Prosegue la serie di interviste incentrate sulla traduzione letteraria e altre ne verranno. Mi rendo conto che queste interviste, messe in sequenza, compongono una sorta di gineceo, vista la maggioranza di donne intervenute. Tutto ciò non è intenzionale e sto correndo ai ripari con appositi contrappesi e "quote azzurre". Non oggi però, perché vi accingete a leggere le risposte di Maurizia Balmelli (a lato ritratta da Chiara Tiraboschi), la quale fece la sua prima comparsa su queste pagine diversi anni fa, in occasione di un post dedicato a Ágota Kristóf. Nelle risposte che seguono ci illustra gli ultimi lavori portati a termine, soffermandosi su alcuni autori in particolar modo. Non è difficile che vi siate imbattuti in un'opera da lei tradotta. Si parla anche di traduzioni dal francese e dall'inglese e una domanda parte proprio da qui, e poi di piacere, in senso lato ma anche in senso stretto. Vi auguro quindi una piacevole lettura.
Miriam Toews |
LB: Le ultime battaglie di cui sei "reduce":
quali sono, cosa ti lasciano? Ci sta parlare di "battaglia",
naturalmente in senso metaforico, per una traduzione, poi?
R: Il gesto della traduzione viene spesso descritto come un
“corpo a corpo” con la lingua, descrizione che sottoscrivo. Ma delle
“battaglie” da cui sono “reduce” stavolta mi piacerebbe parlare in termini
emotivi. Per una serie di circostanze, negli scorsi mesi mi sono ritrovata a
tradurre con tempi serratissimi due romanzi molto impegnativi e profondamente
diversi tra loro: I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews (Marcos y
Marcos) e La zona d'interesse di Martin Amis (in uscita per Einaudi a
settembre). Il primo racconta un rapporto appassionato tra due sorelle, Elf,
disperatamente determinata a morire e Yoli (la voce narrante) disperatamente
determinata a salvare Elf; il secondo è costruito come una specie di mémoire
a tre voci dai toni farseschi sulla vita dentro e fuori Auschwitz. Ecco:
convivere per mesi e mesi con personaggi così estremi, costruire l’empatia
necessaria a prestare le mie parole a una donna che cerca le proprie per
riuscire a salvare la sorella, a un criminale nazista tossico e con il complesso della bassa statura o a un prigioniero ebreo costretto a uccidere i propri figli ha
rappresentato un vero e proprio tour de force emotivo. Mi piacerebbe che tra le
difficoltà della traduzione letteraria non si dimenticasse mai questa: lo
sforzo, ogni volta, non solo di fare propria una lingua, ma anche di entrare in
risonanza con un materiale narrativo – spesso incandescente – che scaturisce
dal vissuto e dalle motivazioni profonde di un altro, lo scrittore.
LB: Hai cinque secondi per pensare un titolo. Vorrei
sapere la traduzione - e quindi l'opera - che più ha inciso su di te, da tutti
i fronti (lettrice, traduttrice, donna). Se esiste, naturalmente.
R: Molto difficile rispondere, perché la lettrice e la
traduttrice in me non coincidono. O meglio, ciò che affascina la traduttrice
non per forza corrisponde ai gusti della lettrice. Detto ciò, un’opera che mi
ha fatto godere –si è trattato proprio di piacere dei sensi– sia come
traduttrice sia come lettrice esiste, ed è Amore e ostacoli di
Aleksandar Hemon (Einaudi); godimento perché ero a mio agio nella sua lingua,
completamente a mio agio, come in una felpa che puoi anche permetterti di
stiracchiare, di deformare, tanto è quasi una seconda pelle: ti senti talmente
in sintonia col testo da concederti perfino degli allontanamenti, delle
involate, delle pennellate più decise in alcuni punti… quella stessa libertà
che vivi quando sei in intimità con qualcuno, e che procura piacere. A oggi ho
tradotto una cinquantina di opere, ma Amore e ostacoli è forse quella
con cui, e per la prima volta, ho provato un piacere profondo e costante.
Azzarderei che, se da un lato ha sicuramente inciso la ormai approfondita
conoscenza dell’autore, parte del merito va al fatto che questo è un libro in
cui il piacere, la gioia del narrare sono tangibili. E mi hanno contagiata.
Infine mi sento di dire che con questo libro ho davvero capito dall’interno il
senso e l’importanza di seguire un autore nel tempo: accade che, per quanto
sorprendente possa sembrare, approdi a un livello superiore in cui non traduci
più il testo, ma l’autore – i suoi mood, i suoi tic, il suo respiro… fino alle
sue intenzioni. Qualcuno ha definito questa mia traduzione “divertita”; ecco,
questo è quanto sta dietro a quel percepibile “divertimento”.
LB: Hai lavorato con le principali case editrici italiane.
Al di là di norme redazionali differenti, ci sono differenze sostanziali nel
modo di operare che ti va di illustrare?
R: Alcune pagano meglio, altre peggio. Alcune sono puntuali,
altre meno. A parte questo, la differenza sostanziale, per me traduttrice, sta
nella presenza o meno di un interlocutore. E per interlocutore intendo un
professionista “informato dei fatti”. I fatti, in questo caso, sono in prima
istanza l’autore e secondariamente il traduttore. Sembra grottesco, lo so, ma
non è automatico che la persona che si occuperà di rivedere una traduzione abbia
colto appieno l’identità letteraria dell’autore in questione; allo stesso modo,
più l’editor conosce il traduttore (intendo il suo lavoro, ovviamente) più
saprà seguirne i ragionamenti e comprenderne le scelte, mettendone in valore e
affinandone il lavoro con rispetto. Ciò non significa che un bravo editor non
possa intervenire in maniera pertinente su un testo a prescindere dai suddetti
elementi, ma stando alla mia esperienza, un dialogo nel tempo tra un editor e un
traduttore porta i suoi frutti, esattamente come la frequentazione approfondita
di cui parlavo a proposito di Hemon.
Emmanuel Carrère |
LB: Ti sei occupata di autori che riscontrano anche un
successo di pubblico (penso a Carrère, ad esempio, o Amis e McCarthy). Ora, da
un punto di vista tariffario, è così scontato ormai che si paghi a cartella (a
prescindere dalla tariffa che uno riesce a contrattare) o credi che si dovrebbe
riaprire una parentesi sulla possibilità di un pagamento del traduttore legato
all'andamento delle vendite? Insomma, uno può essere Carrère ma se la
traduzione non è buona non è buona e se è vera la storiella che vuole il
traduttore come co-autore di un'opera allora...
R: Sfondi una porta aperta. Certo che bisognerebbe lottare
per un compenso legato all’andamento delle vendite… Si chiamano royalties
e, tendenzialmente, nell’Europa civile sono contemplate. Certo, sarebbe una
battaglia più che valida: sostanziale. Perché è l’unico modo di affermare uno
status finora ambiguo – che è uno status parzialmente autoriale. Sono
spiacente, ma chi insiste nel dire che questo mestiere è ausiliario, puramente
artigianale, non si rende conto del grado di consapevolezza e di responsabilità
con cui noi usiamo lo stesso strumento dei nostri autori: la lingua. Del resto,
l’editing di un testo originale non è dissimile, in fase avanzata, da un buon
lavoro di editing su una traduzione.
LB: Ti sei occupata a lungo di Aleksandar Hemon e la
frequentazione non è ancora conclusa. Non ho ancora letto nulla di Hemon. Da
quale libro mi consigli di iniziare? Perché?
R: Sembrerò un’invasata, ma ovviamente ti consiglio Amore
e ostacoli. Perché è una scrittura privata e politica a un tempo, perché ha
uno humour e una faccia tosta irresistibili, perché sintetizza l’urgenza della
testimonianza e il sublime piacere della narrazione.
LB: Dal francese e dall'inglese. Preferenze? Esiste
qualcosa di simile a un "piacere" che magari è più intenso in un caso
o nell'altro?
R: “Piacere” è un termine ricorrente, in quest’intervista… e
mi fa piacere! Dunque. Tradurre dall’inglese costringe ad andare lontano. E a
me piace andare lontano – in senso stretto come in senso lato. Per sua natura,
l’inglese mi costringe ad allontanarmi da strutture linguistiche e mentali che
non mi appartengono nel modo più assoluto. Ed essendo la mia seconda lingua straniera,
comporta davvero una continua scoperta ed estensione della conoscenza; è un
viaggio di conquista, ogni volta. Non che con il francese io viaggi col pilota
automatico: la vicinanza tra il francese e l’italiano, si sa, è insidiosissima;
tanto che, quando si tratta di queste due lingue, a prima vista non è affatto
scontato riconoscere una cattiva traduzione. Eppure. Mi è capitato di rivedere
traduzioni che si sono rivelate un vero e proprio incubo, nella misura in cui
il traduttore aveva sistematicamente evitato di percorrere quell’ultimo tratto di strada che
conduce una traduzione allo status di “testo autonomo” – e che nel caso di una
traduzione dal francese è apparentemente molto breve. Quel tratto di strada che
fa si che un lettore italofono possa trarre piacere dalla lettura come il
lettore dell’originale, adagiarsi nella lingua in cui legge. Spesso si sente
dire “ho mollato quel libro, non so, trovavo la lettura faticosa”; ecco: quando
una traduzione non è scorretta, ma reca in sé l’impronta insistente e non risolta
della lingua originale, il lettore è costretto a una fatica minima che via via
si accumula, e che anziché aprirgli l’accesso all’opera lo allontana fino a
fargliela abbandonare. Un bel crimine contro l’umanità, non ti pare?
R: Come continuamente si dice, la traduzione, tra tante
cose, è arte del compromesso: il passaggio da un sistema linguistico a un altro
– su un piano oggettivo – e dalla lingua di un dato scrittore alla lingua di un
dato traduttore – su un piano soggettivo – comporta inevitabilmente una serie
di slittamenti, di accomodamenti, di approssimazioni, di perdite nonché una
produzione di nuovo e inaspettato senso. Ma quando il traduttore ha a che fare
con uno scrittore peraltro sublime come Martin Amis, che gioca costantemente a
destabilizzare il lettore, facendo dell’ambiguità linguistica – anzi lessicale,
semantica – una cifra stilistica ed espressiva imprescindibile, le gatte da
pelare aumentano esponenzialmente. La lingua è sempre un terreno insidioso,
sempre mobile e solo in parte permanente. Ma tradurre Martin Amis per me
significa interrogare ossessivamente ogni parola, temere una trappola sotto
ogni scelta lessicale. Per un breve periodo ho lavorato parallelamente su Amis
e Toews, e ogni volta tornavo con sollievo a I miei piccoli dispiaceri come a
un territorio amico: la lingua della Toews insegue la trasparenza,
l’immediatezza, mettendoti semmai di fronte alle difficoltà del discorso
diretto, del dialogo mimetico, ma hai la rassicurante sensazione che ti venga
restituita un po’ di terra sotto i piedi.
Noëlle Revaz |
LB: Durante la recente manifestazione Chiasso Letteraria
hai presentato un'autrice che hai anche tradotto, Noëlle Revaz. Ti congedi con
una sua citazione? Grazie.
R: È buffo che me lo chiedi,
perché dei tanti che ho tradotto, trovo che i romanzi di Noëlle siano tra
quelli che più si sottraggono alla possibilità di citazione. Cuore di bestia
(Keller editore) soprattutto è un tale impasto linguistico che a volerne
illuminare un frammento si rischia davvero di ottenere soltanto un’impressione
di caotica opacità. Però posso citare l’autrice, che da qualche parte ha detto
“Quando scrivo, cerco di abbracciare quanti più possibili mi riesce”; una
dichiarazione di intenti che spero suggerisca il senso di vertigine del
traduttore che la traduce.
E grazie a te.
Arrivo dal Facebook dell'intervistata e ho letto qui. Notavo su Facebook un commento che diceva che è vita sprecata non aver ancora letto Hemon e io, come lei, non ho ancora letto un'opera di questo autore. Ripensando comunque non mi sembra un commento simpatico, per me lei o altri che non hanno ancora letto Hemon.....
RispondiEliminaGrazie del commento (meglio sempre se firmato). Che dire? Devo commentare a mia volta? Devo dire che proprio Fb è a rischio spreco di vita, a volte? No. (Quest'epoca del commento compulsivo non mi affascina.) E poi non so il contesto, magari il commento che ha letto lei era una battuta. Comunque una cosa dico, in linea generale: mai mi sognerei di parlar di "vita sprecata" per le vite altrui, ma neanche della mia. I motivi per cui si può parlare di vita sprecata sono infiniti oppure nessuno, senza fermarsi al nome di un autore letto o non letto; certo a non leggere Dante qualcosa decisamente ci perdiamo, ma nemmeno in questo caso direi di una vita sprecata. Per quel che mi riguarda poi rimedierò, ho già comprato il mio primo libro di Hemon e ho fatto appositamente quella domanda, ho questa e molte altre lacune di lettura. Buona vita a tutti, a chi ha letto Hemon, a chi non lo ha fatto, a chi lo farà, a chi non lo farà mai.
RispondiEliminaalberto, il commento di cui si parla è di giuliano geri, traduttore e grande estimatore di hemon. e naturalmente era iperbolico. e infatti gli ho risposto: sono d'accordo con te.
Eliminaquindi, alberto, affrettati a recuperare la tua vita! :D