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giovedì 31 dicembre 2015

"Globus. Per una teoria storico-universale dello spazio" di Franz Rosenzweig

Leggere una grande guerra #19

"Leggere una grande guerra" intende essere il breve spazio in cui segnalo dei libri sulla Prima guerra mondiale. Il quinquennio 2014-18 coincide con un lungo periodo di celebrazioni, commemorazioni ed eventi a livello internazionale. Segnalare semplicemente dei titoli di libri, brevi o meno brevi, passati o attuali, reperibili o non reperibili, italiani o stranieri, può essere un buon antidoto contro le fanfare e i tromboni che stanno pericolosamente giungendo un po' da ogni parte. Le segnalazioni saranno sintetiche, poco più di una scheda bibliografica. (In coordinamento con World War I Bridges).


Globus. Per una teoria storico-universale dello spazio di Franz Rosenzweig non è una novità editoriale, ma nessuno si formalizzerà per questo, visto che non ho mai impostato questo blog sulle novità editoriali soltanto. Uscì, non senza qualche refuso di troppo, nel 2007 per Marietti 1820 (pp. 176, traduzione di Stefania Carretti, a cura di Francesco Paolo Ciglia). Globus non è nemmeno un libro interamente dedicato alla Prima guerra mondiale, tuttavia il sottufficiale dell'esercito tedesco Franz Rosenzweig, impegnato sul fronte macedone ("Mazedonikus" era il suo nomignolo nella corrispondenza), attinse da quell'esperienza e da quei giorni per stendere queste note di storia geografica, geografia storica, storia universale dell'umanità, meditazione filosofica sulla storia e sulla spazialità geografica. Per un attimo ho pensato di usare la parola "geopolitica" nella precedente sequenza di etichette che tenta di definire per approssimazione l'opera, ma la geopolitica universale dell'autore de La stella della redenzione non va fraintesa con l'accezione e soprattutto con l'uso odierno del termine "geopolitica", perché rischierei di non restituire per intero gli immaginari plurimi e ondeggianti evocati dal pensatore e accolti nella sua prosa, i quali non sono soltanto legati al potere e al dominio di determinate aree geografiche nel corso dei vari secoli, alla loro separazione e differenziazione secondo confini, ma sono ancorati in ultima analisi pure a un pensiero di riunificazione escatologica. Il ragionamento larghissimo di Rosenzweig arriva a lambire la guerra in corso in quei mesi. Dalla corrispondenza riportata alla fine del volume ricaviamo che quasi tutto l'anno 1917 lo vede coinvolto a scrivere e riscrivere Globus, a ipotizzarne vari titoli, a mandare lettere a genitori ed amici e a cercare un editore. Il libro così prende avvio: "Il primo uomo che delimitò per sé e per i suoi un pezzo del suolo terrestre per farne una proprietà inaugurò la storia mondiale". I capitoli sono due: il primo si intitola proprio Ecumene, il secondo Thalatta. E sono proprio i bracci di terra e di mare a formare questo grande originalissimo abbraccio della storia mondiale, che si sofferma in particolar modo su Alessandro Magno, su Cesare e la fondamentale conquista della Gallia, sul papato, su Carlo V e sui grandi esploratori (Colombo, De Gama, Magellano e Cook). La prosa di Rosenzweig è sorprendente anche laddove mette a contrasto l'immaginario omerico del globo terracqueo con quello biblico (terra e mare occupano posizioni e valori opposti in questi due immaginari fondanti). E in tutta questa peculiare lettura delle vicende storiche e del continuo riformarsi e rimarginarsi di confini e flussi attraverso assi soprattutto longitudinali - la terra in fondo è più cilindrica che sferica, secondo il pensiero che emerge - arriviamo al punto che la Grande guerra in corso può essere meglio compresa come un conflitto per il dominio del continente africano. Avete letto bene: Rosenzweig collega la Grande guerra al problema della grande placca africana. Chi l'avrebbe mai detto? Noi leggiamo quel conflitto come guerra primariamente europea, che nel suo progressivo allargarsi tiene a battesimo l'ingresso e l'affacciarsi sulla scena mondiale della potenza americana. Eppure, da un punto di vista geografico e geopolitico (sì, diremmo proprio "geopolitico" oggi), l'ipotesi di Rosenzweig non è priva di molteplici ed echeggianti suggestioni. E soprattutto questa centralità africana oggi ci porta a nuove formulazioni e pensieri. Da ultimo si deve quantomeno accennare al fatto che l'attenzione di Rosenzweig per spazi terrestri e marittimi rimanda, quasi per calco, all'apparizione nella storia universale dell'uomo di un nuovo spazio che durante la Grande guerra si iniziò ad esplorare, diciamo pure in modo maldestro e non ancora evoluto. Mi riferisco naturalmente a quello spazio aereo (poi diventato più semplicemente spazio nelle missioni spaziali della Guerra fredda), che dai palloni dei fratelli Montgolfier ci porta diritti dentro le guerre di oggi, comprese quelle a distanza e televisive, di cui sappiamo o crediamo di sapere.


(Buon 2016 a tutti)

sabato 26 settembre 2015

"Zangwill" di Charles Péguy

Péguy morì in battaglia nel 1914 a Villeroy, durante le prime mosse sul fiume Ourcq, preludio della Prima battaglia della Marna. Aveva 41 anni e sino ad allora aveva scritto poesie e contributi giornalistici e critici. Fu il quasi solitario animatore di una rivista chiamata "Cahiers de la Quinzaine", che cessò di esistere col sopraggiungere della sua morte. (In questo assumere una rivista come punto privilegiato per la propria scrittura Péguy assomiglia molto al filosofo spagnolo Ortega y Gasset e mi auguro che avremo modo di tornare su Ortega a breve). Charles Péguy è un autore importante per ritornare su quel periodo che va dall'Affaire Dreyfus allo scoppio della guerra. Fu normalien e allievo di quel Bergson che a fatica si affronta, nella gittata del suo pensiero e della sua azione (pensiamo anche solo al nostro Ungaretti, e sono cose risapute); i suoi scritti riaffiorano da più parti se torniamo alle tensioni intellettuali che contraddistinsero quel periodo. Péguy fu insomma un uomo che in quegli anni determinanti seppe tenere vicino a sé, fra gli altri, Romain Rolland e Julien Benda e che nella sua "conversione" abbagliante e forse abbagliata può ancora offrire degli appoggi utili a chi si preoccupa di come raccontare la storia. 

Zangwill, proposto da Marietti 1820 per la cura di Giorgio Bruno (pp. 100, euro 14), s'intitola così perché è la prefazione a un racconto di Israel Zangwill intitolato Chad Gadya! Zangwill era un autore inglese di origini ebraiche ospitato proprio dai sopra ricordati "Cahiers de la Quinzaine". Ed è bene ricordare questo dato, anche se oggi non leggiamo questo testo come una prefazione ma come libro indipendente, perché tutti i testi sono sempre legati e si muovono assieme, come onde, per quanto poi prendano le strade di tanti "pacchetti" che sono i libri scritti. Oggi diremmo che il cattolicissimo Péguy in queste pagine del 1904 prende di mira le posizioni positiviste di Taine e Renan, due assi portanti del telaio culturale francese, tanto che c'è chi, con un neologismo, ha pensato di parlare di una tendenza costante al renanotainisme della storia letteraria francese in particolar modo. Al di là della ricerca di un principio trascendente che sia in grado di offrire senso alle vicende del mondo (in questo vicino a Manzoni), quello che interessa in Péguy (parlo per me, naturalmente), una volta sfrondati gli eccessi di un estremismo religioso, è quel disagio nei confronti della scrittura e sistematizzazione della storia. Nella sua prosa turgida e a tratti un po' frondosa, tutto questo si può ancora ravvisare e mantiene una sorta di chimica fertile. E anche in questo Péguy sta in compagnia di don Lisander, pur partendo e arrivando a posizioni diverse. Insomma Péguy oggi ritorna in discussione ogni volta che ci poniamo il problema del racconto della storia (pur sempre di racconto si tratta), di quel che accade come di quello che non accade, di quello che si ricorda così come di quello che si dimentica: quel racconto è in fondo la sola cosa che conta, è in grado di sconvolgere e avvelenare (ben più che purificare) animo e popoli, muovere e far girare quella che per Javier Marías resta la "pigra e debole ruota del mondo".