Librobreve intervista #47
Fabio Scotto |
Ariosto e Shakespeare. Li avevate mai accostati? Sia che la risposta sia affermativa, sia che sia negativa potete ora contare su un recente libro del poeta francese Yves Bonnefoy proposto da Sellerio e curato dal professor Fabio Scotto. Si intitola Orlando furioso guarito. Dall'Ariosto a Shakespeare (pp. 112, euro 14). Di questo libro e di molto altro abbiamo parlato con il curatore nell'intervista che segue. Ricordo che Fabio Scotto è il principale traduttore del corpus poetico di Yves Bonnefoy. Per una lista completa delle sue principali pubblicazioni rinvio a questa pagina dell'Università di Bergamo dove insegna letteratura francese.
LB: Sellerio ha da poco mandato in libreria Orlando furioso guarito. Dall'Ariosto a Shakespeare. Ci
racconta brevemente quest'ultimo libro di Bonnefoy uscito in Italia?
R:In questo saggio a
mia cura Yves Bonnefoy affronta attraverso Ariosto e Shakespeare il problema
dell’idealizzazione amorosa, intesa come quel processo di natura concettuale
che sostituisce all’altro un’idea nella quale l’amato o l’amata non si
riconosce, cosicché l’amore è reso impossibile dall’astrazione che impedisce di
individuare realmente l’essere nel mondo in quanto «presenza». Nell’Orlando furioso, il protagonista Orlando
insegue ovunque la bella Angelica e, non appena la scorge con Medoro, è preda
del furore, quando invece la figlia dell’imperatore cinese nell’idillio con il
moro rivela la possibilità reale di un amore passionale fondato sulla
compassione e sull’agape, ovvero la
capacità di darsi generosamente all’altro senza nulla chiedere in cambio che
Bonnefoy è solito contrapporre alla pulsionalità possessiva e reificante dell’eros. L’ipotesi di fondo è che Shakespeare abbia, dopo avere letto
la versione inglese del poema ariostesco, preso spunto da esso per il
personaggio omonimo di Come vi piace,
che una figura femminile, travestita da uomo, può quindi indurre a una
riflessione sul proprio sentimento al fine di guarirlo dall’idealizzazione della quale sarebbe vittima. È così
che anche in Macbeth il protagonista,
vittima a sua volta di un senso di esclusione dalla «catena dell’essere», è
votato a un destino tragico profetizzato da presenze fantasmatiche che nessuno
bramosia di potere può riscattare.
Yves Bonnefoy |
LB: La poesia di Bonnefoy in italiano passa quasi sempre per le sue traduzioni
(ricordiamo, oltre ai volumi usciti per Lo Specchio, anche la curatela del
Meridiano). Poniamo di avere davanti un lettore di poesia digiuno di Bonnefoy.
Per quali motivi ne consiglierebbe la lettura? E da quali opere consiglierebbe
di partire?
R:Ho ormai dal 1999 un intenso sodalizio con Bonnefoy che è innanzitutto frutto
di amicizia e reciproca stima umana e intellettuale basata su una autentica
condivisione di valori e sull’amore per la poesia come ragione di vita.
Consiglierei a un lettore di leggere Bonnefoy proprio perché è un poeta che da
sempre colloca la poesia nell’àmbito dell’esistenza, del quotidiano, per
cercarvi le ragioni fondamentali dell’essere al mondo e di una felicità
possibile, la gioia, che è sempre frutto di relazione e di condivisione, nel
tempo della finitudine che ci è dato. Partirei da Movimento e immobilità di Douve (Einaudi, 1969), libro a suo modo
fondativo di una poetica, certo uno dei più alti del secolo, per poi passare,
attraverso Nell’inganno della soglia (Einaudi,
1990), libro poematico della rinascita attraverso l’amore e l’infanzia, alle
raccolte più recenti, da Le assi curve a
L’ora presente (Mondadori, 2007, 2013), tranne l’ultimo tutti disponibili
nel Meridiano a mia cura L’opera poetica
(Mondadori, 2010). Ma riterrei necessario leggere anche le prose de L’entroterra (Donzelli, 2004), così
incentrate sul rapporto con l’Italia, e le sue interviste sulla poesia, non
ancora tradotte integralmente in italiano, Entretienssur
la poésie (1972-1990) (Mercure de France 1990), e L’Inachevable. Entretienssur
la poésie 1990-2010 (Albin Michel, Le Livre de poche,2010), che danno la
misura di una profondità di rapporto fra pensiero e prassi poetica che mi pare
oggettivamente non abbia eguali nell’odierno panorama poetico.
LB: Poesia in Francia e poesia in un paese vicino come l'Italia: da quello che
ha potuto conoscere e percepire lei, se la "passano" all'incirca allo
stesso modo?
R:La poesia vive un momento difficile in entrambi i Paesi, mi pare, almeno
per visibilità pubblica e consenso sociale e di critica, ma questo non fa che
renderla più che mai necessaria - parlo anche da autore di poesia nelle due
lingue -, proprio perché l’isolamento di cui vive denuncia e rende palese la
sua irriducibilità alle logiche commerciali e “spettacolari” oggi tanto in voga
nel mondo dei media.
Direi che in Francia
la poesia ha spazi di sopravvivenza forse maggiori, dovuti all’esistenza di
un’edizione assistita finanziata dallo stato qui da noi inesistente, benché
anch’essa sempre più ridotta e minacciata dalla crisi economica internazionale.
LB: Nel 2011 curò quel bel volume intitolato Nuovi poeti francesi per Einaudi.
Ricordo di avervi trovato autori che mi fecero una forte impressione. La poesia
francese contemporanea tuttavia non mi pare conosca una buona stagione di
traduzioni in italiano. Concorda? E se sì, potrebbe indicare tre nomi (meglio
ancora tre titoli di libri) dai quali iniziare?
R:Probabilmente vale per la poesia francese un po’ quanto vale anche, salvo
rare eccezioni, per il romanzo francese contemporaneo: l’editoria italiana,
dopo la stagione del Nouveau Roman che ha privato il romanzo dei suoi requisiti
ritenuti fondamentali dal mondo commerciale come la trama, il personaggio, una
contestualizzazione spazio-temporale riconoscibile, guarda con diffidenza alla
letteratura d’oltralpe, ritenuta difficile, poco vendibile. Per questo poeti
anche molto noti e influenti in Francia come Michel Deguy o Jacques Roubaud,
per fare qualche nome senza pretese di esaustività, sono ancora poco tradotti,
mentre maggiormente lo sono autori come Yves Bonnefoy, Philippe Jaccottet e
Bernard Noël. Quanto alle nuove generazioni, c’è in atto un lavoro apprezzabile
presso piccole case editrici però poco visibili e su taluni blogs, il che ha
reso tanto più opportuno e necessario, credo, il volume a mia cura Nuovi poeti francesi, che cerca di dare
qualche linea di lettura critica e di fare proposte sulla ricerca in corso, certo
variegata e complessa, non più facilmente etichettabile a priori.
Nel catalogo
italiano, consiglierei senz’altro, oltre a Bonnefoy, Estratti del corpo (Mondadori) e La
Caduta dei tempi (Guanda, 1997) di Bernard Noël, Il barbagianni. L’ignorante (Einaudi, 1992) di Philippe Jaccottet, e
Guy Goffette e Jean-Baptiste Para, credo usciti da Kolibris, naturalmente senza
dimenticare Henri Michaux e Antonin Artaud, ancora così attuali e presenti da Quodlibet
(Viaggio in Gran Garabagna, 2010) e Adelphi
(Passaggi, 2012) l’uno, ed Einaudi e
Stampa Alternativa l’altro. Dò inoltre un panorama ampio e credo
rappresentativo del Novecento francese fino ai nostri giorni nel mio recente saggio
La voce spezzata. Il frammento poetico
nella modernità francese (Donzelli, 2012).
LB: Ha avuto modo di effettuare dei raffronti tra la recente poesia francese
e quella italiana contemporanea? Se sì, quali le sembrano le direttive di
sviluppo più marcatamente differenti o i punti di contatto più sorprendenti?
R: Sul piano della qualità della ricerca, esistono talune analogie e qualche
differenza, ad esempio più presente da noi mi pare una poesia della dicibilità
e del rapporto con la musicalità della lingua, con esiti significativi anche
nell’àmbito dialettale, mentre in Francia è ancora molto avvertibile in vari
settori una poesia fortemente concettualizzata, di pensiero, filosofica e
incentrata sul lavoro del significante, ma formalmente più libera di spaziare
dal verso alla prosa poetica, che da noi è troppo spesso guardata con
diffidenza, credo a torto. È il “magma” cui alludeva Mario Luzi (non a caso
estimatore di Michaux e amico di Bonnefoy), che accomuna
la condizione attuale dell’uomo nel nostro tempo e la sua poesia.
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