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venerdì 1 settembre 2017

"Vocativo. Andrea Zanzotto sul margine". Un'intervista a Silvia Sferruzza

Librobreve intervista #81


L'editore Pacini ha pubblicato di recente uno studio di Silvia Sferruzza intitolato Vocativo. Andrea Zanzotto sul margine. Introduzione e commento alle poesie (pp. 208, euro 18). Il libro aggiunge un elemento importante alla bibliografia zanzottiana. Vocativo, l'opera di Zanzotto presa in esame da Silvia Sferruzza, uscì esattamente sessant'anni fa nella collana "Lo Specchio" di Mondadori, terzo libro di poesia dopo Dietro il paesaggio (Mondadori, 1951) e Elegia e altri versi (Edizioni della Meridiana, 1954). Propongo di seguito un'intervista con l'autrice del saggio.


LB: Vocativo di Andrea Zanzotto esce esattamente sessant'anni fa, nel 1957. Vorrei iniziare ripercorrendo l'immediata ricezione critica dell'opera. Pertanto ti chiedo quale fu e quali recensioni e interventi vorresti ricordare oggi come i più significativi, a distanza di tutto questo tempo.
R: Dominante è il filone che ha voluto vedere in Andrea Zanzotto un ermetico: se tale etichetta può avere qualche efficacia per la prima delle sue raccolte, Dietro il paesaggio (Mondadori 1951), peraltro in un’ottica sempre propedeutica rispetto agli sviluppi successivi, la sua estensione a Vocativo risulta un’inerzia critica che compromette la reale comprensione dell’opera. Tra le significative eccezioni, mi piace ricordare la precoce intuizione di Giorgio Caproni, che subito dopo la sua pubblicazione, nel novembre 1957, definisce Vocativo «uno dei libri più belli del dopoguerra, riconoscibilmente nuovo».

LB: Pure la titolazione dell'opera ha avuto una certa fortuna e eco. Pensiamo ad esempio a Ablativo di Enrico Testa (Einaudi) o al più recente Ottativo di Daniele Poletti (Prufrock spa). Qual è la tua lettura di questo titolo?
R: Prima c’era stato anche il Vocativo per un’elegia di Libero De Libero. Zanzotto fa riferimento alla grammatica come modello di relazione: il caso vocativo non ha desinenze proprie, non costruisce rapporti sintattici. È il linguaggio a un livello minimo. Il problema che questa raccolta si pone con urgenza è quello del dialogo: le invocazioni sospese che costellano le varie poesie lo ricercano ardentemente, corteggiano l’interlocutore chiamato in causa, ma una risposta non arriva mai.
La poesia Caso vocativo esplicita il riferimento alla categoria grammaticale del caso, affiancandola, in una delle tante associazioni etimologiche di Zanzotto, all’accezione di caso come accidente fortuito, congiuntura occasionale. I due significati si intrecciano: l’invocazione disperata, smaniosa e autoreferenziale («O miei mozzi trastulli / pensieri in cui mi credo e vedo, / ingordo vocativo / decerebrato anelito») apre la possibilità di sciogliere i nodi della comunicazione («la mia / lingua disperando si districa»): rivolgendosi alla lingua stessa, paradossalmente il poeta ritrova la capacità di parlare. Oltre a una funzione logica, dunque, il vocativo assume una funzione gnoseologica, esistenziale, epifanica.
Credo inoltre che in una poesia così ricca di legami fonici come quella zanzottiana, abbia un valore centrale anche la voce: il vocativo è una richiesta che avviene attraverso l’oralità, con il suo esitare, il suo rompersi, la sua carica di emozioni, la sua irrazionalità traboccante oltre il controllo esercitato dalla scrittura.


LB: Ti soffermi sulle due edizioni della raccolta. Quali sono le principali note da evidenziare per distinguere l'edizione del 1957 da quella successiva del 1981?
R: Nella seconda edizione Zanzotto aggiunge un’Appendice di sei testi inediti, composti nello stesso periodo del nucleo originario. Inserendosi nel delicato equilibrio tra le due sezioni preesistenti (Come una bucolica e Prima persona), si tratta di poesie che ne riprendono la dialettica interna, come in un compendio finale, declinando ancora i temi dell’inattingibilità del paesaggio, della ricerca dell’altro, dell’impossibilità della parola.
Inoltre la volontà da parte dell’autore di ritornare sul discorso di Vocativo, ampliandolo dopo più di vent’anni, conferma la rilevanza di tale discorso all’interno del suo percorso poetico complessivo.


Georges Bataille
LB: Un paragrafo particolarmente interessante dell'introduzione titola La costellazione Michaux-Leiris-Bataille (e Lacan). Potresti illustrarlo brevemente qui?
R: Gli autori citati sono legati tra loro da una serie di corrispondenze tematiche e biografiche; testimoniano, seppure certamente in modo diverso, quanto sia cruciale per la cultura francese tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Novecento la questione della contrapposizione tra l’io e l’altro – dove per “altro” si considera di volta in volta il mondo, la realtà, l’inconscio. Al centro di questo nucleo problematico, di questa “costellazione” di pensiero, ci sono le riflessioni di Jacques Lacan sull’inconscio “strutturato come un linguaggio”, sul soggetto diviso e sull’essere come manque à être.
Se i legami tra la poetica zanzottiana e la filosofia lacaniana sono stati ampiamente studiati dalla critica, meno documentate sono le risonanze con le opere di Henri Michaux, Michel Leiris e Georges Bataille, su cui è interessante invece soffermarsi dato che Andrea Zanzotto le legge attentamente – proprio nell’epoca di gestazione di Vocativo – e le traduce, facendosi dunque portavoce della loro diffusione in Italia.
Trovo tale punto di vista importante, oltre che per l’interpretazione dei componimenti, anche per smentire l’immagine spesso invalsa di uno Zanzotto isolato nella sua Pieve di Soligo, quando invece il suo percorso poetico ha forti caratteri di apertura agli stimoli internazionali, che anzi rielabora, mette in discussione e risolve in modo del tutto originale.

LB: Procedi per commenti ai singoli testi e poi per una critica all'opera generale. Cosa consente a Vocativo di essere "libro" e non, semplicemente, una "raccolta" di testi? Cosa consente, detto diversamente, l'organicità e la tenuta dell'opera?
R: La poesia di Zanzotto è un ecosistema i cui diversi elementi sono legati da un delicato equilibrio. Questo vale sia per i rapporti tra i diversi libri sia per i rapporti tra le poesie di ogni libro: Vocativo, nello specifico, registra come un sismogramma le oscillazioni tra esaltazione e depressione, tra contatto e perdita, tra dialogo e disperata preghiera; le une implicano sempre le altre.
Ecco perché ho cercato di valorizzare le corrispondenze intratestuali, lo sviluppo del ragionamento, il discorso di fondo organico e coerente – anche se non privo di intenzionali contraddizioni – che tiene insieme i vari componimenti proprio come organismi viventi.

LB: Hai in programma altri studi su Zanzotto?
R: Mi sono concentrata sul rapporto tra Zanzotto e la costellazione francese individuata – Michaux, Leiris, Bataille – attraverso alcuni approfondimenti che mi piacerebbe pubblicare.
Sarebbe interessante anche studiare lo Zanzotto critico, capace a mio parere di intuizioni di estrema acutezza.

LB: Per chiudere ti chiedo la poesia di Vocativo che potrebbe stare bene come congedo da questa intervista. 
R: Amo molto Idea, che apre la seconda sezione della raccolta (Prima persona). Il soggetto riflette sull’autoreferenzialità della propria mente: il mondo è una sua idea, il pensiero e il linguaggio occultano la realtà oggettiva, la ricchezza del paesaggio è ormai perduta, tuttavia la poesia persiste, si ostina a non tacere, è una “disavventura” che torna sempre a riaccendersi.



Idea

E tutte le cose a me intorno
colgo precorse nell'esistere.
Tiepido verde il nitore dei giorni
occulta, molle li irrora,
d'insetti e uccelli s'agita e scintilla.
Tutto è pieno e sconvolto,
tutto, oscuro, trionfa e si prostra.
Anche per te, mio linguaggio, favilla
e traversia, per sconsolato sonno
per errori e deliqui
per pigrizie profonde inaccessibili,
che ti formasti corrotto e assoluto.
Anche tu mio brevissimo nitore
di cellule mentali, tronco alone
di gridi e di pensieri
imprevisti ed eterni.
Ed esanime il palpito dei frutti
e delle selve e della seta e dei
rivelati capelli di Diana,
del suo felice dolcissimo sesso,
e, agra e vivida, l'arsura
che all'unghie s'intromette ed alle biade
pronte a ferire,
e il mai tacente il mai convinto cuore,
tutto è ricco e perduto
morto e insorgente
tuttavia nella luce
nella mia vana chiarità d'idea.

sabato 20 settembre 2014

Tradurre in italiano Yves Bonnefoy a altri francesi. Intervista a Fabio Scotto

Librobreve intervista #47

Fabio Scotto
Ariosto e Shakespeare. Li avevate mai accostati? Sia che la risposta sia affermativa, sia che sia negativa potete ora contare su un recente libro del poeta francese Yves Bonnefoy proposto da Sellerio e curato dal professor Fabio Scotto. Si intitola Orlando furioso guarito. Dall'Ariosto a Shakespeare (pp. 112, euro 14). Di questo libro e di molto altro abbiamo parlato con il curatore nell'intervista che segue. Ricordo che Fabio Scotto è il principale traduttore del corpus poetico di Yves Bonnefoy. Per una lista completa delle sue principali pubblicazioni rinvio a questa pagina dell'Università di Bergamo dove insegna letteratura francese.

LB: Sellerio ha da poco mandato in libreria Orlando furioso guarito. Dall'Ariosto a Shakespeare. Ci racconta brevemente quest'ultimo libro di Bonnefoy uscito in Italia?
R:In questo saggio a mia cura Yves Bonnefoy affronta attraverso Ariosto e Shakespeare il problema dell’idealizzazione amorosa, intesa come quel processo di natura concettuale che sostituisce all’altro un’idea nella quale l’amato o l’amata non si riconosce, cosicché l’amore è reso impossibile dall’astrazione che impedisce di individuare realmente l’essere nel mondo in quanto «presenza». Nell’Orlando furioso, il protagonista Orlando insegue ovunque la bella Angelica e, non appena la scorge con Medoro, è preda del furore, quando invece la figlia dell’imperatore cinese nell’idillio con il moro rivela la possibilità reale di un amore passionale fondato sulla compassione e sull’agape, ovvero la capacità di darsi generosamente all’altro senza nulla chiedere in cambio che Bonnefoy è solito contrapporre alla pulsionalità possessiva e reificante dell’eros. L’ipotesi di fondo è che Shakespeare abbia, dopo avere letto la versione inglese del poema ariostesco, preso spunto da esso per il personaggio omonimo di Come vi piace, che una figura femminile, travestita da uomo, può quindi indurre a una riflessione sul proprio sentimento al fine di guarirlo dall’idealizzazione della quale sarebbe vittima. È così che anche in Macbeth il protagonista, vittima a sua volta di un senso di esclusione dalla «catena dell’essere», è votato a un destino tragico profetizzato da presenze fantasmatiche che nessuno bramosia di potere può riscattare.

Yves Bonnefoy
LB: La poesia di Bonnefoy in italiano passa quasi sempre per le sue traduzioni (ricordiamo, oltre ai volumi usciti per Lo Specchio, anche la curatela del Meridiano). Poniamo di avere davanti un lettore di poesia digiuno di Bonnefoy. Per quali motivi ne consiglierebbe la lettura? E da quali opere consiglierebbe di partire?
R:Ho ormai dal 1999 un intenso sodalizio con Bonnefoy che è innanzitutto frutto di amicizia e reciproca stima umana e intellettuale basata su una autentica condivisione di valori e sull’amore per la poesia come ragione di vita. Consiglierei a un lettore di leggere Bonnefoy proprio perché è un poeta che da sempre colloca la poesia nell’àmbito dell’esistenza, del quotidiano, per cercarvi le ragioni fondamentali dell’essere al mondo e di una felicità possibile, la gioia, che è sempre frutto di relazione e di condivisione, nel tempo della finitudine che ci è dato. Partirei da Movimento e immobilità di Douve (Einaudi, 1969), libro a suo modo fondativo di una poetica, certo uno dei più alti del secolo, per poi passare, attraverso Nell’inganno della soglia (Einaudi, 1990), libro poematico della rinascita attraverso l’amore e l’infanzia, alle raccolte più recenti, da Le assi curve a L’ora presente (Mondadori, 2007, 2013), tranne l’ultimo tutti disponibili nel Meridiano a mia cura L’opera poetica (Mondadori, 2010). Ma riterrei necessario leggere anche le prose de L’entroterra (Donzelli, 2004), così incentrate sul rapporto con l’Italia, e le sue interviste sulla poesia, non ancora tradotte integralmente in italiano, Entretienssur la poésie (1972-1990) (Mercure de France 1990), e L’Inachevable. Entretienssur la poésie 1990-2010 (Albin Michel, Le Livre de poche,2010), che danno la misura di una profondità di rapporto fra pensiero e prassi poetica che mi pare oggettivamente non abbia eguali nell’odierno panorama poetico.

LB: Poesia in Francia e poesia in un paese vicino come l'Italia: da quello che ha potuto conoscere e percepire lei, se la "passano" all'incirca allo stesso modo?
R:La poesia vive un momento difficile in entrambi i Paesi, mi pare, almeno per visibilità pubblica e consenso sociale e di critica, ma questo non fa che renderla più che mai necessaria - parlo anche da autore di poesia nelle due lingue -, proprio perché l’isolamento di cui vive denuncia e rende palese la sua irriducibilità alle logiche commerciali e “spettacolari” oggi tanto in voga nel mondo dei media.
Direi che in Francia la poesia ha spazi di sopravvivenza forse maggiori, dovuti all’esistenza di un’edizione assistita finanziata dallo stato qui da noi inesistente, benché anch’essa sempre più ridotta e minacciata dalla crisi economica internazionale.

LB: Nel 2011 curò quel bel volume intitolato Nuovi poeti francesi per Einaudi. Ricordo di avervi trovato autori che mi fecero una forte impressione. La poesia francese contemporanea tuttavia non mi pare conosca una buona stagione di traduzioni in italiano. Concorda? E se sì, potrebbe indicare tre nomi (meglio ancora tre titoli di libri) dai quali iniziare?
R:Probabilmente vale per la poesia francese un po’ quanto vale anche, salvo rare eccezioni, per il romanzo francese contemporaneo: l’editoria italiana, dopo la stagione del Nouveau Roman che ha privato il romanzo dei suoi requisiti ritenuti fondamentali dal mondo commerciale come la trama, il personaggio, una contestualizzazione spazio-temporale riconoscibile, guarda con diffidenza alla letteratura d’oltralpe, ritenuta difficile, poco vendibile. Per questo poeti anche molto noti e influenti in Francia come Michel Deguy o Jacques Roubaud, per fare qualche nome senza pretese di esaustività, sono ancora poco tradotti, mentre maggiormente lo sono autori come Yves Bonnefoy, Philippe Jaccottet e Bernard Noël. Quanto alle nuove generazioni, c’è in atto un lavoro apprezzabile presso piccole case editrici però poco visibili e su taluni blogs, il che ha reso tanto più opportuno e necessario, credo, il volume a mia cura Nuovi poeti francesi, che cerca di dare qualche linea di lettura critica e di fare proposte sulla ricerca in corso, certo variegata e complessa, non più facilmente etichettabile a priori.
Nel catalogo italiano, consiglierei senz’altro, oltre a Bonnefoy, Estratti del corpo (Mondadori) e La Caduta dei tempi (Guanda, 1997) di Bernard Noël, Il barbagianni. L’ignorante (Einaudi, 1992) di Philippe Jaccottet, e Guy Goffette e Jean-Baptiste Para, credo usciti da Kolibris, naturalmente senza dimenticare Henri Michaux e Antonin Artaud, ancora così attuali e presenti da Quodlibet (Viaggio in Gran Garabagna, 2010) e Adelphi (Passaggi, 2012) l’uno, ed Einaudi e Stampa Alternativa l’altro. Dò inoltre un panorama ampio e credo rappresentativo del Novecento francese fino ai nostri giorni nel mio recente saggio La voce spezzata. Il frammento poetico nella modernità francese (Donzelli, 2012).

LB: Ha avuto modo di effettuare dei raffronti tra la recente poesia francese e quella italiana contemporanea? Se sì, quali le sembrano le direttive di sviluppo più marcatamente differenti o i punti di contatto più sorprendenti?
R: Sul piano della qualità della ricerca, esistono talune analogie e qualche differenza, ad esempio più presente da noi mi pare una poesia della dicibilità e del rapporto con la musicalità della lingua, con esiti significativi anche nell’àmbito dialettale, mentre in Francia è ancora molto avvertibile in vari settori una poesia fortemente concettualizzata, di pensiero, filosofica e incentrata sul lavoro del significante, ma formalmente più libera di spaziare dal verso alla prosa poetica, che da noi è troppo spesso guardata con diffidenza, credo a torto. È il “magma” cui alludeva Mario Luzi (non a caso estimatore di Michaux e amico di Bonnefoy), che accomuna la condizione attuale dell’uomo nel nostro tempo e la sua poesia.