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lunedì 11 dicembre 2017

"Il modo di dire addio" di Leonard Cohen. Conversazioni sulla musica, l'amore, la vita

Musicali pretesti #16

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Mi pare che la casa editrice Il Saggiatore offra delle garanzie a chi cerca una proposta varia e sensata in più ambiti. In un panorama fatto di libri che si parlano addosso, di imitazioni e scimmiottamenti affannati, di pochissima autocritica, di tentativi poco convinti o di gadgettizzazione del libro e della sua promozione, in questa casa editrice permane un approccio consapevole alle specificità del fare editoria. Non si tratta di un approccio snob o nobilitante come quello di certi Re Mida dell'editoria (quei Re Mida hanno le mani fragili e i piedi gonfi, l'avranno capito ormai!), bensì una consapevolezza della strutturazione della proposta costituita dal catalogo, dove convivono novità, riproposizioni e innesti del tutto nuovi, all'insegna di una logica di prodotto attenta a tutti gli aspetti della filiera. Rimanendo al solo ambito musicale, sono ormai molti i titoli che questa casa editrice offre, dall'opera al folk, dai compositori contemporanei al rock. Uno sguardo agli scaffali musicali di una libreria discretamente fornita è sufficiente per rendersi conto di ciò. Tra gli ultimi arrivati vi è anche Il modo di dire addio di Leonard Cohen (pp. 651, euro 28). Il volume è a cura di Jeff Burger, porta un'introduzione di Suzanne Vega ed è stato tradotto in italiano da Camilla Pieretti. Gli affezionati dei Baustelle si rallegreranno dello scritto di Francesco Bianconi in apertura. E proprio il suo scritto, una lettera indirizzata a G., va diritto al punto di questo libro sostanzialmente costruito attorno alle varie interviste rilasciate da Cohen nei decenni. L'intervista è un genere giornalistico strano, uno strumento difficile da usare; oggi rischia di banalizzarsi a ogni passo e Cohen di sicuro non è sempre a suo agio. È sufficiente ascoltare le sue canzoni per capire che un artista con quella voce doveva in qualche modo stare veramente male dentro la modalità intervistatoria che si dipana attraverso una cinquantina di colloqui inediti in Italia. Di qui la violenza delle interviste, di cui scrive Bianconi, e di qui anche la vergogna del sentirsi uomini, che a volte passa come un ago per le canzoni, le poesie e i romanzi del nostro canadese per il quale tutto è illusione e solo l'amore è realtà. Non credo serva scrivere molto altro, se non ricordare la disponibilità di questo volume ora tradotto in italiano.

Non sapendo decidere tra cotanta discografia, per oggi la scelta del brano risponde a un criterio banale e perfino stupido: l'ultimo brano dell'ultimo disco pubblicato da Cohen,"You Want It Darker". String Reprise / Treaty è, come il titolo dice, pure una "reprise" di un brano del disco.  Il mio criterio di scelta stupido e banale non ha però portato male.



martedì 31 ottobre 2017

"Scatola sonora" di Alberto Savinio: la musica al suo primitivo significato di "moys", di acqua

Musicali pretesti #15

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


A rammentarci lo spessore della critica musicale di Alberto Savinio giunge un libro considerevole come Scatola sonora (Il Saggiatore, pp. 600, euro 44, a cura di Francesco Lombardi, con un saggio di Mila De Santis). Considerevole per lo spettro di contenuti, nomi, situazioni affrontate, ma anche per l'ampiezza della trattazione. È un libro che si può consultare con incursioni brevi, discontinue e rabdomantiche e non necessariamente leggere "tutto d'un fiato" (gli editori ci vorrebbero tutti campioni di apnea e di velocità, salvo poi spesso propinarci libri sul valore della lentezza). Si sa, parlare e scrivere della musica è una delle attività più difficili. Basti oggi prendere in mano una qualsiasi rivista musicale alla rubrica recensioni e si scoprirà come pochissime siano le penne capaci di dire qualcosa di un disco o di una esibizione dal vivo. Non credo sarebbe difficile inventare - e forse qualcuno ci ha già pensato - un word processor mixer e frullatore che, programmato con un po' di ingredienti, sappia restituire una recensione già bella e confezionata, pronta a comparire nel grande "recensionificio" del discorso musicale (per contro, se vi capita e se vi interessa, riflettete invece su come la recensione sia quasi del tutto scomparsa dall'ambito dei libri di poesia). Molto più semplice provare a restituire qualcosa su un libro letto che su un disco ascoltato, almeno così mi pare. Parlare e scrivere di musica resta un'attività faticosissima e inavvicinabile ai più. Servono conoscenze plurime, intuito e intelligenza in pari grado, umiltà non finta, persino una certa dose di irriverenza. Il libro che la casa editrice Il Saggiatore propone raccoglie gli scritti a tema musicale che Savinio scrisse per diverse testate in un quarto di secolo circa, tra gli anni Venti e il secondo dopoguerra. Ecco un passaggio che restituisce almeno parzialmente la temperatura della sua scrittura e del suo stile, i veri ingredienti stupefacenti di questa lettura:
Torniamo alle Stagioni di Domenico Scarlatti. Il clavicembalo, che ogni tanto rimaneva solo per accompagnare i recitativi dell’estate o dell’inverno, dell’autunno o della primavera, ha per sua natura una voce di zanzara; a maggior ragione dunque, quando la falange macedone dell’orchestra tornava a rovesciarsi sul povero clavicembalo, noi spettatori pietosi ma inermi pensavamo agli effetti micidiali del “flit”.
Savinio cala spesso le giuste domande e saper porre le domande non è questione da poco. Significa saper porsi in un flusso che ci preesiste e che continuerà dopo noi. Ci è particolarmente chiaro in un passaggio come questo:
Nel maggio scorso sentii un concerto sinfonico alla Scala diretto da Erich Kleiber. Nel programma alcuni frammenti del Wozzeck di Alban Berg. Applausi scarsi alla fine e molti zittii. Io allora mi domandai: «E possibile una politica estera se si zittisce il Wozzeck?».
Pagine utili sono dedicate a Dallapiccola ("musico cartesiano") e ricca è la trattazione su Debussy, Stravinsky, Richard Strauss, Rossini, Tullio Serafin (il primo a dirigere Wozzeck di Berg in Italia nel 1942), Verdi, Wagner. Uno dei periodi su cui Savinio sembra più a suo agio e più in forma smagliante è il secondo Settecento. Pagine sicure e tese sono anche quelle su Goffredo Petrassi, il pretesto musicale di oggi, con il suo Coro di morti (parlando della sua musica Savinio nota che "egli la scrive sulla calce fresca, come si dipingono gli affreschi"):
"Goffredo Petrassi ha il doppio merito di aver scritto Coro di morti e di non averlo scritto per il teatro. L’avventura teatrale nella quale questo “madrigale” viene a trovarsi implicato non solo non gli giova ma nuoce pure a quel che di leopardianamente ispirato c'è in esso meno nelle parti corali a dir vero che in quelle puramente sinfoniche come nel gran movimento fugato del centro e nella gelida sonorità delle battute finali."


venerdì 26 maggio 2017

Le lettere di Gustav Mahler a compositori, direttori d'orchestra e intendenti teatrali raccolte in "Caro collega" da Il Saggiatore

Musicali pretesti #14

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Tanti tanti anni fa girava per casa un volume verde di Giuseppe Pugliese intitolato Gustav Mahler ...il mio tempo verrà. Lo prendevo in mano spesso, lo sfogliavo e non lo leggevo mai. Del resto, come ho scritto, questo accadeva tanti tanti anni fa. In pochi casi il primo contatto con la musica di un compositore è passata prima per un libro, una copertina, quel ritratto austero del compositore e direttore d'orchestra con gli occhiali. Un volume con un titolo analogo è stato riproposto nel 2010 da Il Saggiatore, Gustav Mahler: Il mio tempo verrà. La sua musica raccontata da critici, scrittori e interpreti 1901-2010 (a cura di Gastón Fournier-Facio, pp. 832, euro 45). Il Saggiatore, va detto, è una casa editrice che mostra le maggiori e più belle attenzioni a quello che resta dell'editoria musicale all'interno dei cataloghi di varia, in più generi musicali e stando ben lontana da certe infatuazioni di altre case editrici. Di recente la stessa casa editrice, per la cura di Franz Willnauer e la traduzione di Silvia Albesano, ha mandato in libreria un altro volume mahleriano, leggermente meno corposo di quello ricordato poco sopra, intitolato Caro collega. Lettere a compositori, direttori d'orchestra, intendenti teatrali (pp. 436, euro 42). Il libro si colloca in un solco più grande che è quello della grande tradizione dell'epistolografia mahleriana, un fiume che ha più rivoli (si pensi alle lettere alla moglie Alma Maria Schindler o al carteggio con Richard Strauss). Com'è normale e giusto che sia, in un epistolario così ricco si potranno trovare le lettere ai "colleghi" compositori, ma anche le non meno interessanti lettere che documentano le travagliate vicende organizzative che un compositore sempre deve affrontare. Del resto, per diventare grandi, c'è poco da fare, tocca lavorare sodo e non basta, oggi meno che mai, star davanti a un computer e fare tutta quelle serie di cose che un computer o altri dispositivi consentono di fare (certo, si può "lavorare al computer", anche in ambito artistico, ma non basta). Il libro offre quindi a un lettore di oggi anche un peculiare e saporito motivo di interesse, perché ci mette davanti gli affanni e le attività di un musicista-imprenditore. Si può leggere qua e là, in alcune sue parti, come un testo che evoca e forse anticipa i nostri affanni promozionali ai tempi del promuovi te stesso in campo culturale e artistico (i nostri mezzi sono gratuiti o quasi e purtroppo certi effetti della gratuità si notano). E, poiché siamo tutti qui a provare a fare la fantomatica promozione, non è male gettare uno sguardo attento sullo stile di condotta di un artista come Mahler, proprio in quello che oggi considereremmo il lato promozionale della sua vicenda (sia chiaro che non uso la parola "promozione" in senso dispregiativo, perché è necessaria, ora come allora, il problema è semmai il come farla).

Per l'ascolto pretestuoso vado a parare sul pezzo che segue, il quale risale davvero agli albori della carriera di compositore di Mahler, che nacque nel 1860 e morì nel 1911. Siamo nel 1876, Mahler è un giovanissimo studente di conservatorio e Il Quartetto con pianoforte in la minore rimane ancora oggi la sua prima opera nota (incompiuta).




martedì 5 luglio 2016

Carl Dahlhaus e "L'idea di musica assoluta"

Musicali pretesti #13

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Da poco è disponibile nel catalogo della casa editrice Astrolabio il volume di Carl Dahlhaus intitolato L'idea di musica assoluta (pp. 208, euro 19, traduzione di Laura Dallapiccola), opera uscita nel 1978 in Germania. Il musicologo tedesco, per anni professore di Storia della musica a Berlino e responsabile della "Richard-Wagner-Gesamtausgabe", ha racchiuso in queste pagine una larghissima riflessione su un concetto cardine della storia della musica, vale a dire quell'idea di musica sciolta da testo, concetto, oggetto, scopo e qualsivoglia riferimento extramusicale che si è manifestata quasi come riflessione teorica sulla sinfonia e anche come contrappunto ed emancipazione dal successo della musica operistica. Torneremo sull'epoca di formazione di questo concetto che ha avuto vita travagliata, più o meno latente, così come più o meno latente continua a vivere anche oggi (la musica, forma espressiva solo per l'orecchio, si è via via aggrappata al visivo o alla lettura e anche la "musica assoluta" potrebbe assomigliare a una categoria-dinosauro se non siamo pronti a coglierne una possibile evoluzione). Ad un livello editoriale, si sta arricchendo quindi la proposta delle opere di Dahlhaus in traduzione italiana, dopo quanto gli ha dedicato EDT (un volume su Beethoven e uno sulla drammaturgia dell'opera italiana) e i due libri già proposti da Astrolabio (L'estetica della musica e Dal dramma musicale alla Literaturoper). Questo volume, già uscito in italiano a dieci anni dall'edizione tedesca in questa stessa traduzione per La Nuova Italia, volle fissare un punto di riferimento della speculazione attorno al paradigma estetico di "musica assoluta" che ha informato di sé larga parte della vicenda musicale d'Occidente. Dahlhaus ne ricostruisce dapprima storia e "peripezie", per poi addentrarsi a far percepire, mediante una prosa nutrita di rimandi storici, sociologici, scenici e soprattutto filosofici, la vitalità del concetto che lui ha inteso illuminare da dentro il Novecento, ovvero un secolo che aveva spento i riflettori sulla "musica assoluta".

Richard Wagner
"Assoluta" perché è musica sciolta da un testo o da un programma letterario, "assoluta" perché richiama anche l'art pour l'art. Il costrutto, che nasce tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, trova una sua canonizzazione e molla grazie all'uso che ne fa Wagner nel 1846, fino a diventare un'idea abbastanza diffusa dal decennio successivo. L'azione di riproporre oggi questo testo di Dahlhaus è fortemente costruttiva e sarebbe (dico "sarebbe" perché l'educazione e il dibattito musicale forse sono ai minimi storici) anche largamente stimolante. Sebbene si possa addirittura pensare di sovrapporre questo concetto con una certa fase del pensiero musicale (soprattutto tedesco), qualcosa di questo costrutto-idea di "musica assoluta" sembra resistere, di certo con connotati completamente lontani da quelli che sono emersi in epoca romantica e che poi sono stati fissati una volta per tutte dal potere definitorio di determinati compositori e teorici. Tutta quella musica che è scritta per un testo, un film, un'installazione, una sonorizzazione site-specific, e ancora per un'opera di teatro o una musica scritta per una canzone popolare o meno (larga parte della musica di oggi) non è musica assoluta, in quanto legata fortemente all'impiego che ne verrà fatto. In questo il Novecento, con la non trascurabile eccezione teorica di Stravinskij, non ha saputo rinverdire una riflessione sul concetto di musica assoluta, che pure avrebbe più di qualche motivo per riproporsi con nuove spoglie che rivestano forma e contenuto di una composizione musicale. Quindi che cos'è quella sorta di intuito che la musica assoluta acciuffa e che poi albergherà immanente nella logica stessa di una composizione musicale, senza alcun riferimento extramusicale?  Questo testo, che si destreggia anche tra concetti affini come quello di "musica pura", "musica strumentale" o quelli di "poésie absolue" (Valéry), rimane una lettura di riferimento per chiunque voglia interrogarsi sulla natura della musica, ben al di là (e anche al di qua) degli scossoni teorici che il Romanticismo ha inevitabilmente comportato su questo tragitto filosofico e storico. E poi ci sono Richard Wagner e la sua eredità sempre sullo sfondo di queste pagine e pure questo lascito, in qualche modo, va sempre "attraversato" (con o senza la luce dei notori Nietzsche contra Wagner).

La disquisizione di Dahlhaus va ben oltre questi spartani appunti che ho tracciato e abbraccia necessariamente anche il possibile essere "sciolta dall'uomo" di questa musica. E non poteva, nel suo incedere, diventare parimenti un libro di filosofia della storia e delle forme simboliche. Sappiamo che dal Romanticismo sempre più le categorie estetiche si sono sovrapposte a quelle storico-filosofiche. La realtà del pensiero fu comunque assai sfaccettata e lo stesso Romanticismo non si presenta certo ai nostri occhi come un monolite. Il pregio di quest'opera sta appunto nella capacità di distinguere i singoli contributi che via via si sono coagulati attorno a questo involucro del nostro concetto, il quale, nel lambire la poesia, non può non riprendere il lascito di Poe, Mallarmé e Baudelaire e quell'epoca in cui poesia e musica hanno provato rimpiazzare la religione con l'arte (va ricordato il concetto di musica assoluta trova in ambito letterario le più forti spinte definitorie). Un libro di riferimento, quindi, ma anche un ottimo ripasso di alcune boe fondamentali del pensiero filosofico e musicale (oltre ai già citati Wagner e Nietzsche, va ricordata la prominenza di Tieck, Hanslick, Hoffmann, Hegel, Herder, Rousseau, Busoni e soprattutto Schopenhauer, che tornerà a stracciare i suoi veli).


mercoledì 2 marzo 2016

R.E.M. Perfect circle. I testi commentati da Claudio Fabretti

Musicali pretesti #12

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Per chi s'è appassionato ad un gruppo che agli inizi della carriera aveva un cantante affetto da una strana "lallazione" (Murmur si intitolava programmaticamente il primo stupendo LP del 1983) e che si rifiutava di pubblicare i testi all'interno dei dischi, può tornare utile questo libro che contiene i testi delle canzoni della formazione di Athens commentati da Claudio Fabretti (Arcana, pp. 379, euro 19,50). Si sono sciolti da un bel po' (21 settembre 2011), lo sappiamo, e anche questo libro non è più una novità, visto che risale al 2012. Comunque il libro è ancora in commercio. Se vogliamo trovare il pretesto dell'attualità, sappiamo che si sente ancora parlare di REM in campagna elettorale, perché come altri artisti non vogliono che Trump usi la loro musica (qui un articolo di "The Guardian" sul tema). Piacciano o no, piacciano tanto o poco, piacciano solo per qualche album o solo per qualche canzone, credo che siano una presenza importante di un trentennio esatto di canzoni, già quando erano una band in ascesa dell'era reaganiana. Il libro curato da Fabretti si muove con curiosità e la giusta attenzione attraverso i testi di Stipe e nel suo cut-up che voleva essere mutuato da William Borroughs. Ricevetti questo libro come omaggio dalla casa editrice appena uscito. Ne scrivo solamente ora, ma per fortuna non sta scritta da nessuna parte la data di scadenza entro cui si può parlare di un libro e nemmeno il modo in cui farlo. La scelta della canzone è come sempre l'aspetto più difficile, un dilemma stavolta. Pur riconoscendo al gruppo bellissimi clip, scelgo la canzone, una versione live meno languida di una delle loro migliori (con Neil Young).


Rimando a questo link con una selezione di 15 videoclip della band.

sabato 23 gennaio 2016

2 + 2 = 5

Musicali pretesti #11

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Solito post musicale pretestuoso quant'altri mai. Stavolta più che un libro sui Radiohead (che torneranno in tour) si tratta di un pretesto per rivedere e riascoltare con voi quel video notevole realizzato da Gastón Viñas per il brano 2 + 2 = 5 contenuto nell'album Hail To The Thief del 2003. Volendo trovare un altro pretesto librario, relativo proprio a questo brano, si arriva a George Orwell e al suo 1984 (pretesto per pretesto, aggiungo che le opere di Orwell, le quali spesso e volentieri corrono il rischio della banalizzazione, fanno bene ogni volta che ricapitano tra le mani, e penso persino a certi suoi scritti e interventi giovanili, qua e là imprecisi e intemperanti, ma proprio per questo così vitali). Se proprio cerchiamo un libro con i testi dei Radiohead - ma dovremo cercarlo in canali di seconda mano ormai - il suggerimento resta Radiohead. A Kid, ovvero i testi commentati da Gianfranco Franchi (Arcana, pp. 437, euro 18,50, uscito nel 2009 e ormai irreperibile). In libreria troverete sempre comunque diversi titoli dedicati alla formazione inglese. Credo che i loro lavori resteranno a marcare il passo dei Novanta, almeno per me, anche se penso che proprio in questo album collocato all'inizio del decennio successivo abbiano inanellato i brani del disco pressoché perfetto.



[Chi cerca il testo lo trova qui.]

lunedì 23 novembre 2015

"So What" di John Szwed. Vita di Miles Davis

Musicali pretesti #10

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Come si dice in questi casi John Szwed è un'istituzione per quelli che si interessano di antropologia, African Studies, jazz e limitrofi. In italiano erano già usciti Jazz! Una guida completa per ascoltare e amare la musica jazz per EDT e Space is the Place. La vita e la musica di Sun Ra per Minimum Fax. Da poco, per i tipi de Il Saggiatore, potete trovare So What. Vita di Miles Davis (pp. 518, euro 35, traduzione di Melinda Mele), volume che ormai ha circa 12 anni, visto che l'edizione in lingua inglese data 2003. Ci si chiede cosa interviene nel caso di queste traduzioni tutto sommato tardive, se un anniversario, un risveglio di interesse, un trend editoriale intravisto o fiutato, la "costruzione di un autore" presso il pubblico di una data lingua e quindi un certo passato sedimentato di titoli tradotti. Quel che è. Resta il fatto che è una bella notizia. E per l'occasione niente So What ma una più stagionale Autumn Leaves con Cannonball Adderley al sassofono contralto, Davis alla tromba, Hank Jones al piano, Sam Jones al contrabbasso e Art Blakey alla batteria. Registrazione del 9 marzo 1958 al Van Gelder Studio (Somethin' Else l'album e che bello nei dischi jazz dove si cita sempre esatto il giorno della registrazione!).

venerdì 6 novembre 2015

"L'ultimo giorno di Luigi Tenco" di Ferdinando Molteni

Musicali pretesti #9

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Ferdinando Molteni scrive di cultura e musica su varie testate ("Secolo XIX", "Il Foglio" e "Diario") e si è già occupato di Luigi Tenco scrivendo per l’attore Massimo Ghini La strana morte di un cantautore (Raidue) e per Roberto Tesconi l’atto unico Luigi Tenco. L’ultima notte. Un libro come L'ultimo giorno di Luigi Tenco (Giunti, pp. 160, euro 14) allora ricade nella sfera di ciò che ci si può attendere da uno scrittore come lui. Le pagine indugiano sugli ultimi giorni e sul non-sapere bene come si arrivò a quel cadavere nella camera dell'Hotel Savoy di Sanremo. Radunano le varie persone legate agli ultimi momenti del cantautore (sono noti i tanti ragionamenti fatti su Dalida e il suo ex compagno, il discografico Lucien Morisse e sulla gestione delle indagini da parte del commissario Arrigo Molinari), tornano ad occuparsi di un artista come Lucio Dalla e di come si trovò travolto dalla vicenda e infine seguono una traccia che porta alla vicina malavita marsigliese d'oltrefrontiera. Il rischio, se non si è accorti nello scrivere, è davvero quello di andare a confezionare un'ennesima triste "cosa à la Lucarelli" (a proposito, l'avrete visto l'immancabile e puntualissimo PPP. Pasolini, un segreto italiano). Per fortuna questo non accade e allora Molteni tratta con la "giusta distanza" tutto il materiale che ha raccolto. Può interessare o meno un libro che parla di quegli ultimi giorni del gennaio 1967 e anche di altri aspetti (ad esempio delle relazioni che possono instaurarsi tra un discografico e la sua pigmalionica "creatura"). Una cosa però è sicura: ripercorrere quel che accade in queste pagine è un buon ripasso dei mali che ci affliggono, soprattutto tra quei nauseabondi e moribondi "bordelli di pensiero che chiamano giornali". Il pretesto pretestuoso era scegliere questa canzone, un po' sulla scia di questo vecchio post. Scrivevo lì che Tenco dovrebbe essere strappato a forza da queste percussive discussioni che riguardano la sua fine, per lasciarlo davvero alle sue canzoni. Paradossalmente un libro come questo che parla della sua fine potrebbe aiutare in tal senso.

domenica 18 ottobre 2015

Pink Floyd. The lunatic: testi commentati da Alessandro Besselva Averame

Musicali pretesti #8

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Quand'ero piccolo mi divertivo ad assistere alla diatribe accesissime tra i chitarristi più grandi di me, cose tipo "Meglio i Queen!", "Neanche da mettere, mooolto ma mooolto meglio i Pink Floyd!". Mi divertivano. E mi divertivo anche a compulsare volumi del genere, simili a questo Pink Floyd. The Lunatic. Testi commentati (pp. 512, euro 19,50) curato da Alessandro Besselva Averame, libro che Arcana tempestivamente ripropone a distanza di sei anni, sulla scia di un rinnovato interesse per il fluido rosa. Era fra l'altro un ulteriore modo per avvicinarsi all'inglese che ascoltavo nelle canzoni. Essendo poi un fan dei R.e.m. (ma questo fatto mica si poteva confessare sperticatamente agli integralisti queeniani o floydiani senza rischiare linciaggi) avevo il mio bel da fare con Michael Stipe che cantava tutto impastato nei primi album e si rifiutava di inserire i testi nei libretti dei cd. All'epoca li ascoltavo entrambi, intendo sia i Queen che i Pink Floyd. Oggi, quando capita, capita più spesso di riascoltare i Floyd. Questo comunque ha poca importanza, semmai serve per anticipare che non uscirà un post su un libro dedicato ai Queen. Il libro in questione naturalmente non è una semplice raccolta di testi, anche perché oggi, armati di buona volontà, potremmo tranquillamente stamparcela a casa facendo copia-incolla da Internet. Besselva Averame propone una propria interpretazione e filo per leggere i differenti rigagnoli lirici, da Barrett a Gilmour passando naturalmente per Waters, rigagnolo dei rigagnoli (nomen omen). Bello il maiale scelto per la copertina, evidente riferimento al brano "Pigs" di Animals. Per oggi però ho scelto questa.

martedì 18 agosto 2015

"La canzone teatrale di Piero Ciampi. Congetture e conversazioni sul poeta cantautore livornese" di Eugenio Ripepi

Musicali pretesti #7

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Eugenio Ripepi ha da poco pubblicato per Zem edizioni La canzone teatrale di Piero Ciampi. Congetture e conversazioni sul poeta cantautore livornese (pp. 122, euro 12). Il libro raccoglie diversi contributi, primo fra tutti quello di colui che riconobbe nel cantautore livornese il “più poeta di tutti noi", ovvero Gino Paoli. Vi troverete poi i pensieri di Enrico De Angelis, Gian Piero Alloisio, Nada, Giuseppe De Grassi, Gianmaria Testa, Max Manfredi, Pino Pavone e Arnaldo Bagnasco. Il volume si propone di analizzare l'aspetto letterario di Ciampi e, sin dal titolo, vira fortemente verso il teatro. Il libro si pone con delle congetture, come se quest'ipotesi teatrale di fondo fosse ancora tutta da dimostrare. Non è facile, non so nemmeno se sia necessario. La contiguità fra teatro e canzone è stata sancita nella formula gaberiana di teatro-canzone (più chiaro di così). Ciampi non è estraneo a questo ma resta un artista che si libera continuamente di qualsiasi briglia. Poeta, certo, anche. Cantautore, sì, come no. Ciò che lo fa grande è arrivare veloce come la luce, intenso e spiraliforme come il tungsteno di una lampadina, secco come una pacca tra le scapole di chiunque voglia aprirsi alle sue canzoni. Quale canzone scegliere allora? Questa, tra molte altre possibili.


lunedì 20 luglio 2015

"Wilder Mann o la figura del selvaggio" di Charles Fréger

Musicali pretesti #6

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Inizia a essere difficilmente reperibile ma si trova ancora Wilder Mann o la figura del selvaggio del fotografo Charles Fréger, libro pubblicato da Peliti Associati nel 2012 (pp. 272, euro 28,90). Il libro racchiude una serie di ritratti dell'uomo selvaggio (sic). Chi desidera può trovare una nutrita galleria di foto a questo indirizzo. Le foto sono state anche recentemente ospitate alla Galleria del Cembalo di Roma per una mostra. Sono ritratti di costumi e maschere trovate in giro per l'Europa e non si sa bene cosa pensare visto che quello dell'uomo selvaggio resta un mito sempre più arduo da trattenere. Ad ogni modo queste foto si possono intanto vedere. E poiché non si sa bene cosa pensare dell'uomo selvaggio oggi possiamo ascoltare la musica dedicata a questo progetto da Teho Teardo in Music for the Wilder Mann. (Ricordo che sempre Teardo ha risposto a qualche domanda su Pasolini poco fa e l'intervista si trova qui.)
 

venerdì 26 giugno 2015

"Gli standard del jazz. Una guida al repertorio" di Ted Gioia

Musicali pretesti #5

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

La collana "Jazz" delle edizioni EDT riprende a pubblicare dopo una pausa. L'anima è sempre quel Francesco Martinelli intervistato qui. Stavolta Martinelli è anche traduttore di questo Gli standard del jazz. Una guida al repertorio (EDT, pp. XVI-493, euro 28) del critico e storico americano Ted Gioia. Il festival Umbria Jazz è vicino, con un cartellone come sempre interessante e ha senso che un libro del genere esca in questo preciso momento dell'anno. L'editoria musicale inoltre rincorre spesso l'idea di "repertorio" per affrontare e sfrondare un panorama vasto e difficilmente avvicinabile dalla scrittura. Per certi aspetti dovremmo riconoscere che quella sulla musica è una delle scritture più difficili e intricate sulla faccia della terra, per molti aspetti è quasi una contraddizione in termini, prova ne sia la difficoltà di individuare nomi di spicco nella prosa musicale, tra i tanti che contribuiscono ad animare le svariate riviste e i siti, quasi sempre appiattiti su stilemi invasivi e ricorrenti. Ad ogni modo la scrittura e la critica sulla musica accadono e non di rado sono corsi di pensiero che val la pena intraprendere (un guida come Breve storia della musica di Alfred Einstein è un libro che mi sento di consigliare, ad esempio). Per restare ai nostri standard jazz, questo libro fresco di stampa mi ha portato a scegliere una versione di God Bless the Child di Billie Holiday interpretata da Eric Dolphy con Herbie Hancock al pianoforte, Eddie Khan al basso e J.C. Moses alla batteria. La trovate nell'album della Blue Note The Illinois Concert (live all'università dell'Illinois, 10 marzo 1963).

mercoledì 11 marzo 2015

Notturno americano, "Il primo dio" Emanuel Carnevali nella lettura di Emidio Clementi

Musicali pretesti #4

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.


Era il 1978 quando Adelphi pubblicò Il primo dio (pp. 434, a cura di Maria Pia Carnevali, euro 30) con un caravaggesco Chop Suey di Edward Hopper in copertina, inondato di luce laterale. Il volume, ancora in commercio, contiene poesie scelte, racconti e scritti critici del ragazzo partito da Genova nel 1914 per fare il millemestieri negli Stati Uniti. Era il 1995 quando il brano d'apertura dell'album Lungo i bordi dei Massimo Volume contribuiva a riportare in orbita il nome di Carnevali. Si intitolava proprio come il libro a lato. Di Carnevali, di quel brano e anche delle non poche pubblicazioni che gli ha riservato l'editore pistoiese Via del Vento si è già parlato in un post passato (si possono ricordare pure i Racconti di un uomo che ha fretta e altri scritti pubblicati da Fazi ma non più disponibili). A breve, per Santeria, uscirà il disco che raccoglie i brani del reading-tributo offerto a Carnevali da Emidio Clementi, Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi, un progetto illustrato dalle tavole di Gianluca Costantini. Si intitola Notturno americano e molti di voi magari avranno avuto modo di ascoltarlo dal vivo in una delle molte date che si sono succedute negli ultimi mesi. Il disco, composto da 8 brani, è un ascolto che apre diverse porte che danno su una stessa stanza: l'America di Carnevali, i lavori, la pazzia di questo poeta sul quale mi piace tornare anche quelle volte che sento troppa aria professorale/professionale nella poesia che si propone in giro, un poeta che intraprese più strade di scrittura, anche quella delle lettere a Benedetto Croce, a Giovanni Papini, a Carlo Linati (grazie a Liber Liber queste lettere sono disponibili qui). Mi sarebbe piaciuto congedarmi da questa nota con l'ascolto di "Chicago" o di "Carnevali a Milwaukee", il brano che chiude il disco, ma questi non sono ancora disponibili su YouTube, per cui lascio "I camerieri", la traccia numero 5, un pezzo giusto per ricordare il "morto di fame nelle cucine d'America sfinito dalla stanchezza nelle sale da pranzo d'America".



Le prossime date di Notturno americano (per gli orari, i link dei locali e per tener monitorato tutto con maggior precisione rinvio qui):


13/03/2015 - LA SPEZIA - Btomic - Via Firenze 27
14/03/2015 - REGGIO EMILIA - Dinamo - Viale Monte San Michele 4
27/03/2015 - PARIGI - Ciao Gnari - 333 Rue Des Pyrenees
28/03/2015 - BRUXELLES - Piola Libri - Rue Franklin 66/68
01/04/2015 - BOLOGNA - Locomotiv - Via Serlio 25/2
10/04/2015 - MACERATA - Teatro Don Bosco - Viale Don Bosco 55
11/04/2015 - ANCONA - Silos - Via Leopardi 9
12/04/2015 - PEGOGNAGA (MN) - Casbah - Via Roma 20
22/04/2015 - TRAVEDONA MONATE (VA)  - Cineteatro Santamanzio - Via S. Caterina
29/04/2015 - MILANO - 75 Beat - Via Privata Tirso 3
02/05/2015 - GRUGLIASCO (TO) - Casseta Popular - Via Tripoli 56
03/05/2015 - CARPI (MO) - Mattatoio Culture Club - Via Pio 4
08/05/2015 - PESCARA - Milonga Vintage - Via Ravenna 69
09/05/2015 - RIMINI - Primo Piano - Via Garibaldi 20
15/05/2015 - BENEVENTO - Morgana - Via Umberto I 8
16/05/2015 - NAPOLI - Cellar Theory - Vico Acitillo 58
29/05/2015 - SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA (TE) - Dejavu - Via Vittorio Veneto 38/40

venerdì 9 gennaio 2015

La poetica della musica di Igor Stravinsky

Musicali pretesti #3

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.
 
Le Edizioni Curci, specializzate in pubblicazioni musicali anche a sfondo didattico, hanno reso disponibile per il lettore italiano il ciclo di conferenze che Stravinsky tenne a Harvard fra il 1939 e il 1940. Il libro, Poetica della musica (pp. 126, euro 13, traduzione di Lino Curci), è la versione italiana di Poetics of Music in the Form of Six Lessons e racchiude le "Norton Lectures" del compositore sepolto nel cimitero veneziano di San Michele, noti cicli di conferenze ai quali hanno preso parte personalità delle humanities ben note in tutto il mondo e che assai spesso hanno ospitato dei musicisti. Per l'Italia c'è stato Luciano Berio ed il suo Un ricordo al futuro è un libro che andrebbe letto da ogni persona che dice di "amare la musica" ed è proprio dello scorso anno, fra le altre cose, la partecipazione di Herbie Hancock con il suo The Ethics of Jazz. Il libro di oggi rappresenta un'occasione rara per assistere al momento speculativo e riflessivo del compositore della Sagra di primavera. Si passa da esposizioni più a carattere generale contenenti riflessioni sulla propria opera a lezioni più serrate su fenomeno, composizione e tipologia musicale, e non manca uno studio più circoscritto all'ambito russo, per chiudere infine con pagine chiare in cui la musica, "ciò che unifica" nel pensiero di Seu-ma-Tsien, è studiata nell'atto di esecuzione.

lunedì 24 novembre 2014

Place to Be. A quarant'anni dalla morte di Nick Drake un ricordo dei testi curati da Paola De Angelis in "Journey to the Stars"

Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #25
Musicali pretesti #2

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Sono passati quarant'anni dalla morte di Nick Drake, ritrovato ucciso da un'overdose di antidepressivo triciclico nella casa dei genitori il 25 novembre 1974. Le notizie su quel giorno ci ricordano sempre i Concerti brandeburghesi di Bach sul piatto del suo giradischi. Penso si possa spendere la dicitura "quasi classico" per questo Journey to the Stars (pp. 251, euro 14, ancora in commercio), libro che Arcana pubblicò nel 2007 per la cura di Paola De Angelis. Chi ascolta la bella trasmissione "Sei gradi" di Radio 3 (alle 18, dal lunedì al venerdì) sa bene chi è Paola De Angelis. Non c'è forse molto da aggiungere. D'altra parte questi "Musicali pretesti" di Librobreve sono appunto una scusa per ricordare un libro musicale, recente o datato, magari letto anni fa e sempre meritevole di attenzione, e infine un pretesto per chiudere con l'ascolto di un brano. Aggiungo però che anche qualora conosciate a memoria da una vita i testi di Drake, la curatela di Paola De Angelis è davvero notevole, non comune in libri simili e per questo ho parlato di "quasi classico" e lo ricordo oggi. 

Five Leaves Left del 1969 resta forse il mio album preferito, ma ora scelgo Place to Be, la seconda traccia di Pink Moon.
 

When I was young, younger than before
I never saw the truth hanging from the door
And now I'm older see it face to face
And now I'm older gotta get up clean the place.

And I was green, greener than a hill
Where flowers grew and the sun shone still
Now I'm darker than the deepest sea
Just hand me down, give me a place to be.

And I was strong, strong in the sun
I thought I'd see when day is done
Now I'm weaker than the palest blue
Oh, so weak in this need for you.

mercoledì 12 novembre 2014

"John Bonham. Il motore dei Led Zeppelin" di Mick Bonham

Musicali pretesti #1

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

Chi ha amato i Led Zeppelin ha quasi certamente amato la formazione al completo, senza esclusione di colpi. I Led Zeppelin, per quello che mi è stato possibile notare, riescono persino a mitigare certe faziosità e estremismi chitarristici che prendono di mira molte formazioni di quegli anni. Come non considerare ad esempio John Paul Jones importante quanto il duo Page&Plant? (E che bello The Sporting Life, il disco che fece con la cantante di origine greca dall'impressionante spettro vocale, Diamanda Galás, vent'anni fa.) Quello che magari non ci si aspetta è che Arcana esca con la traduzione del libro che Mick Bonham ha deciso di dedicare al fratello scomparso all'età di 32 anni, il batterista del gruppo, definito nel titolo Il motore dei Led Zeppelin (pp. 206, euro 23,50, traduzione di Marco Lascialfari). Il libro ha la stessa copertina dell'edizione inglese che però titola The Powerhouse behind Led Zeppelin. Nella traduzione del titolo si perde il senso spaziale di quel "behind". Motore o centrale elettrica, chiamatelo come volete, "Bonzo" riceve qui la sua biografia tradotta in italiano. E se volete lo ascoltiamo in questo video di Immigrant Song.