Visualizzazione post con etichetta Di Felice. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Di Felice. Mostra tutti i post

mercoledì 3 dicembre 2014

Roberta Durante, "Club dei visionari"

Le note critiche del premio letterario "Anna Osti"











Terzo appuntamento della miniserie di cinque post dedicati alle note critiche ai libri premiati o segnalati all'ultima edizione del premio letterario Anna Osti. Ringrazio i promotori del premio e i singoli autori di queste note. Ospito oggi il testo che Francesca Gironi ha scritto per Club dei visionari di Roberta Durante (Edizioni Di Felice, 2014).

Club dei visionari, di Roberta Durante, può essere letto come un diario di viaggio, scritto a esperienza compiuta. Nei cinquantadue brevi componimenti in cui è articolato, si susseguono tentativi di perlustrazione, o mappature dell'ambiente circostante, come a voler misurare le possibilità e la resistenza dello spazio – dell'immaginazione e del testo – attraversato (2, sembrava non essere mai stati a Firenze | le strade di brodo | e ogni due passi eravamo persi; 8, cercavamo bici a noleggio sulla Schönauser Allee | quando abbiamo girato l'angolo | una scritta enorme: LIEBE; 12, di solito il castello era abitato da gatti | quella sera ci fermammo lì a dormire | e i gatti ci lasciarono in camera un topo morto), in uno stato di coscienza collocabile tra il sonno e la veglia (38, non ero mai stata a Modena / ma quella notte mi ci persi | mi addormentai mezzora | nel bookshop di un castello | quando mi svegliai corsi a ritroso verso la stazione: | l'unico riferimento era un parco dove c'era la statua di un pupazzetto | illustrato in un libro di Rosemary Wells | Una mamma speciale). Se lo spazio è costellato di elementi che lo rendono incoerente nella logica della coscienza vigile, il tempo del racconto si riavvolge puntualmente in maniera ambivalente, muovendo insieme personaggi e scenario (20, ballavo magrissima in una tuta bianca | giravo la manovella | e ripetevo la storia: | ballavo magrissima in una tuta bianca | inseguivo un coniglio),come un nastro di Möbius (52, quando spostammo il letto | (perché si dorme con la testa a nord) | ricominciai finalmente a sognare | (ma tutto al contrario).

Francesca Gironi

domenica 24 agosto 2014

Al "Club dei visionari" di Roberta Durante

La poesia di Andrea Zanzotto Là sul ponte, contenuta in Dietro il paesaggio (1951) inizia così: "Là sul ponte di San Fedele / dove la sera abbonda / di freddo fieno / e dove la pioggia raccoglie / tutte le sue vele madide / c'è da ieri una fanciulla bionda / che ha un nome come una corona / e che ha perduto per sempre / una mano per salutare una rosa". Ora prendiamo la prima poesia di questo bel Club dei visionari di Roberta Durante (Treviso, 1989) pubblicato da Di Felice Edizioni (pp. 80, euro 12, postfazione di Gabriele Frasca): "aspettavo un segno: / un fiore che cadendo dall’alto / mi bucasse la testa per crescere dentro / e uscirmi dagli occhi tra i denti dal naso / e io con la faccia (per una volta) / fare il vaso". Non parto con questo raffronto per ricordare e ricordarmi che l'autrice ha sicuramente letto in lungo e in largo Zanzotto. Questo era già evidente in Girini, opera prima pubblicata dalle edizioni d'if di cui abbiamo parlato qui. Piuttosto mi interessa spostare lo sguardo su come certa poesia surrealista continui a lavorare dentro, a creare dei nonsense vivificanti (la mano persa in Zanzotto, il fiore che buca nella poesia di Roberta Durante, con quel vaso che potrebbe ricordare persino la terzina dantesca di Paradiso, I "O buono Appollo, a l'ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come dimandi a dar l'amato alloro."). 

Sono 52 testi brevi a popolare questo Club e si susseguono come dei ritagli (clip) che ci portano in luoghi e stagioni diverse. Sta nell'immaginario nuovo emergente da questa poesia, a mio avviso, la novità più bella che ci propone il libro. La versificazione si immerge in immagini di visionari, per l'appunto, puntellate da un frequente ricorso al verbo all'imperfetto che situa le scene raccontate in un orizzonte che è quello del fotogramma, del frammento, di un tempo che si chiude spesso con qualcosa di negativo o avversativo (versi conclusivi spesso introdotti da un "non" o da un "invece" o un "ma") "era saltata l’estate / era già tempo di piogge sparse e buio presto / lanciavo sassi alle stelle per rompere il vetro / e fare più luce / ma niente non ti trovavo da nessuna parte" dove quel "buio presto" è così prossimo a "buio pesto". Quasi paradigmatico questo testo, un po' più lungo della media:

32

mi esibivo ogni sera in un locale da spogliarellisti
sulla Avenue Trudaine a Montmartre
ma non c’era mai nessuno:
di fronte stava il Moulin Rouge sempre pieno
una mattina invertii le insegne dei locali
e quella sera il mio posto era colmo di gente
io non mi esibii più per l’imbarazzo
ma la gente applaudiva beveva
era molto felice e tutti si divertivano


Alcune delle osservazioni registrate sopra si possono ritrovare nei due brevi testi che riporto di seguito, anche per dare al lettore una maggiore apertura angolare sul libro:

8


cercavamo bici a noleggio sulla Schönauser Allee
quando abbiamo girato l’angolo
una scritta enorme: LIEBE
e i cani che si voltavano
quando li chiamavamo con nomi a caso

15


mentre tiravo il sipario
un imprevisto un incubo
il rosso si era sciolto e il pubblico vedeva tutto:
non ci credeva più nessuno


Mi pare evidente che c'è racchiuso in questo libro e in queste poesie un portato di rinnovamento dell'immaginario poetico degli ultimi anni, che se non altro agisce nella sua qualità di promessa. E ce n'era bisogno, perché certe scene o certe utopie iniziavano ad essere trite. Si sente, leggendola, che Roberta Durante ha fatto ampiamente proprie certe agglutinazioni foniche di Zanzotto e di Caproni, e questo è già un punto di partenza che annulla sé stesso e quindi un mancato punto di partenza: né più né meno ciò di cui ha profondamente bisogno la poesia. 

45


mi infilavo le mutande
che erano evidentemente ben affilate:
finivo a terra ma in due parti
due pezzi di me totalmente inutili


Aspettiamo il prossimo libro che uscirà per le edizioni Prufrock spa. Non dovremmo attendere molto e un'anticipazione è già qui, sotto forma di alcune cartoline teaser che andranno a comporre il mosaico della copertina del libro intitolato Balena. Gabriele Frasca, da tempo vicino auscultatore della poesia di quest'autrice, ci ricorda in un passo efficace della sua postfazione che "Roberta Durante, se vuole, frequenta la festa della lingua, e lo sa fare: ne ha dato prova nella piccola raccolta d’esordio (Girini), e in modo ancora più torrentizio in quelle che lei definisce «clipoesie» (al momento s’intitolano Livelli), alcune delle quali si possono fortunatamente ascoltare in rete, nella nenia avvolgente in cui lei stessa le dice. Sono radioechi, le «clipoesie», ci danzano intorno per identificare la sfoglia di carne che dovrebbe supporci contenuti, quando invece siamo imbozzolati altrove. La festa della lingua che ripercorre la soglia fra la veglia e il sonno è sempre una poesia del «tu», e se ripete «io» è perché ricerca nel «tu» il soggetto della sensazione. Vuole insomma ridestare il corpo, ricordandogli che è embricato a un altro. Qui, invece, c’è poco da dire: si punta al rebus del linguaggio (nel quale l’«io» puntualmente si smarrisce), al «bruco perfetto» (27), e si frequenta dunque più sfacciatamente il silenzio del sogno, quello che ci scorge ogni volta desti nel mare del senso, e armati di quell’unico remo che al più ci farà girare in tondo (29)."

giovedì 6 marzo 2014

Le poesie di Johannes Bobrowski pubblicate da Di Felice Edizioni

Premessa: mi rendo conto che esiste un panorama di cosiddette case editrici medie o piccole che davvero sta svolgendo una funzione importante, di collante di alcuni pezzi che la grande editoria sta inevitabilmente perdendo o magari, scientemente, devastando. E visto che con Di Felice Edizioni siamo a Teramo, in Abruzzo, rimango in zona e vi segnalo l'operato della casa editrice Galaad. Per stare nell'area adriatica ricordo Vydia, già ospitato qualche settimana fa su queste pagine con John Taggart, oppure il lungo meritorio operato di una casa editrice come la pugliese Manni. Nelle Marche c'è stata e continua ad esserci la presenza "rassicurante" di Quodlibet e adesso anche di Italic Pequod che prosegue la bella storia che fu di Pequod. (In bocca al lupo invece alla Giometti-Antonello del fuoriuscito Quodlibet Gino Giometti e di Danni Antonello, la quale sta ripartendo da Lenz di Georg Büchner nella traduzione di Alberto Spaini, con illustrazioni di Giuditta Chiaraluce e testi di Gottfried Benn e Martin Walser.) La lista potrebbe continuare a lungo e, ad esempio, spostandosi un po' verso il Tirreno, ma rimanendo abbastanza al centro, annoverare le operazioni di salvataggio di testi rari del Novecento compiute da Fabrizio Zollo delle edizioni Via del Vento di Pistoia (vorreste ad esempio leggere Gertrud Kolmar? Dovete passare per le edizioni Via del Vento). Insomma, anche questa lacunosa lista, che dimentica tantissimi altri nomi, dice di un panorama di resistenza ma anche innovazone editoriale che fa ben sperare. Come sempre, se qualcosa funziona, può succedere che il pesce grande arrivi a mangiare il pesce piccolo. Dovesse succedere, speriamo almeno che lo digerisca bene ed escano feci dure e ben formate, non un nauseante schizzo di diarrea. "Ben sperare" tuttavia non è più sufficiente, questo va detto, e non è mai bastato. Serve comunicare questa positività intravista, tanto per cominciare, almeno dal punto di vista di chi scrive qui, e poi provare ad uscire da un'ottica "regionale", che è un buon inizio ma che non può bastare, serve provare a creare qualche ponte, gettato sulla base acquatica di un qualcosa che spesso dimentichiamo ed è quella lingua italiana nella quale quest'editoria si esprime. E naturalmente serve operare alla base, dalle scuole all'università, dimenticando (sì: dimenticando, basta con il "ricordare a tutti i costi") il clima deprimente degli ultimi anni. 

Prendiamo allora questo Poesie di Johannes Bobrowski pubblicato da Di Felice Edizioni (pp. 112, euro 15, traduzione di Davide Racca) nella collana "I poeti di Smerilliana" diretta da Enrico D'Angelo. Attualmente questo è l'unico libro di Bobrowski disponibile in italiano. Basterebbe questo semplice dato commerciale a dire molto, senza troppo aggiungere. Johannes Bobrowski (Tilsit 1917 – Berlino 1965) ha lasciato tre volumi di poesia e non molte pagine di prosa: Sarmatische Zeit del 1961 ("Tempo sarmatico"), Schattenland Ströme del 1962 ("Terra d’ombre fiumi") e il volume pubblicato due anni dopo la morte Wetterzeichen nel 1966/67 ("Segni di tempesta"). La parentesi di pubblicazioni, come apprendiamo dalle nude date, fu tardiva e non fu estesa. Questo volume curato da Davide Racca propone una significativa scelta attorno alla traccia lasciata da questo poeta e prosatore "sarmatico", che trascorse in mobilitazione l'intero decennio '39-'49, prima come soldato della Wehrmacht fino al 1945 e poi come prigioniero sovietico. Bobrowski  varcò la soglia dell'italiano quattro anni dopo la sua morte, grazie a un volume di Mondadori curato da quel grande traghettatore e traduttore che fu Roberto Fertonani.

Le poesie invecchiano? Forse sì, invecchiano anche loro, nessuno si scandalizzi, invecchiano anche quando sono grandi poesie. Ma non è un problema. Invecchiano e non necessariamente muoiono, visto che sono già morte alla nascita. Credo che sotto certi aspetti la poesia si possa sempre considerare una creazione nata-morta. Possono invecchiare bene le poesie, nella loro morte "scontata vivendo", anche attraverso secoli (o millenni). Non so se migliorano invecchiando, come si dice di certi buoni vini (che dipenda un po' anche dal tappo con cui chiudiamo la bottiglia e il liquido al suo interno?). Di sicuro non sempre. Ad un livello personale, negli ultimi tempi riscontro che mi parlano come buoni vecchi le poesie di questi autori che trovarono accoglienza tanto nella Germania dell'Est, dove Bobrowski fu riconosciuto come uno dei principali poeti, che in quella dell'Ovest. Un altro caso è Peter Huchel, del quale s'è detto brevemente qui, e che fu amico e a lungo corrispondente di Bobrowski. Oppure quello di Reiner Kunze, del quale trovate qualcosa qua. La poesia di Bobrowski inspira la divinità del luogo, ed è sempre più chiaro che ogni poeta vero ha quasi certamente un proprio luogo sacro. Per Bobrowski la Sarmatia romana fu proprio questo luogo, un luogo che oggi, tra l'altro, si trova sempre più frequentemente al centro della cronaca di guerra. Non riporto poesie, ma rimando a questa pagina per alcune versioni del curatore di questo volume. Qui, nello scrigno di Francesco Marotta intitolato "La dimora del tempo sospeso", trovate invece altre poesie di Bobrowski nella traduzione di Adelmina Albini. Lascio spazio ai testi e alle traduzioni, per chi vuole leggerli. Che questa segnalazione diventi soprattutto un punto di partenza, un invito che passa necessariamente attraverso questa meritoria pubblicazione delle Edizioni Di Felice.