Visualizzazione post con etichetta Francesca Chiappa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Francesca Chiappa. Mostra tutti i post

lunedì 10 settembre 2018

"De l'infinito, universo e mondi". Il manuale di esobiologia di Sebastiano Vassalli. Uno scritto di Roberto Cicala

L'editore Hacca ha mandato in libreria De l'infinito, universo e mondi. Manuale di esobiologia di Sebastiano Vassalli. Il titolo bruniano cela uno scritto a lungo rimasto inedito, tra le carte dello scrittore. Destinato originariamente a Einaudi, questo testo non ebbe fortuna. Di seguito, per gentile concessione dell'editore e grazie alla puntuale collaborazione di Francesca Chiappa, si propone lo scritto introduttivo di Roberto Cicala, il quale, oltre a fornire un piccolo saggio di storia dell'editoria italiana, colloca quest'opera all'interno della ricerca vassalliana.

Un manuale per trovare la via del romanzo.
La ricerca di Vassalli tra poesia e fantascienza a cavallo del Sessantotto

«Fuori del libro nell’universo dei sogni, un universo di morte» è la visione apocalittica che segna la parabola di Sebastiano Vassalli a cavallo del Sessantotto nelle pagine del Millennio che muore, forse il punto lirico più alto del giovane autore d’avanguardia che, non va dimenticato, nasce proprio come poeta con Lui (Egli) pubblicato nel 1965 da Rebellato. Fin dal titolo della sua prima plaquette l’idea di «annullare l’io» predominante in tutta la letteratura tradizionale è uno degli imperativi categorici del contestatore che riceve il battesimo dal Gruppo 63 in un incontro a Fano alla vigilia di quel 1968 in cui esordisce nel catalogo Einaudi con l’«euforica bisboccia verbale sconnessa e avvampante» rilevata da Giorgio Manganelli in Narcisso, anche se è Giorgio Bárberi Squarotti a segnalarlo per primo al gruppo della collana dello Struzzo “La ricerca letteraria” dalla tipica copertina rosa shocking.
Eppure i versi del «millennio che muore, un canto corale, armonioso, possente, di morte su un universo di individui e di cose che esistono senza essere» sono schegge di quel tronco di fantascienza che il giovane autore prova a intagliare con un’impostazione creativa che l’attuale scoperta del Manuale di esobiologia dimostra d’essere, nella bibliografia vassalliana, non una semplice curiosità ma un passaggio nodale nella ricerca di una via nuova per l’urgenza di una scrittura in quegli anni avvertita come «macaronico inganno, sontuosa, carnevalesca dissimulazione di un’idea di morte, di cosmica vacuità». Lo ammetterà sulla soglia dei settant’anni: «Il mio percorso per diventare scrittore è stato lungo e inutilmente tortuoso. Vorrei aver seguito un altro percorso; ma vivevo in quell’epoca, e non potevo tirarmene fuori».
Vent’anni prima della Chimera il trentenne intellettuale, nato a Genova ma residente a Novara da quando ha pochi anni di vita, ha una laurea in lettere con una tesi sull’arte contemporanea e la psicanalisi discussa con Cesare Musatti e si mantiene insegnando, mentre dipinge e organizza eventi artistici della neoavanguardia. Sono anni da lui definiti «straordinari e straordinariamente inconcludenti», in cui si cimenta anche come editore in proprio con le sigle C.d.E. (Centro di documentazione estetica) e poi, nel segno dell’«anti editoria», Ant. Ed, cui intesta anche una rivista underground costituita da un grande foglio piegato in 20 facciate. Se l’editoria in proprio è una modalità per incontrare i lettori senza sottostare alle logiche delle grandi case editrici, e senza cadere nell’omologazione culturale, il terreno argilloso delle riviste è il campo privilegiato per seminare tutte le idee possibili: nel solco della torinese “Geiger” dei fratelli Spatola, della leccese “Gramma” e della fiorentina “Salvo imprevisti” coltiva il progetto controverso di “Pianura”, che però abbandona presto sebbene il nome resta un’identità forte nel suo percorso, cercando sempre di andare oltre quegli orizzonti piatti, quel «non-tuttoe-il-contrario-di-tutto tenuto insieme dalle idee confuse ma forti di quegli anni».
I testi ora scoperti grazie al lavoro di ordinamento dell’archivio che lo scrittore ha donato al Centro Novarese di Studi Letterari permettono di ricostruire questo momento di passaggio e di «contraddizioni di una generazione che si era illusa di cambiare il mondo» e che ha nel Millennio che muore un «punto d’arrivo e di partenza verso nuovi, inesplorati territori», secondo il suo migliore osservatore editoriale in presa diretta, l’einaudiano Guido Davico Bonino, al quale Sebastiano Vassalli rivela in una lettera del 199, terminata la stesura di Tempo di màssacro, di «sprofondare negli abissi del macro-microcosmo fantascientifico alla ricerca del “genere” romanzo». È una rivelazione di grande importanza per il giovane insegnante che nel fatidico 198 va a vivere con la futura moglie a Casa Bossi che avrebbe raccontato decenni dopo in Cuore di pietra: così gli studi e le letture di science fiction – la definizione coniata dalla rivista “Amazing Stories” negli anni venti poi tradotta in Italia come «fantascienza» nel 1952, quando inizia a uscire “Urania” – sembrano una via di fuga per smarcarsi da certa neoavanguardia artistica che lo ingabbia dentro la «cappa dell’irregolare e del violento contro Dio, natura e arte». L’idea è di tentare, si legge in altra lettera a Davico, «una sorta di operazione alchemica, difficile e complessa quanto la tradizionale quadratura del circolo: una letteratura d’avanguardia che possa essere veramente “popolare”».
È in quest’ottica che il giovane scrittore impegnato (iscritto al partito comunista da cui rimane ben presto deluso) avverte l’importanza di un’impostazione teorica del problema letterario che gli sta a cuore, suggerita forse dal lavoro di supplente e dalla collaborazione con Einaudi come curatore di edizioni per la scuola a partire da Il giorno della civetta di Sciascia (poi Dolci, Viganò, Tobino, Malcom X, Revelli e Gramsci), sebbene il suo approccio teorico segua sempre canoni postmoderni influenzati dalla neoavanguardia, come la dialettica di prestiti linguistici alti e bassi con esasperazione stilistica in chiave satirica. Nascono così due opere legate alla fantascienza: il Manuale di esobiologia, rimasto sepolto fino ad ora nella rivista internazionale “Pianeta” e proposto in cinque puntate tra il 1971 e il 1973 con una parte del tutto inedita, e Sesso®. Piccola enciclopedia universale di fantasesso, di cui Vassalli si finge traduttore e curatore attribuendo l’opera a tale Stephen Blacktorn, autore d’invenzione definito «studioso tra i più quotati di esobiologia e di genetica comparata», pubblicata nel 1970 dalla casa editrice Dellavalle di Piero Femore e Vittorio Viarengo, già promotori delle torinesi Edizioni dell’Albero. Ora le due opere si possono legare finalmente tra loro, non soltanto per il taglio di caricatura rispetto ai libri fantascientifici di quegli anni. Soprattutto la ricerca sul Manuale, la cui non facile edizione è ora disponibile per la cura attenta di Martina Vodola, permette di dare un nuovo senso al segmento di produzione a cavallo del 1970. Va infatti messa a fuoco un’attenzione verso il genere manualistico quasi esasperata, perché vissuta da Vassalli come imprescindibile per impostare una cassetta di strumenti narrativi per il futuro, da Tempo di màssacro, sul cliché della trattatistica barocca ma deformata, scelto da Italo Calvino per i primi titoli della sua collana “Einaudi Letteratura” nel 1970, fino a Manuale di corpo, passando per i due testi fantascientifici, rifiutati da Einaudi.
Un terzo rifiuto dello Struzzo, in verità contro il parere favorevole di Manganelli, riguarda un altro manuale, AA. Il libro dell’utopia ceramica, scritto anch’esso nel 1970 e pubblicato quattro anni dopo da Longo in «una collana gestita dagli autori stessi»: anche qui predomina la tensione millenaristica e universalistica, dal momento che l’«utopia ceramica» significa dare metaforicamente un ordine al mondo ricoprendolo di piastrelle, nel senso di una «figurazione piana, bidimensionale» in grado di riprodurre la Storia, non nella sua interezza, ma per allusioni, «per frammenti riflessi, in Mitologie e Utopie». È l’impresa di un io narrante che colleziona piccoli esagoni di ceramica ma «non più protagonista» della «ceramizzazione del mondo». E la figura di un collezionista appare anche nelle pagine del Manuale di corpo ovvero Sentenze di scrittori antichi e moderni, scritto nel 1972 e rimasto inedito fino al 1983. Dopo la pubblicazione nei senesi Quaderni di Barbablù sarà Leonardo Mondadori a riproporlo nel 1991 con l’osservazione dell’autore secondo cui l’operetta «contiene in sé le ragioni migliori dell’avanguardia (prima fra tutte, l’idea di letteratura come corpo di parole), e contiene anche le ragioni che allora mi spingevano a cercare altre strade, fuori da quella che avevo percorso fin lì e che vedevo essere senza sbocchi».
Uno sbocco intermedio si trova nel successivo Abitare il vento, tra le prime prove narrative in cui alla fine il protagonista Cris si impicca, nel senso di una morte necessaria dell’io poetico tradizionale per rinascere e ripartire senza più la stessa prima persona verbale, in questo caso dopo l’illusione ideologica della stagione dell’avanguardia che Vassalli vuole chiudere con la scelta di «abitare il vento», azzerare la situazione presente, alzare la posta in gioco secondo un’immagine di libertà tratta dal Libro dei Proverbi: «Chi distrugge la propria casa abiterà il vento». Vassalli sceglie quindi il mestiere di scrittore passando prima dagli esercizi manualistici, poi indagando in archivi e provando anche il genere del reportage (dapprima sugli italiani in Alto Adige), soprattutto però mettendo a frutto le intuizioni di un libro del «maestro e amico» Giulio Bollati su L’italiano. Il carattere nazionale come storia e invenzione. Trova così la propria strada inseguendo personaggi sconfitti, dal fascista semianalfabeta Benito dell’Arrivo della lozione al comunista Augusto Ricci di Mareblù, preannunci dei personaggi Antonia, Mattio e molti altri, a partire da uno puro, il suo «babbo matto» Dino Campana, protagonista della Notte della cometa, la prima opera della sua maturità nel segno della ricerca storica e della narrativa. Già in una lettera indirizzata all’Einaudi aveva confessato di sentirsi «assolutamente consapevole, per quanto mi riguarda, di aver imboccato la via stretta che conduce chissà dove, forse da nessuna parte: cioè di essere uno scrittore».
Il florilegio trattatistico di biologia aliena al centro della riscoperta di questo momento creativo di passaggio è un catalogo di vegetali e animali extraterrestri compilato per costruire «una visione non del “mondo” – termine quanto mai ambiguo e polivalente – ma dell’Universo: ché l’epoca delle “visioni del mondo”, come quella dei “protagonisti” autori di tali visioni è trascorsa». Lo sbocco della science fiction è infatti uno dei generi possibili da lui individuati in anni di crisi per trovare una vocazione alla scrittura narrativa dopo aver accantonato il progetto di fare il pittore o soltanto il poeta. La parabola del «viaggiatore nel tempo» Vassalli prenderà tuttavia un’altra strada, proiettandosi nel passato anziché nel futuro, eppure la semina fantascientifica (che trova un riscontro bibliografico anche in un racconto pubblicato in un volume della Grande Enciclopedia della Fantascienza del 1980 curata di Francesco Paolo Conte) porterà frutti anche in seguito, sempre evidenziando il contrasto fra l’io e l’umanità come dilemma e conflitto tanto sociale quanto letterario.
La fantascienza, a suo tempo coltivata per liberarla dalle restrizioni di genere minore, torna sulla scrivania di Vassalli negli anni novanta con il dibattuto romanzo 3012, che in qualche modo si beffa di chi gli aveva «contristato l’anima per anni con l’etichetta di romanziere storico». E senz’altro alla stesura del libro non sono estranei i suoi cataloghi di «esobiologia» (dove «eso-» deriva dal greco e sta per ciò che è «esterno», appunto extraterrestre) e di «fantasesso» essendo ricchi di suggestioni circa personaggi e situazioni. Per esempio echi dell’Albergo Intergalattico citato nel Manuale «costruito sugli stessi princìpi degli alveari» con «le stanze comunicanti che comunicano in realtà verso l’alto o verso il basso, senza eccezioni» tornano nella descrizione dei «trasferitori» che permettono gli spostamenti nei Blocchi residenziali dove ha vissuto Antalo, il protagonista di 3012 in cui dominano le tensioni belliche, i conflittuali rapporti interpersonali e le sovrastrutture di ogni società con l’odio come motore delle vicende umane: è una delle tesi presenti nel Manuale di esobiologia, le cui suggestioni popolano pagine di un’altra opera narrativa della maturità pubblicata alla vigilia del Duemila, Un infinito numero, dedicata al viaggio di Virgilio e Mecenate nella terra dei Rasna alla ricerca delle origini di Roma con la rivelazione della cosmologia etrusca secondo cui conseguenza necessaria a tutto ciò che viene creato per popolare il Nulla (termine fondamentale nella visione dello scrittore) è «l’infiltrazione dell’infelicità». Lo stesso titolo del romanzo rinvia a un passo dello Zarathustra di Nietzsche – «Tutti gli stati che questo mondo può raggiungere, li ha già raggiunti, e non una sola volta, ma un infinito numero di volte» – riportato nel nono capitolo 9 del Manuale, da cui emerge talvolta il medesimo desiderio, caratterizzante la vocazione primaria di Vassalli, di raccontare storie dimenticate dalla Storia. Anche in Stella avvelenata, il «Viaggio anacronismico nell’isola di Atlantide» del 2003, sono raccolti altri frutti formatisi dai semi gettati decenni prima in De l’infinito, universo e mondi, come la teoria della pluralità dei mondi e dei loro abitanti esposta citando a più riprese Niccolò Cusano. Altri riferimenti si trovano nei racconti, dal Robot di Natale – con l’idea che il desiderio di conoscere nell’universo una vita aliena derivi dal bisogno di trovare «un nemico esterno, abbastanza lontano per non rappresentare un pericolo imminente, ma abbastanza reale per costringerci ad accantonare, in tutto o in parte le nostre liti domestiche» – fino a La morte di Marx e altri racconti, dove la visione della contemporaneità è popolata da uomini-macchina dotati di ruote al posto delle gambe.
Il filo rosso della fantascienza non è quindi un accidente o, meglio, lo è in senso filosofico, come qualità di un elemento, in questo caso la scrittura, che può anche mutare nella sua espressione esteriore senza che l’idea originaria ne venga modificata. Di questo sono una testimonianza ineludibile la dimensione utopica e tragica presente tanto nella narrativa matura quanto alla base di questo originale Manuale di esobiologia, forse non riuscito come genere letterario compiuto ma sorprendente strumento di teoria che porterà, per esclusioni, alla pratica del romanzo. Vassalli ne sarà un maestro rappresentando soprattutto alcuni elementi come l’odio e la dolorosa relazione umana dentro uno spazio apparentemente circoscritto, illuminato sempre da una visione apocalittica, la stessa del Millennio che muore, di un mondolibro universale che si decompone per lasciare a tutte le parole la libertà di rappresentare in modo diverso e nuovo «cose, individui / ciascuno in grado di vivere nel proprio libro, di scrivere il proprio libro».
Se apocalisse e fantascienza davvero vengono in contatto è questione cui lo scrittore non dà peso, credendo maggiormente in quanto è ben espresso nella laica domanda del poeta a lui più vicino, Dino Campana, scelta a esergo della Notte del lupo: «Qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto ci appare ombra di eternità?».

Roberto Cicala


mercoledì 11 maggio 2016

"Le due tensioni" di Elio Vittorini ritorna per Hacca edizioni. Un'intervista con la curatrice Virna Brigatti

Librobreve intervista #68

Chi nei prossimi giorni transiterà per il Lingotto al "XXIX Salone Internazionale del Libro. Torino" (hashtag #SalTo16, mi raccomando), magari venerdì 13, magari alle 19:00, magari all'"Indipendents' corner", potrebbe fermarsi ad ascoltare Giuseppe Lupo e Salvatore Silvano Nigro dialogare su Le due tensioni e "Il menabò" di Elio Vittorini. Il libro Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura di Elio Vittorini, dopo la comparsa nel catalogo de Il Saggiatore nel 1967, è stato riproposto quest'anno da Hacca edizioni. Il volume prevede la prefazione di Cesare De Michelis e un’appendice di materiali inediti. La cura e la postfazione sono invece di Virna Brigatti (foto a lato) dell'Università degli Studi di Milano, che ha gentilmente accettato di rispondere alle domande che seguono. Oltre alla curatrice intervistata ringrazio anche Francesca Chiappa di Hacca edizioni per la cortese collaborazione.

LB: Ci può brevemente parlare del ritorno di questo titolo da poco pubblicato da Hacca?
R: Le due tensioni di Elio Vittorini furono pubblicate per la prima volta nel 1967 per volontà e cura di Dante Isella, professore di storia della letteratura e di filologia italiana dell’Università di Pavia. Fu sua infatti la decisione di dare vita pubblica alle carte manoscritte su cui negli ultimi anni della propria vita Vittorini – che morì il 12 febbraio 1966 – aveva tracciato numerosi appunti di riflessioni di tipo teorico, volte innanzitutto allo scopo di trovare un nuovo modo di scrivere testi letterari, un modo adeguato alle profonde mutazioni della società del suo tempo.
Hacca ha deciso di riproporre quel volume, rispettano le scelte compiute da Isella, sia per rendere omaggio al loro autore, in occasione dei 50 anni dalla sua morte, sia per rendere ancora disponibile un testo che ormai era diventato introvabile.


LB: Se le chiedessi molto semplicemente perché leggere questo libro di Vittorini, in poche battute su quali aspetti si concentrerebbe?
R: Partirei da questa premessa: Le due tensioni non è un libro di narrativa, ma di saggistica e di una saggistica non divulgativa, dunque non può essere semplicemente letto, quanto piuttosto studiato, o almeno “meditato”, nel senso che richiede attenzione e sforzo da parte del lettore.
Queste le ragioni: da un lato la sua intrinseca natura testuale, che è di pagine di appunti che Vittorini aveva redatto per se stesso e non ancora per altri e dunque risentono della frammentarietà della scrittura e dell’imprevedibilità dei rimandi; dall’altro la complessità e la quantità delle questioni implicate, dalla letteratura alla linguistica, dalla politica all’attenzione alle radicali trasformazioni delle abitudini e delle condizioni della vita quotidiana investita in quegli anni dal boom economico e dall’affermarsi della società di massa.
Le due tensioni sono però un testo di grande fascino, che generano un fortissimo piacere della lettura, ma quel piacere che possono provare i ricercatori di pietre preziose, un piacere cioè che sappia accettare la fatica.
Infine, perché leggerlo? Perché è una delle più complete sintesi delle trasformazioni culturali che il Novecento italiano ha lasciato ai posteri.


LB: In questa edizione di Hacca riproponete anche lo scritto che accompagnava l'edizione de Il Saggiatore del 1967. Che cosa marca Dante Isella e che cosa ha senso ricordare come contributo essenziale di quel suo testo?
R: La Nota di Isella non è un commento sui contenuti del testo, ma definisce i criteri secondo i quali gli appunti autografi di Vittorini sono stati trascritti e inseriti nella struttura di un libro a stampa: il testo dell’autore, che ricordiamo non è stato da lui mai approvato per la pubblicazione e che era ancora a uno stato provvisorio e informe, è stato infatti sottoposto ad una rigorosa operazione filologica di cui Isella dà conto. Il metodo di lavoro di Isella è un punto di riferimento fondamentale quando si intende pubblicare delle carte d’autore inedite.



LB: Il volume da lei curato presenta anche un'appendice di inediti. Che cosa trova il lettore in questi e qual è stato il criterio compositivo di questa parte del volume?
R: A quegli stessi criteri messi in atto da Dante Isella mi sono attenuta a mia volta nel trascrivere, nell’appendice, alcune carte manoscritte che Isella stesso aveva a suo tempo stabilito di non pubblicare.Tali carte, a distanza di quasi cinquant’anni dalla prima edizione delle Due tensioni, assumono ora un nuovo valore, poiché dialogano direttamente con tutto il resto del testo permettendo di approfondire e chiarire i richiami ad alcuni volumi letti allora da Vittorini: l’appendice di inediti riporta infatti gli appunti di lettura relativi ad alcuni saggi di cui ho dato conto nella nota al testo; nella seconda parte della mia nota al testo poi sono date indicazioni ancora più puntuali in merito all’appendice di inediti.



LB: Se dovesse indicare con una parola la più grande eredità di Vittorini e con un'altra parola la sua più grande "ingenuità" quali parole (o brevi espressioni) impiegherebbe?
R: La più grande eredità di Vittorini: la determinazione nel rinnovare continuamente, in rapporto all’evolversi della società e della dimensione storico-politica, la propria progettualità intellettuale e letteraria. 
La sua più grande "ingenuità": difficile parlare di ingenuità per Vittorini, le sue ingenuità sono spesso legate al tempo in cui è vissuto e le possiamo percepire noi, con il “senno di poi”, ma non direi che sia stato un uomo ingenuo, piuttosto ostinato nel proprio lavoro per la costruzione di un mondo migliore – quello che lui ha più volte definito, in senso rigorosamente laico e dunque metaforico, «un regno dei cieli sulla terra» – i cui presupposti sono sempre stati da lui posti nella possibilità di raggiungere collettivamente una consapevolezza culturale e politica.

LB: C'è un brano de Le due tensioni, magari breve, che potrebbe riassumerne qui, in chiusura di questa intervista, lo spirito o l'intenzione?
R: È interessante far notare come l’intensa riflessione di Vittorini sulla letteratura a lui contemporanea, sulle nuove discipline che aprono in quegli anni a nuovi campi della conoscenza (si pensi alla semiotica, allo strutturalismo e alle scienze del linguaggio) e sulle trasformazioni della società a lui contemporanea, non esclude l’autocritica verso le proprie opere e il proprio modo di scrivere. Un brano che riassume bene la ricerca della “nuova letteratura” di cui è detto con un giudizio sulla propria scrittura è dato a p. 94: «nei 2 rom.[anzi] inediti» – Vittorini si riferisce a quello che sarà poi edito postumo Le città del mondo (1969) e un altro progetto noto poi come Romanzo di Populonia (inserito tra i racconti) – egli registra «un arretramento verso l’ordine classico, verso la sistemazione preesistente, verso tutto ciò che pur da decenni è continuamente rimesso in questione – specificamente verso forme alla Cervantes che se la letteratura posteriore ha annullate e superate però sono in sé inefficienti ad affrontare comunque la realtà attuale» e prosegue poi a p. 169: «discorso autobiografico: i due libri non pubblicati ‒ scritti a tutto tondo ‒ da un punto di vista di Dio ‒ mi si rimprovera di non pubblicarli ‒ mi si esorta a pubblicarli ‒ mi si dice che non sono buon giudice ‒ io posso spiegarmi l’involuzione per cui sono stato portato a scriverli, l’aberrazione che è nell’essere scrittore e nel tendere a dare il piacere supremo, il piacere mistico, e nel tender ad esser Dio, ‒ ma sono anche abbastanza lucido per capire che cosa ho fatto appena sono fuori dal trasporto che me lo ha fatto fare».