mercoledì 11 maggio 2016

"Le due tensioni" di Elio Vittorini ritorna per Hacca edizioni. Un'intervista con la curatrice Virna Brigatti

Librobreve intervista #68

Chi nei prossimi giorni transiterà per il Lingotto al "XXIX Salone Internazionale del Libro. Torino" (hashtag #SalTo16, mi raccomando), magari venerdì 13, magari alle 19:00, magari all'"Indipendents' corner", potrebbe fermarsi ad ascoltare Giuseppe Lupo e Salvatore Silvano Nigro dialogare su Le due tensioni e "Il menabò" di Elio Vittorini. Il libro Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura di Elio Vittorini, dopo la comparsa nel catalogo de Il Saggiatore nel 1967, è stato riproposto quest'anno da Hacca edizioni. Il volume prevede la prefazione di Cesare De Michelis e un’appendice di materiali inediti. La cura e la postfazione sono invece di Virna Brigatti (foto a lato) dell'Università degli Studi di Milano, che ha gentilmente accettato di rispondere alle domande che seguono. Oltre alla curatrice intervistata ringrazio anche Francesca Chiappa di Hacca edizioni per la cortese collaborazione.

LB: Ci può brevemente parlare del ritorno di questo titolo da poco pubblicato da Hacca?
R: Le due tensioni di Elio Vittorini furono pubblicate per la prima volta nel 1967 per volontà e cura di Dante Isella, professore di storia della letteratura e di filologia italiana dell’Università di Pavia. Fu sua infatti la decisione di dare vita pubblica alle carte manoscritte su cui negli ultimi anni della propria vita Vittorini – che morì il 12 febbraio 1966 – aveva tracciato numerosi appunti di riflessioni di tipo teorico, volte innanzitutto allo scopo di trovare un nuovo modo di scrivere testi letterari, un modo adeguato alle profonde mutazioni della società del suo tempo.
Hacca ha deciso di riproporre quel volume, rispettano le scelte compiute da Isella, sia per rendere omaggio al loro autore, in occasione dei 50 anni dalla sua morte, sia per rendere ancora disponibile un testo che ormai era diventato introvabile.


LB: Se le chiedessi molto semplicemente perché leggere questo libro di Vittorini, in poche battute su quali aspetti si concentrerebbe?
R: Partirei da questa premessa: Le due tensioni non è un libro di narrativa, ma di saggistica e di una saggistica non divulgativa, dunque non può essere semplicemente letto, quanto piuttosto studiato, o almeno “meditato”, nel senso che richiede attenzione e sforzo da parte del lettore.
Queste le ragioni: da un lato la sua intrinseca natura testuale, che è di pagine di appunti che Vittorini aveva redatto per se stesso e non ancora per altri e dunque risentono della frammentarietà della scrittura e dell’imprevedibilità dei rimandi; dall’altro la complessità e la quantità delle questioni implicate, dalla letteratura alla linguistica, dalla politica all’attenzione alle radicali trasformazioni delle abitudini e delle condizioni della vita quotidiana investita in quegli anni dal boom economico e dall’affermarsi della società di massa.
Le due tensioni sono però un testo di grande fascino, che generano un fortissimo piacere della lettura, ma quel piacere che possono provare i ricercatori di pietre preziose, un piacere cioè che sappia accettare la fatica.
Infine, perché leggerlo? Perché è una delle più complete sintesi delle trasformazioni culturali che il Novecento italiano ha lasciato ai posteri.


LB: In questa edizione di Hacca riproponete anche lo scritto che accompagnava l'edizione de Il Saggiatore del 1967. Che cosa marca Dante Isella e che cosa ha senso ricordare come contributo essenziale di quel suo testo?
R: La Nota di Isella non è un commento sui contenuti del testo, ma definisce i criteri secondo i quali gli appunti autografi di Vittorini sono stati trascritti e inseriti nella struttura di un libro a stampa: il testo dell’autore, che ricordiamo non è stato da lui mai approvato per la pubblicazione e che era ancora a uno stato provvisorio e informe, è stato infatti sottoposto ad una rigorosa operazione filologica di cui Isella dà conto. Il metodo di lavoro di Isella è un punto di riferimento fondamentale quando si intende pubblicare delle carte d’autore inedite.



LB: Il volume da lei curato presenta anche un'appendice di inediti. Che cosa trova il lettore in questi e qual è stato il criterio compositivo di questa parte del volume?
R: A quegli stessi criteri messi in atto da Dante Isella mi sono attenuta a mia volta nel trascrivere, nell’appendice, alcune carte manoscritte che Isella stesso aveva a suo tempo stabilito di non pubblicare.Tali carte, a distanza di quasi cinquant’anni dalla prima edizione delle Due tensioni, assumono ora un nuovo valore, poiché dialogano direttamente con tutto il resto del testo permettendo di approfondire e chiarire i richiami ad alcuni volumi letti allora da Vittorini: l’appendice di inediti riporta infatti gli appunti di lettura relativi ad alcuni saggi di cui ho dato conto nella nota al testo; nella seconda parte della mia nota al testo poi sono date indicazioni ancora più puntuali in merito all’appendice di inediti.



LB: Se dovesse indicare con una parola la più grande eredità di Vittorini e con un'altra parola la sua più grande "ingenuità" quali parole (o brevi espressioni) impiegherebbe?
R: La più grande eredità di Vittorini: la determinazione nel rinnovare continuamente, in rapporto all’evolversi della società e della dimensione storico-politica, la propria progettualità intellettuale e letteraria. 
La sua più grande "ingenuità": difficile parlare di ingenuità per Vittorini, le sue ingenuità sono spesso legate al tempo in cui è vissuto e le possiamo percepire noi, con il “senno di poi”, ma non direi che sia stato un uomo ingenuo, piuttosto ostinato nel proprio lavoro per la costruzione di un mondo migliore – quello che lui ha più volte definito, in senso rigorosamente laico e dunque metaforico, «un regno dei cieli sulla terra» – i cui presupposti sono sempre stati da lui posti nella possibilità di raggiungere collettivamente una consapevolezza culturale e politica.

LB: C'è un brano de Le due tensioni, magari breve, che potrebbe riassumerne qui, in chiusura di questa intervista, lo spirito o l'intenzione?
R: È interessante far notare come l’intensa riflessione di Vittorini sulla letteratura a lui contemporanea, sulle nuove discipline che aprono in quegli anni a nuovi campi della conoscenza (si pensi alla semiotica, allo strutturalismo e alle scienze del linguaggio) e sulle trasformazioni della società a lui contemporanea, non esclude l’autocritica verso le proprie opere e il proprio modo di scrivere. Un brano che riassume bene la ricerca della “nuova letteratura” di cui è detto con un giudizio sulla propria scrittura è dato a p. 94: «nei 2 rom.[anzi] inediti» – Vittorini si riferisce a quello che sarà poi edito postumo Le città del mondo (1969) e un altro progetto noto poi come Romanzo di Populonia (inserito tra i racconti) – egli registra «un arretramento verso l’ordine classico, verso la sistemazione preesistente, verso tutto ciò che pur da decenni è continuamente rimesso in questione – specificamente verso forme alla Cervantes che se la letteratura posteriore ha annullate e superate però sono in sé inefficienti ad affrontare comunque la realtà attuale» e prosegue poi a p. 169: «discorso autobiografico: i due libri non pubblicati ‒ scritti a tutto tondo ‒ da un punto di vista di Dio ‒ mi si rimprovera di non pubblicarli ‒ mi si esorta a pubblicarli ‒ mi si dice che non sono buon giudice ‒ io posso spiegarmi l’involuzione per cui sono stato portato a scriverli, l’aberrazione che è nell’essere scrittore e nel tendere a dare il piacere supremo, il piacere mistico, e nel tender ad esser Dio, ‒ ma sono anche abbastanza lucido per capire che cosa ho fatto appena sono fuori dal trasporto che me lo ha fatto fare».

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