche
o a insegnare la sintassi dei casi
e il pessimismo di Leopardi.

Il cerchio si chiude,
attento, mi dico,
non credere di essere speciale,
la sanno lunga queste sabbie mobili,
ne hanno fatti fuori di più forti di te.

--


Hai fatto bene mamma, a insegnarmi l'italiano.

Non badare nemmeno
ai professori che
difendono il dialetto.

Sono soltanto snob,
ipocriti entomologi
fingono compassione
per l'esemplare che
trafiggono uccidendolo.

Detesta come me
il ristorante tipico     agriturismo rustico
il buon selvaggio in gabbia     spiagge paradisiache
safari fotografici     diete vegetariane
verginità rifatta     in carta riciclata.


Il rustico dei ricchi è un falso rustico.

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Un disadattato


mi ha definito un giorno
un sacerdote astuto cattivo penetrante.
Non amavo quel frate, e dentro me
più volte ho sognato di fargliela vedere,
di dimostrargli che non è così.

Adesso stai bene    finalmente lavori

post tenebras lux    è stata una fase
guadagni perfino -
mi lusingano altri
lo spettacolo deve continuare.

 

Ma non è vero.

Una tessera di mosaico
scompagnata
una carta
solitaria

un conto che
non torna
un apolide inglorioso.

Io non sono collega di nessuno.

--


La mia vita
assomiglia un poco
all'eterno corridoio
di questa casa di riposo.

Luci al neon
infermiere premurose o sbrigative
con cuffietta,
medicinali, dolcetti, 
aria di chiuso.

E qui in fondo
la mamma che sorride.

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PS. Antonio Turolo, che fu allievo di Gianfranco Folena, ha pubblicato anche due monografie: Tradizione e rinnovamento nella lingua del Magalotti (Firenze, Accademia della Crusca, 1993) e Teoria e prassi linguistica nel primo Gadda (Pisa, Giardini,1995). Ma per conoscere ciò che Turolo pensa della "carriera universitaria" ("sconcio ossimoro") vi invito a procurarvi
Corruptio optimi pessima.

mercoledì 14 dicembre 2011

"Resoconto su reddito e salute" di Igor De Marchi

Ripescaggi #6



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Continuo a ripescare recensioni di libri brevi del passato. Ancora poesia. Qui sotto c'è quella che scrissi, sempre per la rivista "Semicerchio", su Resoconto su reddito e salute di Igor De Marchi (Nuova Dimensione, 2002, pp. 96, euro 8,50). All'epoca dell'uscita di questo volume De Marchi era uno dei "poeti dell'A27", assieme a Giovanni Turra e Sebastiano Gatto, due poeti come lui nati nel primo lustro dei Settanta e autori rispettivamente di due brillanti esordi, Planimetrie e Padre vostro (Gatto è anche traduttore di Julio Llamazares). La definizione di "poeti dell'A27" funzionò abbastanza a livello di stampa locale e aveva pure un suo perché paesaggistico-antropologico, oltre che geografico (Turra e Gatto di Mogliano Veneto, De Marchi di Vittorio Veneto). Da molto tempo non si hanno sue notizie in ambito poetico. Qualche anno fa aveva fatto circolare tra amici lettori una serie di plaquette nere stampate molto bene in casa. Contenevano delle belle poesie. Fu una mossa che al tempo mi parse molto saggia.
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In questo secondo libro di Igor De Marchi (Vittorio Veneto, 1971) scorre molta vita, ben oltre i toni suggeriti dal titolo – quasi da parametro ISTAT, «reddito e salute» – che potrebbe sembrare (ma non è) ironico e minimalista. Ma accanto alla possibilità lasciata alla poesia di dire qualcosa della vita è importante avere presente come nei versi di De Marchi la morte possa instaurarsi in quanto orizzonte di senso: «Ho sorpassato in autostrada / un camion di maiali. / Qualcuno se ne stava accovacciato / dentro la sua palude. / Qualcuno con il grugno fuori / dalle sbarre lasciato al vento. / Qualcun altro rosicchiava le sbarre / per addomesticare l’appetito. / Io non sono come loro, mi sono detto. // E poi: / qui, chi per me /  può dire / dove finisce l’a caso del macello / e dove inizia invece / l’equo appezzamento  dei tagli?».

Ma non c’è nulla di scolastico nel ‘realismo’ di queste poesie. Pertinente è semmai pensare a una ‘poetica’ degli «occhi asciutti» che conosciamo attraverso Sbarbaro e soprattutto la strana e inevitabile rivoluzione dello sguardo avviata dalla poesia di Umberto Fiori (prefatore del volume), che ritroviamo in Passeggiata sul fiume: «L’acqua è trasparente e riflettente. / Mi sono appostato immobile, / non mi sono fatto scorgere. / La trota è salita a pelo d’acqua / tranquilla,  come fa sempre / quando sa che attorno tutto è a posto, / che non ci sono  pericoli. / Fa un mezzo giro e ritorno, / come un gioco solitario / e apre la bocca nell’aria. // Io guardavo: non le avrei fatto  nulla / e non potevo farglielo sapere». Bastano la trama sonora e la metrica di questa poesia, con quel finale così apparentemente ‘banale’ ma rivelatore, a dissipare il dubbio di trovarci di fronte a nuda ‘prosa’ versificata.

De Marchi propone, certo, un apprezzabile insieme di componimenti dall’andamento narrativo, ma questa considerazione non deve prevalere nell’avvicinare un’opera che, testualmente, introduce alcune trasgressioni semantiche e scarti tutt’altro che semplici. Si veda per esempio l’uso transitivo del verbo ‘appartenere’: «della maniera che hai di appartenere / cose diverse», o ancora un caso di disarticolazioni sintattiche come: «Di quel modo che ha la lucertola / a sangue freddo / di prendersi la vita, / facciamo talvolta la nostra casa». Ci si soffermi ancora sulla metrica dei testi, che restituisce, anche ai componimenti più ‘prosastici’, un respiro di falsetto parodico, per il quale si potrebbe richiamare l’opera poetica di Brecht. «Io sono io e la mia circostanza» recitava un aforisma di Ortega y Gasset. De Marchi pare sposarlo appieno. Dietro reddito e salute ci sono la fantasia e la creatività che solo una costrizione data (le regole del guadagnarsi  da vivere su sfondo quotidiano del Nordest) sa mettere in atto, la forza di saper dire «Ognuno piange i propri morti. / Ciascuno il proprio / per non piangerne più nessuno».