mercoledì 14 dicembre 2011

"Resoconto su reddito e salute" di Igor De Marchi

Ripescaggi #6



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Continuo a ripescare recensioni di libri brevi del passato. Ancora poesia. Qui sotto c'è quella che scrissi, sempre per la rivista "Semicerchio", su Resoconto su reddito e salute di Igor De Marchi (Nuova Dimensione, 2002, pp. 96, euro 8,50). All'epoca dell'uscita di questo volume De Marchi era uno dei "poeti dell'A27", assieme a Giovanni Turra e Sebastiano Gatto, due poeti come lui nati nel primo lustro dei Settanta e autori rispettivamente di due brillanti esordi, Planimetrie e Padre vostro (Gatto è anche traduttore di Julio Llamazares). La definizione di "poeti dell'A27" funzionò abbastanza a livello di stampa locale e aveva pure un suo perché paesaggistico-antropologico, oltre che geografico (Turra e Gatto di Mogliano Veneto, De Marchi di Vittorio Veneto). Da molto tempo non si hanno sue notizie in ambito poetico. Qualche anno fa aveva fatto circolare tra amici lettori una serie di plaquette nere stampate molto bene in casa. Contenevano delle belle poesie. Fu una mossa che al tempo mi parse molto saggia.
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In questo secondo libro di Igor De Marchi (Vittorio Veneto, 1971) scorre molta vita, ben oltre i toni suggeriti dal titolo – quasi da parametro ISTAT, «reddito e salute» – che potrebbe sembrare (ma non è) ironico e minimalista. Ma accanto alla possibilità lasciata alla poesia di dire qualcosa della vita è importante avere presente come nei versi di De Marchi la morte possa instaurarsi in quanto orizzonte di senso: «Ho sorpassato in autostrada / un camion di maiali. / Qualcuno se ne stava accovacciato / dentro la sua palude. / Qualcuno con il grugno fuori / dalle sbarre lasciato al vento. / Qualcun altro rosicchiava le sbarre / per addomesticare l’appetito. / Io non sono come loro, mi sono detto. // E poi: / qui, chi per me /  può dire / dove finisce l’a caso del macello / e dove inizia invece / l’equo appezzamento  dei tagli?».

Ma non c’è nulla di scolastico nel ‘realismo’ di queste poesie. Pertinente è semmai pensare a una ‘poetica’ degli «occhi asciutti» che conosciamo attraverso Sbarbaro e soprattutto la strana e inevitabile rivoluzione dello sguardo avviata dalla poesia di Umberto Fiori (prefatore del volume), che ritroviamo in Passeggiata sul fiume: «L’acqua è trasparente e riflettente. / Mi sono appostato immobile, / non mi sono fatto scorgere. / La trota è salita a pelo d’acqua / tranquilla,  come fa sempre / quando sa che attorno tutto è a posto, / che non ci sono  pericoli. / Fa un mezzo giro e ritorno, / come un gioco solitario / e apre la bocca nell’aria. // Io guardavo: non le avrei fatto  nulla / e non potevo farglielo sapere». Bastano la trama sonora e la metrica di questa poesia, con quel finale così apparentemente ‘banale’ ma rivelatore, a dissipare il dubbio di trovarci di fronte a nuda ‘prosa’ versificata.

De Marchi propone, certo, un apprezzabile insieme di componimenti dall’andamento narrativo, ma questa considerazione non deve prevalere nell’avvicinare un’opera che, testualmente, introduce alcune trasgressioni semantiche e scarti tutt’altro che semplici. Si veda per esempio l’uso transitivo del verbo ‘appartenere’: «della maniera che hai di appartenere / cose diverse», o ancora un caso di disarticolazioni sintattiche come: «Di quel modo che ha la lucertola / a sangue freddo / di prendersi la vita, / facciamo talvolta la nostra casa». Ci si soffermi ancora sulla metrica dei testi, che restituisce, anche ai componimenti più ‘prosastici’, un respiro di falsetto parodico, per il quale si potrebbe richiamare l’opera poetica di Brecht. «Io sono io e la mia circostanza» recitava un aforisma di Ortega y Gasset. De Marchi pare sposarlo appieno. Dietro reddito e salute ci sono la fantasia e la creatività che solo una costrizione data (le regole del guadagnarsi  da vivere su sfondo quotidiano del Nordest) sa mettere in atto, la forza di saper dire «Ognuno piange i propri morti. / Ciascuno il proprio / per non piangerne più nessuno».

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