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domenica 14 febbraio 2016

Il desiderio di conversione. Uno studio di Catherine Chalier su Rosenzweig, Bergson, Weil, Merton e Hillesum

Filosofa e docente all'università di Paris X-Nanterre, traduttrice, allieva di Lévinas, Chaterine Chalier è nota al pubblico italiano per i suoi studi di filosofia della religione, quasi tutti in catalogo Giuntina. Si inizia con Le matriarche, uno studio su Sara, Rebecca, Rachele e Lea, si transita per quella meditazione sulla grafia delle lettere che è Le lettere della creazione, per la raccolta di omelie del rabbino del ghetto di Varsavia Kalonymus Shapiro e si approda infine a questo recente Il desiderio di conversione. Rosenzweig, Bergson, Weil, Merton e Hillesum (Giuntina, pp. 259, euro 16, traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann). Diciamo subito che parte del vivo interesse per una simile opera è percepibile in modo intenso già nel suo sottotitolo, ovvero in quell'accostamento di cinque nomi-chiave della vicenda filosofica e spirituale del Ventesimo secolo. Inoltre, la conversione in sé è un aspetto fondamentale, sia nella filosofia che nella teologia, che tuttavia non ha sinora attratto una prolungata attenzione filosofica. Queste due macro-ragioni restituiscono sinteticamente l'interesse che oggi riveste una pubblicazione come questa.

I cinque pensatori presi
in esame nel libro
(elaborazione grafica mia)
La filosofia moderna è giunta quasi alla rimozione della conversione dai propri tragitti e frequentazioni. L'allieva di Emmanuel Lévinas pone allora innanzitutto domande semplici: che cos'è una conversione? Come cambia l'accezione di conversione da Plotino alle cinque figure chiave che lei stessa prende in considerazione nella parte più interessante, analitica e centrale dell'opera edita da Seuil nel 2011? Ci rendiamo conto - questo lo aggiungo ora - che nel linguaggio comune la conversione ha quasi assunto una connotazione peggiorativa? Convertirsi sembra essere diventata un'azione criticabile, che sottende anche scelte d'interesse: ad esempio il primo capitolo di Going Clear: Scientology, Hollywood and the Prison of Belief di Lawrence Wright, tradotto da Adelphi col titolo La prigione della fede. Scientology a Hollywood, nelle pagine iniziali parla del protagonista Paul Haggis come "the convert". I cinque pensatori del Ventesimo secolo sui quali questo libro si sofferma non riescono e non possono più contare sulla parentela tra l'anima umana e l'anima cosmica. In questa constatazione primaria sta il senso di un percorso che isoli cinque figure che hanno attraversato, a diverse latitudini, la conversione dal di dentro di un secolo angosciato e segnato da un sentimento gnostico e radicale di abbandono, cosmico e storico, nel quale si forma come una macchia dello sguardo, in cui è intravista la via della conversione. Sono cinque conversioni diverse quelle trattate da Chalier, e non poteva essere altrimenti e pure questa diversità contribuisce ad arricchire il volume, a modularlo. Sono conversioni che non rappresentano un ritorno, bensì un protendere, un "movimento verso" che accomuna l'accento più filosofico di Bergson, quello meditativo sui testi ebraici di Rosenzweig, quello concentrato sui testi cristiani nei casi di Merton e Weil e di entrambi i testi nel caso di Etty Hillesum. Allora nulla avranno da spartire con le conversioni di vecchi filosofi. La studiosa ci mette in guardia che la conversione "piuttosto che cancellare, sembra convalidare la persistenza esistenziale del paradosso individuato da Kierkegaard. Essa attesta in effetti che il "sé" umano non rinuncia così facilmente all'idea di una verità di cui possa nutrirsi, anche nella sua finitezza, in mancanza di poterla conoscere chiaramente; una verità che orienta la concretezza contingente dei suoi giorni e che, soprattutto, abbia la forza di rivelare quel "sé" a se stesso. Né il dogmatismo né il puro relativismo ne sono capaci, il primo perché soffoca desiderio e libertà, il secondo perché pretende che nessuna verità contribuisca a questa rivelazione". In tutt'altro contesto, parlando di uno scrittore come Giuseppe Berto, Andrea Zanzotto scriveva:

"Una grave crisi travaglia non solo le ideologie, ma anche le religioni che spesso reagiscono assumendo tratti di carattere implosivo e regressivo. Ed è sempre attuale la battuta di Woody Allen: «Dio è morto, Marx è morto, ed anch'io comincio a non sentirmi troppo bene». Grande è l'urgenza di superare questa stretta, con nuove sintesi. E urge affrontare il problema delle sempre più obsolescenti strutturazioni del pensiero, ma anche del nichilismo che è diventato ormai chiacchiera da salotto, nel guazzabuglio culturale che impera oggi; mentre dalla mattina alla sera ogni novità si dissolve. Ogni sforzo per superare, anche attraverso una ripresa del sentimento religioso, il nichilismo depressivo, è degno di rispetto. E in questo senso Berto se lo merita pienamente. Frattanto, nell'attuale regno del consumo che consuma tutto, è anche sperabile che esso abbia a consumare persino il demonio del nichilismo...".

Il libro di Chaterine Chalier apre ai temi del "segreto" e del "mistero". Lasciamo al lettore il tragitto di scoperta. Io spiegherò il mio enigma sulla cetra (Salmi 49, 5), con questa citazione si era aperto.

lunedì 23 giugno 2014

Lettere da Westerbork di Etty Hillesum

Complici forse le edizioni integrali del Diario e delle Lettere pubblicate da Adelphi tra il 2012 e il 2013, assistiamo alla comparsa di una costellazione di volumi meno corposi dedicati a Etty Hillesum. Sono principalmente lettere, e nel caso delle due rapide segnalazioni che voglio fare sono entrambi libri che ci riportano a Westerbork, il campo di transito nell'Olanda nord-orientale. Un primo volume si trova nel catalogo di Via del Vento edizioni di Pistoia, la casa editrice di Fabrizio Zollo che qui cura anche una densa postfazione, all'interno della bellissima collana di testi rari denominata "Ocra gialla", con il titolo Una piccola voce (pp. 36, euro 4, Traduzione di Francesca Degani e Ilona Merx). L'altro titolo compare nell'altrettanto bella collana di libri brevi "Etcetera" di Castelvecchi con il titolo Due lettere da Westerbork (pp. 70, euro 7,50, prefazione di Marcella Filippi, traduzione di Stefano Musilli).

Westerbork, dunque. Prima di Auschwitz. Un campo di transito dove transitarono circa 107.000 ebrei. Tra questi anche l'allenatore di calcio ungherese Árpád Weisz (lo scopritore di Giuseppe Meazza, recita Wikipedia), Anne Frank e Edith Stein. Il campo dei treni che partivano ogni martedì. Il fazzoletto di terra dove furono radunati dal 1939 i rifugiati che provenivano principalmente dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dall'Austria e dalla Germania. Queste lettere raccolgono ciò che Etty Hillesum vedeva, a volte rischiando e spingendosi in zone proibite del campo, proprio per incontrare i volti. Entrambi i volumi propongono la lettera del 24 agosto 1943, scritta un paio di settimane prima del suo treno per Auschwitz. Il volume di Castelvecchi ne comprende anche una del dicembre 1942. Etty Hillesum racconta i volti, i colori delle divise, i pianti dei bambini, l'attesa, i treni, i viali del campo, i saluti di chi parte, la "contabilità" della morte che a fronte di una richiesta di 1000 ebrei ne fa partire 1020, "per sicurezza", nell'eventualità, non certo remota, che qualcuno morisse durante il viaggio. Entrambe le lettere erano comparse già durante il periodo della resistenza olandese, nel tardo 1943. Westerbork è il campo dove Etty Hillesum andò volontaria e dove scrisse quasi tutte le sue lettere che rappresentano, come noto, un momento di strappo rispetto alla comune percezione della Shoah.

Westerbork Memorial
"Vago un po' smarrita per altre baracche, incrociando scene che mi si stagliano davanti in numerosi dettagli cristallini e che al contempo sono come visioni evanescenti e ancestrali. Vedo un vecchio moribondo che viene portato via mentre recita lo Shemà per se stesso. Recitare lo Shemà vuol dire pregare per qualcuno che è sul punto di morire. Si tratta essenzialmente di invocare senza sosta il nome di Dio, e l'ideale è quando chi sta per morire è ancora in grado di partecipare alla preghiera. Vedo un vecchio moribondo che viene portato via in barella verso il treno mentre recita lo Shemà per se stesso... Vedo un padre che benedice la moglie e il figlio prima di partire e che si fa benedire a sua volta da un vecchio rabbino con la barba bianca come la neve e il profilo fiammeggiante di un profeta. Vedo.. Oh be', proprio non mi riesce di descriverlo..." (lettera del 24 agosto 1943, traduzione di Stefano Musilli).