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venerdì 18 dicembre 2015

Con Kafka, Walser, Trakl, Kraus e gli altri. Le memorie dell'editore Kurt Wolff, prima edizione italiana per Giometti&Antonello

Della neonata casa editrice Giometti&Antonello di Macerata (si recupera il nome della città anche nelle copertine dei libri, come visto in secoli passati) si è già parlato qui l'anno scorso, poco dopo l'annuncio dell'avvio dei lavori, e in fondo a questo articolo troverete il link che vi riporta a quella intervista ai fondatori che danno il nome alla casa editrice. Ora, dopo il Lenz di Georg Büchner, quasi un numero zero, le pubblicazioni partono davvero e simbolicamente la prima creatura è il volume di memorie di quel gran inventore dell'editoria novecentesca che risponde al nome di Kurt Wolff. Un nome mitico, per chi ad esempio si affascina a sentir parlare di "editoria di catalogo" à la Adelphi, tanto per fare un nome, insomma uno di quei grandi personaggi che hanno plasmato il modo di pensare e fare i libri, filtrare, ma soprattutto - ed è la messa in luce di questo lato uno dei principali meriti di queste Memorie - una persona che ha segnato profondamente il modo di intendere quella delicata relazione che si instaura tra editore e autori. Dicevamo che inaugurare le pubblicazioni con Memorie di un editore. Kafka, Walser, Trakl e gli altri (pp. 144, brossura con bandelle, ampio formato 165x235, euro 14, traduzione di Manlio Mosella) si presenta quasi come un gesto simbolico e sembra che l'ex Quodlibet Gino Giometti e il suo socio Danni Antonello vogliano ripartire dalla ricostruzione di uno scheletro di un'editoria sempre più spappolata e disorientata affidandosi prima a un nume tutelare. Insomma, l'accento è posto inevitabilmente sull'editore, con tutte le difficoltà che tale accento può comportare se riportato al contesto odierno, dove sembrano mancare tutte ma proprio tutte le prerogative di Wolff e dei suoi autori. Eppure è corretto riportare l'accento sull'editore, visto che all'editore si pensa sempre troppo poco, o perché è diventato azienda tout court e quindi poco interessante oppure perché la sua figura potente, febbrile e fabbrile, si è via via sminuzzata e deresponsabilizzata in tante figure consulenziali (con rare eccezioni). Il rinculo di questo colpo porta la nostra mentalità feticistica (feticistica anche nei confronti dell'editore, va da sé) a deviare e riconoscere quasi tutta l'importanza all'autore. Ma è scontato che sia così? No, non è scontato, e leggere Wolff serve primariamente a rispondere no a una domanda del genere. C'è un dialogo e confronto tra editore e autore che è un grande patrimonio nascosto della storia letteraria. Alla luce di simili ragionamenti, si auspica che avendo pubblicato per primi il "viatico" di Kurt Wolff, Giometti&Antonello non si limiti a ripescare o riscoprire fondamentali opere del passato, magari dimenticate, ma possa col tempo arrivare ad agire sul presente, proprio come faceva Wolff che andava a cercare Trakl dopo aver letto le sue poesie in rivista. Qui solo il tempo - un fattore fondamentale in editoria, e allora la figura dell'antiquario Antonello diventa intrigante - potrà mostrarci cosa uscirà da questa nuova casa editrice in Macerata.

Mi soffermo brevemente sul libro e sull'editore. L'immagine che emerge da questo volume è un editore filtro e segugio, un corteggiatore coraggioso. Innestato sul tronco dell'E
spressionismo cosiddetto mitteleuropeo, Wolff ha operato per oltre un quarto di secolo, tra il 1913 e il 1940. Fu anche editore d'arte in suolo italiano, a Firenze, e nel 1942, transfuga come un'intera classe intellettuale negli USA, fondò la Pantheon Books. Nella sua Germania tornerà solo nel 1960 e purtroppo morirà di lì a poco, nel 1963 a 76 anni. Il libro è appunto un libro di memoria, un fare ordine. Gli autori che queste memorie avvicinano sono allora, fra gli altri, Kafka, Walser, Trakl e il simpaticissimo e imprevedibile Kraus. Questi scritti riguardano la fase di "lancio" e costruzione dalla base del progetto editoriale e pertanto diventano interessanti, proprio perché rivolti a quel momento in cui le cose sono ancora in principio.

Questa inedita alchimia della casa editrice Giometti&Antonello è interessante e ci parla di un "fuoriuscito" dell'agambeniana Quodlibet (Gino Giometti) e del creatore della libreria antiquaria "Scaramouche" (Danni Antonello), due realtà geolocalizzate a Macerata. Intendo dire che è interessante questo incontro, e peculiare, a mio avviso, come già insinuato poco sopra, è l'innesto che arriva dal versante antiquario, se saprà trasformarsi in una visione nuova. Oltre a questo volume fondativo, prima edizione italiana delle memorie di un editore mitico, personaggio tanto citato quanto forse poco letto - e già questo costituisce motivo d'interesse - è già disponibile il libro che il poeta Jacques Prevel ha dedicato ad Antonin Artaud. Aggiungo che assieme al già citato Georg Büchner, per il primo anno Giometti&Antonello accoglierà nel proprio tragitto autori (ma anche curatori o traduttori) quali Drieu La Rochelle, Luciano Bianciardi, James Joyce, Rodolfo Wilcock, Samuel Beckett, Edoardo Camurri, Paolo Nori, Velimir Chlebnikov, Ernst Jünger, Albert Hofmann, Osip Mandel’stam e John Cage. Infine, per leggere l'intervista dedicata alla casa editrice nell'aprile 2014, potreste andare qui.

domenica 5 luglio 2015

Due poesie di Robert Walser nella traduzione di Claudia Ciardi


 
Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.

LUCE OPPRIMENTE


Stanno due alberi nella neve,
stanco della luce, il cielo
se ne va e null'altro intorno
che non sia malinconia

E spuntano dietro gli alberi
scure case.
Ora si sente uno discorrere,
ora i cani si mettono ad abbaiare.

Ora nella casa appare
la cara lampada rotonda come la luna.
Ora è spenta,
come una ferita aperta.

Quanto piccolo il vivere qui
e quanto grande il niente.
Il cielo, stanco della luce,
tutto ha dato alla neve.

I due alberi le teste
chinano fra loro.
Alla quiete del mondo
fanno girotondo le nubi.


ORA


L’ora viene, l’ora va;
tante cose ci sono in un’ora,
i contrasti del sentire,
la nostalgia che come vento del mattino spira.
In un’ora pronuncia il giorno
le sue preghiere o imprecazioni,
e sempre io resto una misera casa
piena di giubilo e dolore.
In un’ora è il mondo intero
così ignaro e senza voglie,
e io, ah, quasi mai so
dove riposa e si nasconde il mio mondo.



 
 
Drückendes Licht 


Zwei Bäume stehen im Schnee,
der Himmel, müde des Lichts,
zieht heim, und sonst ist nichts
als Schwermut in der Näh’.

Und hinter den Bäumen ragen
dunkle Häuser hinauf.
Jetzt hört man etwas sagen,
jetzt bellen Hunde auf.

Nun erscheint der liebe, runde
Lampenmond im Haus.
Nun geht das Licht wieder aus,
als klaffte eine Wunde.

Wie klein ist hier das Leben
und wie groß das Nichts.
Der Himmel, müde des Lichts,
hat alles dem Schnee gegeben.

Die zwei Bäume neigen
ihre Köpfe sich zu.
Wolken durchziehen die Ruh’
der Welt im Reigen. 



Stunde 


Die Stunde kommt, die Stunde geht;
in einer Stunde liegt so viel,
liegt der Gefühle Widerspiel,
liegt Sehnsucht, die wie Frühwind weht.
In einer Stunde spricht der Tag
sein Beten oder Fluchen aus,
und ich bin stets das arme Haus,
gefüllt mit Jubel oder Plag’.
In einer Stunde liegt die Welt
nichtsahnend, nichtsbegehrend so,
und ach, ich weiß nicht immer wo
sie ruht und schlummert, meine Welt.



Una nota di Claudia Ciardi



Robert Walser (Bienne, 15 aprile 1878 – Herisau, 25 dicembre 1956), conosciuto più come prosatore che come poeta, inizia a scrivere versi intorno alla fine dell’Ottocento. Il quotidiano bernese «Der Bund» pubblica sei suoi componimenti nel maggio 1898. La nota di presentazione compilata da Josef V. Widmann riporta che Walser si esprime con una «sicurezza di sonnambulo», cogliendo fin dal suo primo manifestarsi i tratti di una personalità poetica sui generis, sospesa e quasi immobilizzata nel conflitto tra mondo esterno e spazio interiore. Ogni volta che il poeta intraprende una via conciliante tra sé e ciò che lo circonda, qualcosa cede il passo al distacco, a una sorta di rassegnata tensione dove le forze dell’esistenza si esauriscono. La tregua è possibile solo in rari istanti di beatitudine che subito dissolvono.

Anche nella sua quotidianità Walser fu così, figura centrale del panorama letterario d’oltralpe ma uomo defilato, estremamente schivo, tanto da aver vissuto sette anni a Berlino (1905-1913), la nascente metropoli, «la vorticante fabbrica del mondo», per dirla con Else Lasker-Schüler, senza clamore. L’epigrafe schüleriana non a caso viene qui portata all’attenzione del lettore. Sul numero 31 della rivista «Incroci» diretta da Lino Angiuli e pubblicata da Adda Editore, è appena uscito un mio contributo nel quale presento un brano della grande letterata tedesca. La prosa, inedita in Italia, fa parte dalla raccolta Concerto, di cui mi sono precedentemente occupata per Via del Vento, e si presta a una serie di considerazioni sull’immaginario della Kindheit, esplorato dai nomi di maggior rilievo della cultura tedesca di inizio Novecento. Gli accenti dello sradicamento schüleriano, che nutre un raffinato gioco di mimiche orientali doppiato nel ricordo della casa-rifugio a Wuppertal, mi hanno svelato più di un’affinità proprio con Robert Walser, magnifico esemplare di eremita delle lettere tedesche. 

Maestro di levitas, ossia narratore lieve di cose lievi, secondo la duplice accezione latina che si riferisce a quel che è levigato e leggero. Nella scelta dei suoi temi sembra un miniaturista orientale: una nevicata notturna, la pioggia, la luce in una sera d’inverno. All’inizio del 1909 l’editore berlinese Bruno Cassirer gli pubblicò una raccolta di quaranta poesie, la maggioranza composte circa un decennio prima, quando era ancora un giovane impiegato di commercio a Zurigo. Da qui provengono le due liriche selezionate per questa rubrica, offerte al lettore in nuova traduzione italiana.