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venerdì 9 agosto 2013

"Incontri con Clemente Rebora". Intervista con Gianfranco Lauretano

Librobreve intervista  #19












Da poco è uscito nella collana Bur Saggi di Rizzoli il volume Incontri con Clemente Rebora (pp. 192, euro 10,50), curato da Gianfranco Lauretano. L'autore, che è poeta, traduttore e operatore editoriale, è riuscito nel non facile compito di illuminare la statura di una figura chiave del Novecento inseguendo inclinazioni e percorsi nuovi di scrittura. Gli ho rivolto alcune domande, alle quali ha risposto nell'intervista che segue.


LB: Vorrei partire dal titolo. Perché si è scelto la parola, semplice ed enigmatica, di "Incontri"?
RISPOSTA: La parola “incontri” descrive sinteticamente il percorso biografico, culturale ed esistenziale di Clemente Rebora. Nella sua vita gli incontri hanno infatti svolto un ruolo decisivo, perciò ho voluto tenerne conto nel mio racconto. Il primo incontro fondamentale è, attraverso l’educazione paterna e scolastica, con Giuseppe Mazzini e la sua visione storica, politica e anche religiosa: Rebora sarà un mazziniano convinto fino agli anni Venti ed anche dopo la conversione al cattolicesimo l’ideale mazziniano sembra non essere abbandonato, ma, in molti aspetti, verificato e precisato alla lettura del Vangelo. Importante fu per lui la sensibilità della Russia di allora, sia personalmente, per l’amore e la convivenza con la musicista russa Lydia Natus intorno agli anni della Prima Guerra Mondiale, sia letterariamente, per le traduzioni degli scrittori russi, tra i quali Tolstoj e Gogol’. Oltre al cenacolo di amici –Banfi, la Malaguzzi- degli anni universitari, determinanti furono gli incontri di Rebora con scrittori dell’epoca, soprattutto con Prezzolini, che permise la pubblicazione del Frammenti Lirici e, da ricordare, almeno quello con Sibilla Aleramo, che rappresentò Rebora tra i protagonisti di un suo romanzo, Il frustino. Poi, naturalmente, l’incontro con Antonio Rosmini, il geniale filosofo e teologo dell’Ottocento, che indirizzo il cammino vocazionale della seconda parte della sua vita, fino a farlo entrare, appunto, nell’ordine rosminiano.

LB: Nelle nostre prime battute scambiate, ci siamo subito confrontati su un aspetto controverso di Rebora e della sua eredità poetica ovvero un'immagine di poeta diviso tra l'essere "misconosciuto" o poeta ancora letto e frequentato, saldamente presente nelle letture. Qual era la sua percezione prima della pubblicazione del libro e come sta cambiando ora dopo l'uscita del libro?
RISPOSTA: Ho scritto il mio libro viaggiando un po’, col desiderio di incontrare anche personalmente chi ha conosciuto l’uomo e studiato l’opera. Che Rebora sia poco insegnato nelle scuole, si sa. Spesso anche numerosi giovani poeti lo ignorano; ma questi viaggi mi hanno messo in contatto con un mondo intero di reboriani, spesso giovani: insegnanti, universitari, scrittori. Rebora è il tipico caso di scrittore che persiste nella cultura del suo paese non perché proposto dal livello istituzionale ma in virtù, direi, della forza intrinseca alla sua opera.

LB: Nel libro che è appena uscito hanno un ruolo fondamentale i luoghi di Rebora. Potrebbe tratteggiare e puntellare quest'aspetto contenuto in Incontri con Clemente Rebora?
RISPOSTA: Il mio volume su Rebora è anche un po’ un libro di viaggi. Per formazione e per desiderio io non intendo scrivere studi di tipo filologico o monografie accademiche su un autore. Preferisco, semplicemente, introdurre alla sua lettura, con la massima aspirazione che, chiuso il mio libro, al lettore prenda un gran desiderio di leggere Rebora. Per questo il mio lavoro assomiglia più a un romanzo, in cui, assieme ai racconti degli incontri fondamentali e a paragrafi di lettura delle poesie, anche singolarmente, la visita ai luoghi reboriani (Milano, Stresa, Rovereto, Domodossola) renda leggero il seguirlo. La vera domanda a cui mi interessa rispondere è: cosa dice Rebora a me, oggi?

LB: Parliamo di lei e della sua personale esperienza di lettura di Rebora. Qual è il "suo" Rebora, il periodo poetico sul quale magari ritorna con più assiduità?
RISPOSTA: Rebora pubblicò in vita quattro raccolte: Frammenti lirici e Canti anonimi nella prima parte della sua vita e Curriculum vitae e Canti dell’infermità nella seconda parte, dopo un “buco” di 33 anni! Ad esse occorre aggiungere una miriade di poesie non raccolte, spesso d’occasione, che forma quasi la metà del suo corpus poetico. Le poesie che preferisco sono quelle dei Canti anonimi, raccolta di cerniera che contiene le domande drammatiche della giovinezza e il preludio alla maturità. È un’opera in cui anche la lingua poetica si fa più chiara, dopo le asperità e oscurità dei Frammenti lirici, assomigliando in ciò molto più alle poesie ultime, tanto che Pasolini, recensendo il suo ritorno alla poesia negli anni Cinquanta, disse che tra queste e i Canti anonimi sembrava essere passata solo una notte…

LB: Esattamente cent'anni fa uscivano i Frammenti lirici, una delle raccolte più importanti dell'anteguerra. Le risulta che siano in corso delle iniziative particolari, in ambito accademico ma non solo, che mirino a ricordare quella fondamentale pubblicazione?
RISPOSTA: Letture, cicli di studi e pubblicazioni ne avvengono in continuazione, anche adesso e, tra l’altro, in ogni ambito ideale e persino politico (Rebora sembra mettere d’accordo tutte le intelligenze aperte del nostro paese). Ricordo ad esempio che durante l’ultimo autunno s’è svolto un grosso convegno reboriano presso l’Università di Urbino, a cura del prof. Gualtiero De Santi, uno dei suoi studiosi maggiori. Intorno al mio stesso libro, pur così semplice (o forse proprio per questo) si sta preparando una piccola tournée di presentazioni e incontri in tutt’Italia.

LB: Può scegliere per i lettori del blog una poesia di Rebora che riporteremo a conclusione dell'intervista?
RISPOSTA: Rebora pone a tutti i poeti d’oggi la questione fondamentale dell’ultimo secolo: cosa viene prima? Qual è il senso primo del fare dei poeti? Il filone vincente del Novecento poetico italiano, da Montale a Luzi a molti giovani (filone a cui Rebora non appartiene) direbbe che la poesia stessa è il cuore del lavoro dei poeti, il senso principale. Rebora appartiene invece a quel gruppo più stretto per cui c’è qualcosa prima: la vita, il rapporto col mondo, come dice in conclusione di questa poesia del Curriculum vitae:


Poesia e santità


Mentre il creato ascende in Cristo al Padre,
nell’arcana sorte
tutto è doglia del parto:
quanto morir perché la vita nasca!
pur da una Madre sola, che è divina,
alla luce si vien felicemente:
vita che l’amor produce in pianto,
e, se anela, quaggiù è poesia;
ma santità soltanto compie il canto.

giovedì 27 ottobre 2011

“Pedemontana Veneta. Il divino del paesaggio: per un’economia della forma”, un volume a cura di Renato Rizzi

Ripescaggi #2









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Ripesco qui una recensione scritta nel 2009 per il Notiziario Bibliografico della Regione Veneto. Probabilmente (se leggete l’introduzione della recensione capite perché scrivo “probabilmente”) nel mese di novembre 2011 inizieranno i lavori per la costruzione della superstrada a pagamento Pedemontana Veneta. Il libro largamente illustrato (e quindi tutto sommato... breve) di cui parlo di seguito è stato curato da Renato Rizzi per Marsilio ed uscì nel 2007.
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Quasi sicuramente nel 2010 inizieranno i lavori di costruzione della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta. Ci sono ancora alcune questioni sospese, ma con ogni probabilità il prossimo anno vedremo prendere forma un cantiere lungo circa 100 chilometri, da Spresiano a Montecchio Maggiore, che collegherà le autostrade A27 e A4. L’opera interessa 32 comuni, 12 dei quali in provincia di Treviso e 20 in quella di Vicenza.

Questo volume dell’architetto Renato Rizzi raccoglie 15 plastici, presentati tra l’altro anche in una recente mostra al MART di Rovereto, e accompagna la presentazione di questi modelli, rappresentativi di alcuni angoli visuali del territorio interessato dall’infrastruttura, con contributi teorici di grande interesse. La domanda di fondo che muove il libro, alla quale viene data una risposta affermativa, appare quantomeno inconsueta anche se, in realtà, profondamente radicata nello stesso oggetto a cui guarda: possono le motivazioni funzionali e pratiche essere legate a temi metafisici? La risposta è, come detto, affermativa, dal momento che qui si parla dei luoghi e della loro sacralità. Rizzi sostiene che “ormai guardiamo il mondo con l'occhio del nichilismo, che prevede solo una visione tecnico-scientifica. Ma il paesaggio ha un carattere di divinità che è oggettivo, che sta nelle cose. Studiandolo, ci rendiamo conto che la nostra cultura è inadeguata a comprendere questa ricchezza formale”. In un altro contributo del volume, Paolo Portoghesi sostiene che il paesaggistico e il figurativo della Pedemontana Veneta rovescia la prassi, candidandosi come motivo di rigenerazione del paesaggio stesso. Per Rizzi l’architetto deve “dare senso alle opere dell'uomo nel territorio, nelle città, nei luoghi dove vive”. Nel suo pensiero si individuano importanti echi rosminiani, soprattutto con riferimento ad un pensiero che partendo dalla persona arriva al senso (non tanto al significato) delle cose. Forma, divinità, qualità, metafisica: nel discorso di Rizzi tutti questi termini riconducono ad una matrice di pensiero comune che è teologica senza essere religiosa. Per certi aspetti una traduzione architettonica-urbanistica del Deus sive natura spinoziano.

Il libro cerca di strappare il problema della costruzione di nuovi assi viari (o “corridoi”, come vengono spesso definiti oggi) alla sola competenza tecnico-ingegneristica e parallelamente mette in discussione l’utilità di un metodo come quello del V.I.A. (Valutazione d’impatto ambientale) che sta già mostrando i propri limiti. Molto più opportuno parlare di assenza di qualità nella forma progettuale, di mancanza di “sapere” della forma e provare a riportare il dibattito all’antico sapere metafisico-simbolico, qualcosa che era forse ben chiaro già ai romani quando, con la tessitura viaria dell’Italia antica, offrirono una lettura funzionale e simbolica del paesaggio e della divinità in esso contenuta (pensiamo ad esempio alla Via Emilia e alla sua funzione di confine tra la catena appenninica e la Pianura padana).

Intersecando sguardi di provenienza diversa (da quello della letteratura a quello dell’iconografia storica, da quello della pittura veneta a quello della storia del territorio) il volume in questione riesce a far percepire la concretezza del problema delle infrastrutture in Veneto: non si tratta semplicemente di tracciare un percorso, espropriare quanto è d’intralcio e mettere in funzione il nuovo asse viario. Si tratta, ogni volta che si affronta un progetto di viabilità determinante per il futuro di questa regione chiave d’Europa, di comprendere come il pratico e il funzionale debbano essere intimamente legati al metafisico e al simbolico. Sembra pura astrazione, eppure non c’è nulla di più concreto di un assunto del genere. Lo scopriremo presto.