La poesia di Andrea Zanzotto Là sul ponte, contenuta in Dietro il paesaggio (1951) inizia così: "Là sul ponte di San Fedele / dove la sera abbonda / di freddo fieno / e dove la pioggia raccoglie / tutte le sue vele madide / c'è da ieri una fanciulla bionda / che ha un nome come una corona / e che ha perduto per sempre / una mano per salutare una rosa". Ora prendiamo la prima poesia di questo bel Club dei visionari di Roberta Durante (Treviso, 1989) pubblicato da Di Felice Edizioni (pp. 80, euro 12, postfazione di Gabriele Frasca): "aspettavo un segno: / un fiore che cadendo dall’alto / mi bucasse la testa per crescere dentro / e uscirmi dagli occhi tra i denti dal naso / e io con la faccia (per una volta) / fare il vaso". Non parto con questo raffronto per ricordare e ricordarmi che l'autrice ha sicuramente letto in lungo e in largo Zanzotto. Questo era già evidente in Girini, opera prima pubblicata dalle edizioni d'if di cui abbiamo parlato qui. Piuttosto mi interessa spostare lo sguardo su come certa poesia surrealista continui a lavorare dentro, a creare dei nonsense vivificanti (la mano persa in Zanzotto, il fiore che buca nella poesia di Roberta Durante, con quel vaso che potrebbe ricordare persino la terzina dantesca di Paradiso, I "O buono Appollo, a l'ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / come dimandi a dar l'amato alloro.").
Sono 52 testi brevi a popolare questo Club e si susseguono come dei ritagli (clip) che ci portano in luoghi e stagioni diverse. Sta nell'immaginario nuovo emergente da questa poesia, a mio avviso, la novità più bella che ci propone il libro. La versificazione si immerge in immagini di visionari, per l'appunto, puntellate da un frequente ricorso al verbo all'imperfetto che situa le scene raccontate in un orizzonte che è quello del fotogramma, del frammento, di un tempo che si chiude spesso con qualcosa di negativo o avversativo (versi conclusivi spesso introdotti da un "non" o da un "invece" o un "ma") "era saltata l’estate / era già tempo di piogge sparse e buio presto / lanciavo sassi alle stelle per rompere il vetro / e fare più luce / ma niente non ti trovavo da nessuna parte" dove quel "buio presto" è così prossimo a "buio pesto". Quasi paradigmatico questo testo, un po' più lungo della media:
32
mi esibivo ogni sera in un locale da spogliarellisti
sulla Avenue Trudaine a Montmartre
ma non c’era mai nessuno:
di fronte stava il Moulin Rouge sempre pieno
una mattina invertii le insegne dei locali
e quella sera il mio posto era colmo di gente
io non mi esibii più per l’imbarazzo
ma la gente applaudiva beveva
era molto felice e tutti si divertivano
Alcune delle osservazioni registrate sopra si possono ritrovare nei due brevi testi che riporto di seguito, anche per dare al lettore una maggiore apertura angolare sul libro:
8
cercavamo bici a noleggio sulla Schönauser Allee
quando abbiamo girato l’angolo
una scritta enorme: LIEBE
e i cani che si voltavano
quando li chiamavamo con nomi a caso
15
mentre tiravo il sipario
un imprevisto un incubo
il rosso si era sciolto e il pubblico vedeva tutto:
non ci credeva più nessuno
Mi pare evidente che c'è racchiuso in questo libro e in queste poesie un portato di rinnovamento dell'immaginario poetico degli ultimi anni, che se non altro agisce nella sua qualità di promessa. E ce n'era bisogno, perché certe scene o certe utopie iniziavano ad essere trite. Si sente, leggendola, che Roberta Durante ha fatto ampiamente proprie certe agglutinazioni foniche di Zanzotto e di Caproni, e questo è già un punto di partenza che annulla sé stesso e quindi un mancato punto di partenza: né più né meno ciò di cui ha profondamente bisogno la poesia.
45
mi infilavo le mutande
che erano evidentemente ben affilate:
finivo a terra ma in due parti
due pezzi di me totalmente inutili
Aspettiamo il prossimo libro che uscirà per le edizioni Prufrock spa. Non dovremmo attendere molto e un'anticipazione è già qui, sotto forma di alcune cartoline teaser che andranno a comporre il mosaico della copertina del libro intitolato Balena. Gabriele Frasca, da tempo vicino auscultatore della poesia di quest'autrice, ci ricorda in un passo efficace della sua postfazione che "Roberta Durante, se vuole, frequenta la festa della lingua, e lo sa fare: ne ha dato prova nella piccola raccolta d’esordio (Girini), e in modo ancora più torrentizio in quelle che lei definisce «clipoesie» (al momento s’intitolano Livelli), alcune delle quali si possono fortunatamente ascoltare in rete, nella nenia avvolgente in cui lei stessa le dice. Sono radioechi, le «clipoesie», ci danzano intorno per identificare la sfoglia di carne che dovrebbe supporci contenuti, quando invece siamo imbozzolati altrove. La festa della lingua che ripercorre la soglia fra la veglia e il sonno è sempre una poesia del «tu», e se ripete «io» è perché ricerca nel «tu» il soggetto della sensazione. Vuole insomma ridestare il corpo, ricordandogli che è embricato a un altro. Qui, invece, c’è poco da dire: si punta al rebus del linguaggio (nel quale l’«io» puntualmente si smarrisce), al «bruco perfetto» (27), e si frequenta dunque più sfacciatamente il silenzio del sogno, quello che ci scorge ogni volta desti nel mare del senso, e armati di quell’unico remo che al più ci farà girare in tondo (29)."
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