Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #26
Le prime pagine di Dialogo con la morte di Arthur Koestler (il Mulino, pp. 248, euro 15,49, nella traduzione di Camillo Pellizzi, ancora disponibile) narrano dell'arrivo in Spagna, a Barcellona, e dello spostamento verso Malaga. Siamo all'inizio del 1937. Circa un anno prima, a febbraio, c'era stata la vittoria del Frente Popular e in estate era iniziata quella lunga, sterminata guerra civile che, una volta conclusa, lasciò posto a una della dittature più lunghe del Novecento. Proprio questa detta durata ha impedito per decenni un'efficace lettura e studio di quel conflitto. Nelle prime pagine le città appaiono già stremate e Koestler non tarda a individuare i punti deboli dei miliziani, il loro scoordinamento, finanche l'ingenuità tattica in alcuni avamposti sul terreno. Il testo fu originariamente pubblicato nel 1937 come seconda parte dello Spanish Testament e s'assomma alle grandi testimonianze su quella guerra che fu davvero fratricida, con divisioni tragiche anche tra persone vicinissime (paradigmatico, anche se mitigato, fu il caso dei fratelli Machado, con Manuel a sostegno degli insorti e Antonio dalla parte dei repubblicani). Il portare a casa la pelle in Spagna fu spesso imputabile a fatti del tutto casuali e fortuiti e Koestler non è da meno. Avanzando nella lettura notiamo che le pagine cambiano presto di segno per diventare un libro intimo, ripensamento di un'esperienza carceraria ancor vivida nella memoria. Ed è un libro che va a far coppia con un altro suo, sempre incentrato su una esperienza di prigionia, in Francia, quello Scum of the Earth che fu un'altra grande testimonianza sul biennio 1939-40, tra il campo di prigionia del Vernet e il vagabondaggio nella Francia della disfatta. (Un inciso di natura linguistica che è bene fare parlando di questo libro: Koestler, in linea generale, scrive spesso in tedesco prima del 1940 e in inglese dopo quell'anno, tuttavia questo Dialogo fa eccezione ed è stato scritto in inglese per depistare la censura tedesca.)
Sono le pagine di una persona imprigionata che non sa se sarà giustiziata e che inizia a percepire, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, attraverso spostamenti tra più carceri, la singolare situazione di prigioniero risparmiato dagli ingranaggi di una macchina di morte che appare potentissima e allucinante. E qui si apra ora una corta parentesi: della Spagna, neutrale in entrambe le guerre mondiali, si è spesso detto che fu il "banco di prova" o "preludio" della Seconda guerra mondiale. In effetti fu così, e basti pensare alla presenza in Spagna di tutte le altre potenze europee che pure erano occupate in giochi politico-diplomatici ancora aperti, all'operato di Italia e Germania che contribuirono più di altre nazioni all'internazionalizzazione di quella guerra, a quel che fecero gli artisti (pensiamo solo ai poeti, ad esempio, da García Lorca a Neruda, o all'Auden di Spain) e soprattutto agli attivissimi intellettuali, i quali tuttavia sopravvalutano il proprio ruolo in situazioni di guerra. Ripensando al successo repubblicano del 1931 non è esagerato definirlo il successo di un ceto intellettuale che, attrezzatissimo, dal 1898 e per un trentennio pieno, reinserì l'arretrata Spagna in un circuito europeo, traendo vantaggio dalla neutralità nella Prima guerra mondiale. Ma fu anche una guerra civile tra le più atroci che si ricordino, a scatole cinesi, con tutte le complicanze che questo comporta rispetto a una guerra che non è definita anche "civile". Le cifre sulle vittime di questo conflitto intestino sono ancora controverse ma, se i numeri che si leggono verranno un giorno confermati, potremo solo provare a cogliere la sproporzione tra le dimensioni circoscritte della guerra e le dimensioni gigantesche del numero di morti. Koestler vede la morte arrivare ogni notte più o meno alla stessa ora, l'ora delle esecuzioni capitali. Escogita degli stratagemmi per dormire in quel lasso di tempo, una sorta di tortura del sonno che gli consente però di sopravvivere e non sentire gli strazi dei condannati vicini di cella. In prigione conosce nuovi compagni, osserva le ore d'aria di altri prigionieri, digiuna, legge quel che passa il bibliotecario, gli arrivano attutiti echi della mattanza che infuria fuori, riflette sulla Spagna e soprattutto su quel che gli è capitato di vivere poco prima della cattura, ingaggia insomma un dialogo serrato in una sottilissima membrana che lo tiene in vita stremato.
Questo memoir è uno dei grandi libri dell'intellettuale-giornalista di origini ungheresi, da leggere assieme agli altri suoi e da mettere in coppia con quell'Omaggio alla Catalogna di George Orwell o con La veglia a Benicarló di Manuel Azaña che sono senza dubbio altri fondamentali opere sull'autocombustione lenta che permise, con qualche anno di anticipo su quello più noto, un altro olocausto novecentesco. Schiacciata com'è tra due conflitti per cui si usò l'aggettivo "mondiale", l'escalation di terrore, vendette e ritorsioni che si consuma nella penisola iberica in un triennio - e che tuttavia parte ben prima del '36, già nel '31 con la cacciata dell'ultimo re borbonico Alfonso XIII e con l'insediamento della Repubblica - potrebbe persino divenire un vero banco di prova e anche un punto di vera partenza per rileggere la posizione della Chiesa in Europa nella prima metà del Novecento: è una storia che non può che interessare moltissimo tutti quanti.
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domenica 17 maggio 2015
domenica 3 giugno 2012
"La veglia a Benicarló" di Manuel Azaña
Riletture di classici o quasi classici (dentro o fuori catalogo) #9
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Torniamo a parlare di un libro (breve) inspiegabilmente introvabile, anche se capisco che l'inspiegabilmente sta solo nella testa di chi scrive e forse non in quella del mercato. Eppure, stavolta, parliamo davvero di un classico, un libro un tempo collocato nella mitica NUE segnata dalle righe rosse di Bruno Munari nella traduzione di Leonardo Sciascia e Salvatore Girgenti. Sarebbe bello confrontarsi anche sul perché certi libri escono completamente dalla circolazione. In tali casi, a maggior ragione se i libri sono brevi, i nuovi scenari aperti dall'editoria smaterializzata possono giocare un ruolo interessante e da inventare.
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A volte servirebbe provare a riprendere misura di quel che fu la Guerra civile spagnola nel contesto non soltanto europeo degli anni Trenta. Il suo precedere relativamente di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale talvolta fa sì che non le venga restituita la giusta luce, anzi, il giusto buio e la fa precipitare in un secondo piano del racconto storico che non è mai salutare. Eppure, solo per rimanere ai nostri libri, potremmo ripescare calibri importanti, come Omaggio alla Catalogna di Orwell, Per chi suona la campana di Hemingway, La speranza di André Malraux, la poesia di García Lorca o quello che resta forse il più bello tra i film di un regista oggi molto seguito come Ken Loach, Terra e libertà. Oppure, per chi è italiano, ricordarsi dei fratelli Rosselli, prima che dei fratelli Rosselli ("Oggi in Spagna, domani in Italia") si occupi chi italiano non è. In questo tentativo di riposizionamento di quella guerra, un libro senz'altro molto utile è il dramma teatrale La veglia a Benicarló di Manuel Azaña (La velada en Benicarló, Einaudi, pp. 144, attualmente fuori commercio).
Azaña fu l'ultimo presidente della Repubblica prima della vittoria franchista del 1939 e dell'avvento del potere dittatoriale che ne seguì, per decenni. Il destino dell'autore oscillò dall'essere quasi ignorato a essere additato come uno dei principali artefici del caos che imperversò nella penisola iberica in quei tre anni. La tragicità e il terrore di questa guerra non sono passati nella percezione comune. L'editoria, le programmazioni televisive, il cinema hanno fatto molta fatica a restituire quel clima atroce che era l'anticamera del baratro. Oggi dovremmo leggere questo piccolo volume all'interno di un periodo, quello dell'entre-deux-guerres, che forse rappresenta un momento chiave per rivedere lo statuto della parola "intellettuale". Per fare quest'operazione - se si vuole fare, naturalmente - quegli anni furono ancor più significativi degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e della Cold War.
Il testo è un dialogo teatrale. La cornice scorre attorno a un viaggio in auto da Barcellona a Valencia (protagonisti un medico, due ufficiali, un ex deputato e un'attrice). Benicarló è il posto a metà del tragitto dove avviene la loro sosta, laddove sgorga limpido il dialogo sobre la guerra de España e dove s'aggiungono un ex ministro, un dirigente socialista, un avvocato e un propagandista. Una veglia che si conclude in tragedia con l'arrivo degli aerei all'alba e la distruzione dell'albergo. Le battute di questa veglia accorata, come ricorda Sciascia nella prefazione, sono tutte ragionevoli, mentre il bombardamento viene ad assumere la simbologia di "distruzione della ragione", tipica di quell'irrazionalità nella violenza che fu, assieme a molti altri fattori, la base di partenza dei poteri autoritari e dittatoriali che tennero in scacco l'Europa. Altri elementi fortemente simbolici appaiono il viaggio, ma soprattutto la veglia, così connaturata alla letteratura e filosofia spagnola (Di Loyola, Cervantes, Unamuno). Nel dialogo non troviamo personaggi comunisti ed anarchici. Questo fatto può sorprendere e ha fatto in realtà molto discutere. Com'è possibile non contemplarli? Questa mancanza forse si salda in parte con l'alterna fortuna critica dell'autore, di quest'uomo politico di lettere eletto presidente della Repubblica nel maggio del 1936 e "incarnazione della Repubblica", che alcuni hanno visto troppo dilaniato dal dilemma (in questo Sciascia lo avvicina a un personaggio dell'Espoir malrauxiana). Rileggere, riproporre questo testo significa rivedere le lacerazioni immani di quella guerra osservata e sentita in tutto il mondo degli anni Trenta. Ogni guerra civile è lacerazione tra le più grandi che la condition humaine possa registrare, questo è un fatto noto a tutti. Ma per le ragioni espresse sopra vale la pena ricordare chi ha vegliato sui grandi sonni della ragione del secolo scorso. O meglio: rileggere, vegliando.
Torniamo a parlare di un libro (breve) inspiegabilmente introvabile, anche se capisco che l'inspiegabilmente sta solo nella testa di chi scrive e forse non in quella del mercato. Eppure, stavolta, parliamo davvero di un classico, un libro un tempo collocato nella mitica NUE segnata dalle righe rosse di Bruno Munari nella traduzione di Leonardo Sciascia e Salvatore Girgenti. Sarebbe bello confrontarsi anche sul perché certi libri escono completamente dalla circolazione. In tali casi, a maggior ragione se i libri sono brevi, i nuovi scenari aperti dall'editoria smaterializzata possono giocare un ruolo interessante e da inventare.
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A volte servirebbe provare a riprendere misura di quel che fu la Guerra civile spagnola nel contesto non soltanto europeo degli anni Trenta. Il suo precedere relativamente di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale talvolta fa sì che non le venga restituita la giusta luce, anzi, il giusto buio e la fa precipitare in un secondo piano del racconto storico che non è mai salutare. Eppure, solo per rimanere ai nostri libri, potremmo ripescare calibri importanti, come Omaggio alla Catalogna di Orwell, Per chi suona la campana di Hemingway, La speranza di André Malraux, la poesia di García Lorca o quello che resta forse il più bello tra i film di un regista oggi molto seguito come Ken Loach, Terra e libertà. Oppure, per chi è italiano, ricordarsi dei fratelli Rosselli, prima che dei fratelli Rosselli ("Oggi in Spagna, domani in Italia") si occupi chi italiano non è. In questo tentativo di riposizionamento di quella guerra, un libro senz'altro molto utile è il dramma teatrale La veglia a Benicarló di Manuel Azaña (La velada en Benicarló, Einaudi, pp. 144, attualmente fuori commercio).
Azaña fu l'ultimo presidente della Repubblica prima della vittoria franchista del 1939 e dell'avvento del potere dittatoriale che ne seguì, per decenni. Il destino dell'autore oscillò dall'essere quasi ignorato a essere additato come uno dei principali artefici del caos che imperversò nella penisola iberica in quei tre anni. La tragicità e il terrore di questa guerra non sono passati nella percezione comune. L'editoria, le programmazioni televisive, il cinema hanno fatto molta fatica a restituire quel clima atroce che era l'anticamera del baratro. Oggi dovremmo leggere questo piccolo volume all'interno di un periodo, quello dell'entre-deux-guerres, che forse rappresenta un momento chiave per rivedere lo statuto della parola "intellettuale". Per fare quest'operazione - se si vuole fare, naturalmente - quegli anni furono ancor più significativi degli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e della Cold War.
Il testo è un dialogo teatrale. La cornice scorre attorno a un viaggio in auto da Barcellona a Valencia (protagonisti un medico, due ufficiali, un ex deputato e un'attrice). Benicarló è il posto a metà del tragitto dove avviene la loro sosta, laddove sgorga limpido il dialogo sobre la guerra de España e dove s'aggiungono un ex ministro, un dirigente socialista, un avvocato e un propagandista. Una veglia che si conclude in tragedia con l'arrivo degli aerei all'alba e la distruzione dell'albergo. Le battute di questa veglia accorata, come ricorda Sciascia nella prefazione, sono tutte ragionevoli, mentre il bombardamento viene ad assumere la simbologia di "distruzione della ragione", tipica di quell'irrazionalità nella violenza che fu, assieme a molti altri fattori, la base di partenza dei poteri autoritari e dittatoriali che tennero in scacco l'Europa. Altri elementi fortemente simbolici appaiono il viaggio, ma soprattutto la veglia, così connaturata alla letteratura e filosofia spagnola (Di Loyola, Cervantes, Unamuno). Nel dialogo non troviamo personaggi comunisti ed anarchici. Questo fatto può sorprendere e ha fatto in realtà molto discutere. Com'è possibile non contemplarli? Questa mancanza forse si salda in parte con l'alterna fortuna critica dell'autore, di quest'uomo politico di lettere eletto presidente della Repubblica nel maggio del 1936 e "incarnazione della Repubblica", che alcuni hanno visto troppo dilaniato dal dilemma (in questo Sciascia lo avvicina a un personaggio dell'Espoir malrauxiana). Rileggere, riproporre questo testo significa rivedere le lacerazioni immani di quella guerra osservata e sentita in tutto il mondo degli anni Trenta. Ogni guerra civile è lacerazione tra le più grandi che la condition humaine possa registrare, questo è un fatto noto a tutti. Ma per le ragioni espresse sopra vale la pena ricordare chi ha vegliato sui grandi sonni della ragione del secolo scorso. O meglio: rileggere, vegliando.
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