lunedì 29 giugno 2015

Poesie inedite di Vincenzo Bagnoli



"al cor gentil ratto s'apprende" è il titolo dello spazio che Librobreve dedica alle poesie inedite. Qui si ospitano testi che probabilmente andranno a costruire nuovi libri di poesia. Si propone come rubrica di solo testo, priva di foto glamour degli autori. L'unica immagine rimarrà quella del ratto qui sopra, identificativa di ogni post, un portafortuna che dedico agli ospiti. La pubblicazione avviene su invito e pertanto non ha senso inviare i propri testi all'autore del blog se non vi è stato prima un dialogo e accordo tra Alberto e chi ha scritto le poesie. Non ho previsto commenti o preamboli ai testi. I lettori invece possono commentare.

Due poesie inedite di Vincenzo Bagnoli (Bologna, 1967)


Bathroom selfie

Cosa guardi quando guardi quel vetro?
cosa vedi che ti guarda nello specchio?
un uomo ogni volta un po’ più vecchio?
la cosa d’altro mondo il mostro tetro?

E cosa senti dentro al tuo orecchio
quando parli se parli poi a te stesso?
Un suono sconquassato roco e fesso
come la ghiaia scossa in fondo a un secchio?

Ti chiedi qualche volta ancora adesso
che cosa resta riguardando indietro
ma alle tue spalle c’è sempre quel muro.

E cosa vuoi vedere chiuso in cesso
sempre costretto allo spazio di un metro?
Così capirci qualcosa è duro.


Feng Shui

Sei un verde drago, tu, e la rugiada
del nord ti bagna la fibra leggera,
giovane legno della primavera,
veloce movimento sulla strada.

Il cielo di nordovest, tardo autunno,
dare forza, è questa la mia parte:
grigio metallo, nome per le carte...
cos’altro lascio? Le madri vi danno

la forma che nel buio delle viscere
prendono carni ed ossa perfette;
a me tocca aiutarti invece a crescere

in pubblico, alla luce, con dolore,
fra tutti i tanti sbagli che commette
la macchina contorta del mio cuore.

venerdì 26 giugno 2015

"Gli standard del jazz. Una guida al repertorio" di Ted Gioia

Musicali pretesti #5

Di tanto in tanto, una notizia su un libro e un brano da ascoltare, al libro collegato.

La collana "Jazz" delle edizioni EDT riprende a pubblicare dopo una pausa. L'anima è sempre quel Francesco Martinelli intervistato qui. Stavolta Martinelli è anche traduttore di questo Gli standard del jazz. Una guida al repertorio (EDT, pp. XVI-493, euro 28) del critico e storico americano Ted Gioia. Il festival Umbria Jazz è vicino, con un cartellone come sempre interessante e ha senso che un libro del genere esca in questo preciso momento dell'anno. L'editoria musicale inoltre rincorre spesso l'idea di "repertorio" per affrontare e sfrondare un panorama vasto e difficilmente avvicinabile dalla scrittura. Per certi aspetti dovremmo riconoscere che quella sulla musica è una delle scritture più difficili e intricate sulla faccia della terra, per molti aspetti è quasi una contraddizione in termini, prova ne sia la difficoltà di individuare nomi di spicco nella prosa musicale, tra i tanti che contribuiscono ad animare le svariate riviste e i siti, quasi sempre appiattiti su stilemi invasivi e ricorrenti. Ad ogni modo la scrittura e la critica sulla musica accadono e non di rado sono corsi di pensiero che val la pena intraprendere (un guida come Breve storia della musica di Alfred Einstein è un libro che mi sento di consigliare, ad esempio). Per restare ai nostri standard jazz, questo libro fresco di stampa mi ha portato a scegliere una versione di God Bless the Child di Billie Holiday interpretata da Eric Dolphy con Herbie Hancock al pianoforte, Eddie Khan al basso e J.C. Moses alla batteria. La trovate nell'album della Blue Note The Illinois Concert (live all'università dell'Illinois, 10 marzo 1963).

mercoledì 24 giugno 2015

Poesie di Moya Cannon nella traduzione di Alessandra Conte


 
Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.

Due poesie di Moya Cannon da Carrying the Songs (Carcanet Press, Manchester 2007) nella traduzione di Alessandra Conte


COLOMBE FRADICIE

Due colombe fradicie stanno appollaiate su un albero tutto il pomeriggio.

In un giorno così piovoso,
un melo spoglio è un brutto posto per posarsi.

Fuori dalla finestra
questa trita metafora d’amore e fruttuosità si stringe
e spulcia sotto le ascelle
e defeca e sgocciola
e poi
dispiega due ventagli perfettamente bianchi
e vola via.



NIDO

Una scura corona di canne e ramaglie
rigira sonnacchiosa in un angolo al di sopra della chiusa.
Per quanto la corrente la tratterrà
prima di spazzarla via?

Due lattine di coca e un cartone del fast-food
ne sono rigirati al centro.

Per abitudine,
dio deve costruire nidi.



WET DOVES

Two wet doves are perched in the tree all afternoon.

On a day as rainy as this,
a bare apple is a poor place to roost.

Beyond my window
this tatty metaphor of love and fructitude huddles
and grubs under its oxters
and defecates and drips
and then
spreads two perfectly white fans
and flies away.


NEST                                                 

A brown wheel of reeds and broken willow
turns somnolently in a corner above the weir.
How long will that current hold it
before the flow sweeps it over?

Two Coke cans and a fast-food carton
are wound into the heart of it.

Out of habit,
god goes on making nests.

sabato 20 giugno 2015

"Guerra del '15" di Giani Stuparich

©overtures #10
Leggere una grande guerra #15

"Leggere una grande guerra" intende essere il breve spazio in cui segnalo dei libri sulla Prima guerra mondiale. Il quinquennio 2014-18 coincide con un lungo periodo di celebrazioni, commemorazioni ed eventi a livello internazionale. Segnalare semplicemente dei titoli di libri, brevi o meno brevi, passati o attuali, reperibili o non reperibili, italiani o stranieri, può essere un buon antidoto contro le fanfare e i tromboni che stanno pericolosamente giungendo un po' da ogni parte. Le segnalazioni saranno sintetiche, poco più di una scheda bibliografica. (In coordinamento con World War I Bridges).

Ritorna acquistabile grazie a Quodlibet Guerra del '15 di Giani Stuparich (a cura di Giuseppe Sandrini, pp. 200, euro 17). Stuparich fu autore di un altro libro scaturito da quegli anni, Ritorneranno, titolo di cui il catalogo Garzanti ha garantito una presenza più continuativa. Sorrido a pensare che Stuparich trovava posto nella collana "Letture per la scuola media" di Giulio Einaudi Editore. Era quella collana che ereditava la grafica munariana delle tre righe rosse orizzontali, distintive anche della collana NUE. Conteneva titoli tanto belli e irrecuperabili oggi, come il lungo racconto L'isola (1942) ambientato tra le due guerre e incentrato sul rapporto col padre, un tema ricorrente della scrittura di Stuparich, un ricongiungimento compiutamente sincronizzato di montagna e mare. In Guerra del '15, uscito per la prima volta nel 1931 per Treves, l'intellettuale triestino laureatosi a Firenze (per di qua passa il suo avvicinamento vociano) verga le pagine di un diario da gregario-volontario sul Carso. Il Carso è anche il Carso di Slataper, certamente. Ed è anche quello di Ungaretti e di tanti altri, insomma è quell'area geografica ma anche geopoetica che ha filtrato la luce di una stagione importante della scrittura europea e che per una volta non c'entra nulla con la fantomatica Mitteleuropa. E soffermandomi ancora sulla grafica editoriale, è bene dire della fotografia scelta per la copertina dalla solitamente immacolata Quodlibet: è una foto del monte Debeli della serie To face, tratta dal bellissimo lavoro di Paola De Pietri sui luoghi della guerra, a cui il Maxxi ha dedicato una mostra qualche anno fa (qui si può vedere qualche altra foto). Per gli editori che mantengono un orizzonte di progettualità, i cent'anni passati dal conflitto non rappresentano soltanto la speranza di vendere qualche copia in più ma anche la volontà di riproporre e riposizionare in un'offerta strutturata testi che da tempo mancavano. Questa di Stuparich è un'altra testimonianza da leggere assieme ad altre riproposte di recente (ad esempio assieme a quella di Arrigo Cajumi di cui ho già scritto qui poco fa).

martedì 16 giugno 2015

da "La distruzione o amore" di Vicente Aleixandre

Una poesia da #50


Non di rado mi diverte dedicare questo spazio intitolato "Una poesia da" a vecchie uscite della fu "Bianca" Einaudi, ora reperibili solo tra gli antiquari o nelle fornite biblioteche di provincia, un tempo condotte da ligi e zelanti bibliotecari ante-OPAC o ante prestito interbibliotecario. Ancora lo è "bianca", anche se a me piace pensarla ingiallita (e non gialla), non per feticistiche passioni dei libri d'antan (in fondo stiamo parlando di un libro uscito in italiano soltanto 45 anni fa), ma perché sfogliando il catalogo e le vecchie pubblicazioni mi accorgo di come si provasse a tradurre con una certa costanza e tempra. Non ci rendiamo conto che tanti dei "problemi" pseudosociologici con cui è avvicinata la poesia - sia chiaro, sempre a distanze di sicurezza! - passano per il declino vertiginoso delle traduzioni, della voglia e dell'entusiasmo di tradurre e proporre, di frequentarsi in questo nobile modo? Neanche tanto paradossalmente questo accade proprio oggi, dove potrebbe venir più facile e spontaneo frequentare le rive della traduzione. Ecco, tutto questo è solo per risparmiare odiosi cappelli biografici che a poco servono e per arrivare a dire che oggi scelgo una poesia da La destrucción o el amor, un libro dei primi anni Trenta del poeta spagnolo Vicente Aleixandre (Siviglia 1898 - Madrid 1984), pubblicato giusto alla metà di quel decennio. In Italia uscì appunto per Einaudi nel 1970, nella traduzione dell'ispanista Francesco Tentori Montalto. 



VOGLIO SAPERE


Dimmi il segreto della tua esistenza;
voglio sapere perché la pietra non è piuma
e non è il cuore un delicato albero,
perché la bimba che muore là tra due vene-fiumi
non scorre verso il mare come tutti i vascelli.

Voglio sapere se il cuore è una pioggia o un confine,
quel che resta da parte quando due si sorridono,
o è solo la frontiera tra due mani recenti
che stringono una pelle calda che non divide.

Fiore, dirupo o dubbio, o sete o sole o sferza:

non è che uno il mondo, la palpebra e la riva,
come l'uccello giallo che dorme tra due labbra
quando penetra l'alba con fatica nel giorno.

Voglio sapere se un ponte è ferro o desiderio,
l'unione così ardua di due carni segrete,
quanto divide due petti toccati
da una freccia nuova scoccata di tra il verde.

Muschio o luna è lo stesso, quello che non sorprende,
l'indugiata carezza che notturna percorre
i corpi come piuma o labbra che ora piovono.
Voglio sapere se il fiume da se stesso va lungi
stringendo silenzioso alcune forme,
cateratta di corpi che come spuma s'amano,
finché giungono al mare del piacere concesso.

I gridi sono stecchi di fischio, conficcati, 
disperazione viva che vede brevi braccia
levate verso il cielo in supplica di lune,
teste dolenti che lassù dormono, vogano,
senza respiro, simili a lamine offuscate.

Voglio sapere se la notte vede
corpi bianchi di tela giacenti sulla terra,
false rocce, cartoni, fili, pelle, acqua quieta,
uccelli come stampe disposte contro il suolo,
o rumori di ferro, bosco vergine all'uomo.

Voglio sapere altezza, mare vago o infinito;
se è il mare l'occulto dubbio di cui m'inebrio
quando il vento trasporta tessuti trasparenti,
avorî, pesi, ombra, prolungate bufere,
il viola prigioniero che laggiù si dibatte
invisibile, o muta di dolcissime insidie.


QUIERO SABER


Dime pronto el secreto de tu existencia;
quiero saber por qué la piedra no es pluma,
ni el corazón un árbol delicado,
ni por qué esa niña que muere entre dos venas ríos
no se va hacia la mar como todos los buques.

Quiero saber si el corazón es una lluvia o margen,
lo que se queda a un lado cuando dos se sonríen,
o es sólo la frontera entre dos manos nuevas
que estrechan una piel caliente que no separa.

Flor, risco o duda , o sed o sol o látigo:
el mundo todo es uno, la ribera y el párpado,
ese amarillo pájaro que duerme entre dos labios
cuando el alba penetra con esfuerzo en el día.

Quiero saber si un puente es hierro o es anhelo,
esa dificultad de unir dos carnes íntimas,
esa separación de los pechos tocados
por una flecha nueva surtida entre lo verde.

Musgo o luna es lo mismo, lo que a nadie sorprende,
esa caricia lenta que de noche a los cuerpos
recorre como pluma o labios que ahora llueven.
Quiero saber si el río se aleja de sí mismo
estrechando unas formas en silencio,
catarata de cuerpos que se aman como espuma,
hasta dar en la mar como el placer cedido.

Los gritos son estacas de silbo, son lo hincado,
desesperación viva de ver los brazos cortos
alzados hacia el cielo en súplicas de lunas,
cabezas doloridas que arriba duermen, bogan,
sin respirar aún como láminas turbias.

Quiero saber si la noche ve abajo
cuerpos blancos de tela echados sobre tierra,
rocas falsas, cartones, hilos, piel, agua quieta,
pájaros como láminas aplicadas al suelo,
o rumores de hierro, bosque virgen al hombre.

Quiero saber altura, mar vago o infinito;
si el mar es esa oculta duda que me embriaga
cuando el viento traspone crespones transparentes,
sombra, pesos, marfiles, tormentas alargadas,
lo morado cautivo que más allá invisible
se debate, o jauría de dulces asechanzas.

lunedì 15 giugno 2015

Presentazione di Nervi Edizioni a Ca' dei Ricchi a Treviso



Giovedì 18 giugno 2015 alle ore 21
Ca' dei Ricchi, via Barberia 25, Treviso
Rassegna di poesia "TRAversi"
Presentazione del progetto Nervi edizioni 
di Fabio Donalisio, Marco Scarpa e Francesco Targhetta

Segnalo anche il quinto e ultimo appuntamento, un fuori programma, che chiude il ciclo di incontri di poesia “L’attesa” a Ca' dei Ricchi a Treviso. La serata sarà l’occasione per introdurre in anteprima il nuovo progetto di casa editrice Nervi Edizioni alimentata da Fabio Donalisio, Marco Scarpa e Francesco Targhetta. In questo ultimo incontro i tre editori toglieranno il telo nero che copre ancora le loro realizzazioni di libri di poesia fatti a mano e presenteranno così assieme agli autori i primi titoli. Per chi desidera farsi un'idea, ricordo l'intervista dedicata al progetto apparsa qui qualche settimana fa.

Altre informazioni su quanto avviene negli spazi di Ca’ dei Ricchi stanno qui.

venerdì 12 giugno 2015

La collala "Idòla" di Laterza

Storie di collane micro #13
©overtures #9

Il libro più recente della collana "Idòla" di Laterza, l'unico uscito finora nel 2015, è «Il matrimonio omosessuale è contro natura». Falso! (pp. 152, euro 9) della filosofa teoretica Nicla Vassallo. Il titolo è centrato, semplice e va diritto al punto: non possiamo enunciare un istituto, culturale giuridico e/o religioso, come il matrimonio e parlare poi di "contro natura" nel caso di quello omosessuale. Ogni matrimonio è "contro natura" e quest'affermazione non sottende un giudizio di valore sul matrimonio in quanto istituto, bensì una banalissima constatazione. Possiamo parlare di tantissimi aspetti, ma non uscire con un'affermazione come quella virgolettata nel titolo di questo libro e dobbiamo capirlo, pena la penosità penosa di qualsiasi argomentazione, più o meno improvvisata, più o meno umorale, che si può ascoltare in giro. C'è qualcosa che fa a cazzotti sin da subito, insomma, e il libro di Nicla Vassallo sostanzialmente si sofferma su questo (e per quanto concerne il caso italiano e la sua unicità in Europa, cerca coraggiosamente di non trovare scorciatoie dando tutta la colpa alla vicinanza del Vaticano). Va da sé che l'ho fatta fin troppo semplice, ma il libro in questione, interessante attuale e quanto mai necessario, mi offre lo spunto per spostarmi e fare qualche osservazione su questa collana e sulla tenuta del concetto di collana in editoria. Laterza e Il Mulino, sotto certi aspetti, licenziano collane simili, contraddistinte da una tematizzazione forte, concept di collana e concept grafico molto diretti che prevedono spesso una sostanziale assenza di immagini in copertina (questo fatto, oltre a garantire un risparmio su eventuali diritti d'immagine, velocizza non poco la grafica). Nel caso specifico di Laterza abbiamo il titolo in primo piano, riportato tra virgolette, come a dire "campionatura di una frase che si sente spesso dire in giro", quindi un ben visibile timbro rosso VERO! o FALSO! (un po' televisiva come scelta, ma di sicuro impatto) e quindi sulla parte bassa nome dell'autore (o degli autori) e rimandi al nome di collana e all'editore. Il tutto giocato a tre colori, anzi due, nero e rosso su fondo bianco. La cosa migliore, per farsi un'idea di come è stata architettata la collana, è scorrere i titoli sinora usciti.

Andrea Baranes, “Dobbiamo restituire fiducia ai mercati” Falso!
Zygmunt Bauman, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti” Falso!
Luciano Canfora, “È l'Europa che ce lo chiede!” Falso!
Innocenzo Cipolletta, “In Italia paghiamo troppe tasse” Falso!
Paolo Flores d'Arcais, “La democrazia ha bisogno di Dio” Falso!
Ippolita, “La Rete è libera e democratica” Falso!
Loredana Lipperini, Michela Murgia, “L'ho uccisa perché l'amavo” Falso!
Ugo Mattei, “Senza proprietà non c'è libertà” Falso!
Federico Rampini, “Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale” Falso!
Marco Revelli, “La lotta di classe esiste e l'hanno vinta i ricchi”. Vero!
Nicla Vassallo, “Il matrimonio omosessuale è contro natura”. Falso! (Qui un video con un'intervista all'autrice)


(Al di là di tutto questo, ad un livello più generale, nello sconquasso dell'editoria, mi domando spesso se e fino a quando reggerà il concetto di "collana" così come lo abbiamo conosciuto. Non so se vi capiti mai di pensarci.)

mercoledì 10 giugno 2015

Poesie inedite di Maddalena Bertolini




"al cor gentil ratto s'apprende" è il titolo dello spazio che Librobreve dedica alle poesie inedite. Qui si ospitano testi che probabilmente andranno a costruire nuovi libri di poesia. Si propone come rubrica di solo testo, priva di foto glamour degli autori. L'unica immagine rimarrà quella del ratto qui sopra, identificativa di ogni post, un portafortuna che dedico agli ospiti. La pubblicazione avviene su invito e pertanto non ha senso inviare i propri testi all'autore del blog se non vi è stato prima un dialogo e accordo tra Alberto e chi ha scritto le poesie. Non ho previsto commenti o preamboli ai testi. I lettori invece possono commentare.


Due poesie inedite di Maddalena Bertolini


aprimi. Tira la linguetta e strappami.
Guarda i pensieri allineati nella latta lucidi
e distesi l’uno sull’altro, sott’olio; il cuore
incellophanato come una decorazione natalizia
di plastica letizia. E’ tutto a posto ti prego
fammi disordinare. Fai evacuare ogni sguardo civile
e appicca il fuoco fammi soffrire appena
un poco. Lasciami dire con sollievo
che sono stata fuori almeno una volta da me stessa
ho dovuto dormire sotto le stelle guardare le fiamme
lambire i muri a piombo del sentimento. Avrei
potuto morire quella volta direi


odore d’acqua fredda e poco sole
il lago non è riuscito a riscaldarsi
in questo agosto: sono gli anni
in cui la luce ha abbassato le braccia
in cambio di una formula
magica o matematica, economica.
La gente comune si confonde
il lago allaga dolcemente il piano
il ghiaccio si riprende le montagne i figli
non ci vogliono salire e sembrano felici
della loro debolezza. Aiutaci. Liberaci
la luce fai che esca dalle crepe della testa

lunedì 8 giugno 2015

Frank Norris, "Una speculazione sul grano"

Ripescaggi #40

Secondo e ultimo ripescaggio di uno scritto inviato a Dori Agrosì per il suo bel sito "La nota del traduttore".


Un esercizio che faccio spesso è notare o leggere un libro uscito per qualche editore straniero e immaginarmi quale casa editrice italiana abbia la “vocazione” per tradurlo. So che è un esercizio che lascia il tempo che trova, e difatti quasi mai le proposte di traduzione che invio agli editori vanno a buon fine. Più facile che sia un editore a propormi un autore che nemmeno conoscevo prima. Così è successo con Stewart O’Nan qualche anno fa, e ora anche con Frank Norris.
Quando Michele Toniolo mi parlò di Frank Norris, pensai per prima cosa che non conoscevo l’autore. Questo non è necessariamente un problema quando si traduce e credo che capiti spesso. Questo fatto era tuttavia strano, e non certo perché io abbia una buona conoscenza delle letteratura mondiale, ma più che altro perché Norris è un autore collocato in un periodo ben preciso della storia letteraria americana, un frangente che tra l’altro amo molto e che riserva sempre scoperte interessanti. 


Norris nacque nel 1870 a Chicago e morì di peritonite a San Francisco a soli 32 anni. Non mancò di girare il mondo come corrispondente in Sudafrica, nel 1895-96, e a Cuba, durante la guerra ispano-americana del 1898. Prima ancora, nel 1887, era stato a Parigi a studiare pittura. Lì conobbe il faro delle opere di Zola, una frequentazione di testi che, unita agli studi e alle esperienze di corrispondente, dà probabilmente origine al distillato di scrittura che è questo A Deal in Wheat


Il racconto è girato in cinque scene. Scrivo “girato” perché è talvolta sorprendente questa anticipazione dell’occhio cinematografico che sembra “built-in” in certa letteratura americana pre-cinema. Nella prima scena il protagonista (meglio dire la persona su cui si abbattono le macchinazioni borsistiche di cui verremo a conoscenza) lascia la fattoria per recarsi in città e apprendere che il grano ha raggiunto prezzi insostenibilmente bassi. Il prezzo troppo basso comporta il fallimento, il disfacimento della fattoria e la fine dell’attività di coltivatore di grano. Nel secondo capitolo entrano in scena i ribassisti e i rialzisti, che con i loro accordi determinano l’altalena assurda e ingiustificata dei prezzi del grano. Nel terzo assistiamo ad un grandioso affresco borsistico dell’epoca, dove le folle vocianti di allora si sovrappongono idealmente all’immagine degli operatori di borsa che oggi abbiamo noi. Nel quarto appare l’altro grande elemento portante di tutta la narrativa di Norris, la ferrovia, con il suo immenso e geografico portato simbolico,  e in questo specifico caso usata come mezzo al servizio dei giochi del ribassista. Nell’ultima quinta stazione ritroviamo Sam Lewiston, il protagonista, che dopo una poco felice parentesi nell’industria, si trova in coda a mendicare il pane, proprio nella notte in cui, per un improvviso esagerato rialzo del prezzo del grano, il pane non può più essere elargito ai mendicanti. Quella stessa sera però la ruota della fortuna torna a girare a favore del protagonista, che trova un nuovo “impiego” (stavolta nel settore dei servizi della nettezza urbana). 

Se da un lato sembra fin troppo facile seguire il percorso del protagonista attraverso i tre canonici settori di produzione (primario, secondario, terziario) e le ripercussioni dei primi eccessi del capitalismo del Ventesimo secolo, dall’altro in Norris ritroviamo una grazia tutta americana nel saper trasfigurare situazioni, persone, luoghi e, in sostanza, lo stesso plot della vicenda. L’epopea della produzione del grano e la ferrovia, i due assi portanti della sua scrittura e di una trilogia che non è riuscito a completare, sono qui magnificamente compresenti. Certe scelte linguistiche rimandano alla sua esperienza giornalistica e ad una profonda comprensione di determinati contesti finanziari e speculativi. 


Il racconto era già comparso nell’antologia Americana di Vittorini nella traduzione di Piero Gadda Conti. Rispetto a quella versione ho sentito il vero e proprio dovere di lasciare intatti i tecnicismi giuridici (secondo capitolo) e dell’opaco gergo di borsa (terzo capitolo), cercando di preservare quello sguardo trasfigurante al quale accennavo sopra, ravvisabile soprattutto nel capitolo iniziale e in quello finale di questo racconto, opera imprescindibile di un autore che, piano piano, in Italia stiamo riproponendo e riscoprendo. Oppure, più semplicemente, scoprendo.

venerdì 5 giugno 2015

"An Irish Airman Foresees His Death" di William Butler Yeats nella traduzione di Simone Maria Bonin


 
Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.

UN AVIATORE IRLANDESE PREVEDE LA PROPRIA MORTE di W. B. Yeats 
(nella traduzione di Simone Maria Bonin)


È certo che incontrerò il mio fato
su fra le alte nuvole in cielo;
non odio coloro che combatto
coloro che difendo neppure amo;
la mia terra è la Croce di Kiltartan,
la mia gente le sue povere persone.
L'avvenire non darà loro alcun dolore
né più allegri di quel che sono potrà rendere.
E non fu legge, né dovere a farmi prendere le armi
né i politici o le loro folle immense
ma un solitario impulso allo splendore
portò il tumulto in questo mare celeste;
soppesato il tutto, ricordato e certo,
l'avvenire mi parve spreco di fiato,
e  uno spreco di sorte il passato
in equilibrio fra questa vita, questa morte.


William Butler Yeats (1865 - 1939)

AN IRISH AIRMAN FORESEES HIS DEATH – W. B. Yeats


I know that I shall meet my fate 
Somewhere among the clouds above; 
Those that I fight I do not hate 
Those that I guard I do not love; 
My country is Kiltartan Cross,
My countrymen Kiltartan’s poor, 
No likely end could bring them loss 
Or leave them happier than before. 
Nor law, nor duty bade me fight, 
Nor public man, nor cheering crowds,
A lonely impulse of delight 
Drove to this tumult in the clouds; 
I balanced all, brought all to mind, 
The years to come seemed waste of breath, 
A waste of breath the years behind
In balance with this life, this death.

lunedì 1 giugno 2015

Tradurre in italiano Aleksandar Hemon, Emmanuel Carrère, Cormac McCarthy, Noëlle Revaz e altri. Intervista a Maurizia Balmelli

Librobreve intervista #57

Prosegue la serie di interviste incentrate sulla traduzione letteraria e altre ne verranno. Mi rendo conto che queste interviste, messe in sequenza, compongono una sorta di gineceo, vista la maggioranza di donne intervenute. Tutto ciò non è intenzionale e sto correndo ai ripari con appositi contrappesi e "quote azzurre". Non oggi però, perché vi accingete a leggere le risposte di Maurizia Balmelli (a lato ritratta da Chiara Tiraboschi), la quale fece la sua prima comparsa su queste pagine diversi anni fa, in occasione di un post dedicato a Ágota Kristóf. Nelle risposte che seguono ci illustra gli ultimi lavori portati a termine, soffermandosi su alcuni autori in particolar modo. Non è difficile che vi siate imbattuti in un'opera da lei tradotta. Si parla anche di traduzioni dal francese e dall'inglese e una domanda parte proprio da qui, e poi di piacere, in senso lato ma anche in senso stretto. Vi auguro quindi una piacevole lettura.

Miriam Toews
LB: Le ultime battaglie di cui sei "reduce": quali sono, cosa ti lasciano? Ci sta parlare di "battaglia", naturalmente in senso metaforico, per una traduzione, poi?
R: Il gesto della traduzione viene spesso descritto come un “corpo a corpo” con la lingua, descrizione che sottoscrivo. Ma delle “battaglie” da cui sono “reduce” stavolta mi piacerebbe parlare in termini emotivi. Per una serie di circostanze, negli scorsi mesi mi sono ritrovata a tradurre con tempi serratissimi due romanzi molto impegnativi e profondamente diversi tra loro: I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews (Marcos y Marcos) e La zona d'interesse di Martin Amis (in uscita per Einaudi a settembre). Il primo racconta un rapporto appassionato tra due sorelle, Elf, disperatamente determinata a morire e Yoli (la voce narrante) disperatamente determinata a salvare Elf; il secondo è costruito come una specie di mémoire a tre voci dai toni farseschi sulla vita dentro e fuori Auschwitz. Ecco: convivere per mesi e mesi con personaggi così estremi, costruire l’empatia necessaria a prestare le mie parole a una donna che cerca le proprie per riuscire a salvare la sorella, a un criminale nazista tossico e con il complesso della bassa statura o a un prigioniero ebreo costretto a uccidere i propri figli ha rappresentato un vero e proprio tour de force emotivo. Mi piacerebbe che tra le difficoltà della traduzione letteraria non si dimenticasse mai questa: lo sforzo, ogni volta, non solo di fare propria una lingua, ma anche di entrare in risonanza con un materiale narrativo – spesso incandescente – che scaturisce dal vissuto e dalle motivazioni profonde di un altro, lo scrittore.

LB: Hai cinque secondi per pensare un titolo. Vorrei sapere la traduzione - e quindi l'opera - che più ha inciso su di te, da tutti i fronti (lettrice, traduttrice, donna). Se esiste, naturalmente.
R: Molto difficile rispondere, perché la lettrice e la traduttrice in me non coincidono. O meglio, ciò che affascina la traduttrice non per forza corrisponde ai gusti della lettrice. Detto ciò, un’opera che mi ha fatto godere –si è trattato proprio di piacere dei sensi– sia come traduttrice sia come lettrice esiste, ed è Amore e ostacoli di Aleksandar Hemon (Einaudi); godimento perché ero a mio agio nella sua lingua, completamente a mio agio, come in una felpa che puoi anche permetterti di stiracchiare, di deformare, tanto è quasi una seconda pelle: ti senti talmente in sintonia col testo da concederti perfino degli allontanamenti, delle involate, delle pennellate più decise in alcuni punti… quella stessa libertà che vivi quando sei in intimità con qualcuno, e che procura piacere. A oggi ho tradotto una cinquantina di opere, ma Amore e ostacoli è forse quella con cui, e per la prima volta, ho provato un piacere profondo e costante. Azzarderei che, se da un lato ha sicuramente inciso la ormai approfondita conoscenza dell’autore, parte del merito va al fatto che questo è un libro in cui il piacere, la gioia del narrare sono tangibili. E mi hanno contagiata. Infine mi sento di dire che con questo libro ho davvero capito dall’interno il senso e l’importanza di seguire un autore nel tempo: accade che, per quanto sorprendente possa sembrare, approdi a un livello superiore in cui non traduci più il testo, ma l’autore – i suoi mood, i suoi tic, il suo respiro… fino alle sue intenzioni. Qualcuno ha definito questa mia traduzione “divertita”; ecco, questo è quanto sta dietro a quel percepibile “divertimento”.

LB: Hai lavorato con le principali case editrici italiane. Al di là di norme redazionali differenti, ci sono differenze sostanziali nel modo di operare che ti va di illustrare?
R: Alcune pagano meglio, altre peggio. Alcune sono puntuali, altre meno. A parte questo, la differenza sostanziale, per me traduttrice, sta nella presenza o meno di un interlocutore. E per interlocutore intendo un professionista “informato dei fatti”. I fatti, in questo caso, sono in prima istanza l’autore e secondariamente il traduttore. Sembra grottesco, lo so, ma non è automatico che la persona che si occuperà di rivedere una traduzione abbia colto appieno l’identità letteraria dell’autore in questione; allo stesso modo, più l’editor conosce il traduttore (intendo il suo lavoro, ovviamente) più saprà seguirne i ragionamenti e comprenderne le scelte, mettendone in valore e affinandone il lavoro con rispetto. Ciò non significa che un bravo editor non possa intervenire in maniera pertinente su un testo a prescindere dai suddetti elementi, ma stando alla mia esperienza, un dialogo nel tempo tra un editor e un traduttore porta i suoi frutti, esattamente come la frequentazione approfondita di cui parlavo a proposito di Hemon.

Emmanuel Carrère
LB: Ti sei occupata di autori che riscontrano anche un successo di pubblico (penso a Carrère, ad esempio, o Amis e McCarthy). Ora, da un punto di vista tariffario, è così scontato ormai che si paghi a cartella (a prescindere dalla tariffa che uno riesce a contrattare) o credi che si dovrebbe riaprire una parentesi sulla possibilità di un pagamento del traduttore legato all'andamento delle vendite? Insomma, uno può essere Carrère ma se la traduzione non è buona non è buona e se è vera la storiella che vuole il traduttore come co-autore di un'opera allora...
R: Sfondi una porta aperta. Certo che bisognerebbe lottare per un compenso legato all’andamento delle vendite… Si chiamano royalties e, tendenzialmente, nell’Europa civile sono contemplate. Certo, sarebbe una battaglia più che valida: sostanziale. Perché è l’unico modo di affermare uno status finora ambiguo – che è uno status parzialmente autoriale. Sono spiacente, ma chi insiste nel dire che questo mestiere è ausiliario, puramente artigianale, non si rende conto del grado di consapevolezza e di responsabilità con cui noi usiamo lo stesso strumento dei nostri autori: la lingua. Del resto, l’editing di un testo originale non è dissimile, in fase avanzata, da un buon lavoro di editing su una traduzione.

LB: Ti sei occupata a lungo di Aleksandar Hemon e la frequentazione non è ancora conclusa. Non ho ancora letto nulla di Hemon. Da quale libro mi consigli di iniziare? Perché?
R: Sembrerò un’invasata, ma ovviamente ti consiglio Amore e ostacoli. Perché è una scrittura privata e politica a un tempo, perché ha uno humour e una faccia tosta irresistibili, perché sintetizza l’urgenza della testimonianza e il sublime piacere della narrazione.

LB: Dal francese e dall'inglese. Preferenze? Esiste qualcosa di simile a un "piacere" che magari è più intenso in un caso o nell'altro?
R: “Piacere” è un termine ricorrente, in quest’intervista… e mi fa piacere! Dunque. Tradurre dall’inglese costringe ad andare lontano. E a me piace andare lontano – in senso stretto come in senso lato. Per sua natura, l’inglese mi costringe ad allontanarmi da strutture linguistiche e mentali che non mi appartengono nel modo più assoluto. Ed essendo la mia seconda lingua straniera, comporta davvero una continua scoperta ed estensione della conoscenza; è un viaggio di conquista, ogni volta. Non che con il francese io viaggi col pilota automatico: la vicinanza tra il francese e l’italiano, si sa, è insidiosissima; tanto che, quando si tratta di queste due lingue, a prima vista non è affatto scontato riconoscere una cattiva traduzione. Eppure. Mi è capitato di rivedere traduzioni che si sono rivelate un vero e proprio incubo, nella misura in cui il traduttore aveva sistematicamente evitato di percorrere quell’ultimo tratto di strada che conduce una traduzione allo status di “testo autonomo” – e che nel caso di una traduzione dal francese è apparentemente molto breve. Quel tratto di strada che fa si che un lettore italofono possa trarre piacere dalla lettura come il lettore dell’originale, adagiarsi nella lingua in cui legge. Spesso si sente dire “ho mollato quel libro, non so, trovavo la lettura faticosa”; ecco: quando una traduzione non è scorretta, ma reca in sé l’impronta insistente e non risolta della lingua originale, il lettore è costretto a una fatica minima che via via si accumula, e che anziché aprirgli l’accesso all’opera lo allontana fino a fargliela abbandonare. Un bel crimine contro l’umanità, non ti pare?

Martin Amis
LB: Quali sono le situazioni del testo che ti mettono più in crisi?
R: Come continuamente si dice, la traduzione, tra tante cose, è arte del compromesso: il passaggio da un sistema linguistico a un altro – su un piano oggettivo – e dalla lingua di un dato scrittore alla lingua di un dato traduttore – su un piano soggettivo – comporta inevitabilmente una serie di slittamenti, di accomodamenti, di approssimazioni, di perdite nonché una produzione di nuovo e inaspettato senso. Ma quando il traduttore ha a che fare con uno scrittore peraltro sublime come Martin Amis, che gioca costantemente a destabilizzare il lettore, facendo dell’ambiguità linguistica – anzi lessicale, semantica – una cifra stilistica ed espressiva imprescindibile, le gatte da pelare aumentano esponenzialmente. La lingua è sempre un terreno insidioso, sempre mobile e solo in parte permanente. Ma tradurre Martin Amis per me significa interrogare ossessivamente ogni parola, temere una trappola sotto ogni scelta lessicale. Per un breve periodo ho lavorato parallelamente su Amis e Toews, e ogni volta tornavo con sollievo a I miei piccoli dispiaceri come a un territorio amico: la lingua della Toews insegue la trasparenza, l’immediatezza, mettendoti semmai di fronte alle difficoltà del discorso diretto, del dialogo mimetico, ma hai la rassicurante sensazione che ti venga restituita un po’ di terra sotto i piedi.

Noëlle Revaz
LB: Durante la recente manifestazione Chiasso Letteraria hai presentato un'autrice che hai anche tradotto, Noëlle Revaz. Ti congedi con una sua citazione? Grazie.
R: È buffo che me lo chiedi, perché dei tanti che ho tradotto, trovo che i romanzi di Noëlle siano tra quelli che più si sottraggono alla possibilità di citazione. Cuore di bestia (Keller editore) soprattutto è un tale impasto linguistico che a volerne illuminare un frammento si rischia davvero di ottenere soltanto un’impressione di caotica opacità. Però posso citare l’autrice, che da qualche parte ha detto “Quando scrivo, cerco di abbracciare quanti più possibili mi riesce”; una dichiarazione di intenti che spero suggerisca il senso di vertigine del traduttore che la traduce.
E grazie a te.