Visualizzazione post con etichetta Claudia Ciardi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Claudia Ciardi. Mostra tutti i post

giovedì 17 settembre 2015

"Una notte" di Lou Andreas Salomé

La collana "I quaderni di via del Vento", dell'omonima casa editrice pistoiese, prosegue da anni un lavoro tenace di pubblicazione di testi inediti e rari del Novecento. Sarà sufficiente uno sguardo a queste pagine per avere un riscontro immediato di quanto appena affermato. Ed è bellissimo questo racconto di Lou Andreas Salomé, inedito (e chissà perché) sinora in italiano. Una notte (a cura di Claudia Ciardi, traduzione di Claudia Ciardi e Katharina Majer, via del Vento edizioni, venduto all'interessante prezzo di euro 4) offre, prima di ogni altra cosa, lo spunto per provare a formulare un pensiero che da molto mi gira in testa. Figure femminili mitiche, o comunque mitizzate come quella di Lou, vivono perfettamente anche al di fuori del cono di luce riflessa che deriva dal ricordare, ogni volta che le si nomina, i grandi poeti e pensatori che hanno frequentato, amato o con i quali c'è stata corrispondenza (in tutte le accezioni della parola corrispondenza). Nel caso di Louise von Salomé infatti sono puntualmente ricordati il marito orientalista Carl Andreas, professore di persiano e turco, Nietzsche (e si ricorda il Triangolo di lettere tra Lou, Nietzsche e Paul Rée pubblicato da Adelphi) e la relazione con Rainer Maria Rilke. Quel che voglio dire è che queste relazioni hanno sicuramente un peso notevole in una vita (Nietzsche è il filosofo che sappiamo, Rilke è il poeta che sappiamo), ma il rischio è quello di portarsi a casa uno sguardo unidirezionale e fuori asse. Chi ha letto le lettere o chi s'appresterà a leggere questo racconto, concluso in maniera splendida con un finale ineffabile, converrà che è bene sganciarsi da questo ricordo di Lou Salomé ed è il tempo per dire che tutti i sodalizi della sua vita sono stati importanti ma non possono essere determinanti nell'accogliere e valutare la sua opera, la quale può essere studiata come qualsiasi altra opera proveniente dal genere umano. Anche questo ragionamento rientra nelle annose problematicità del biografismo in letteratura, di cui qui si è più volte provato a dire, sebbene io sia abbastanza certo che qualcuno mi suggerirebbe di inquadrarlo meglio dentro una cornice di gender studies (e posso immaginare che con Lou Andreas Salomé questo sia accaduto a più riprese).

Inutile dedicare troppe righe a riassumere questa manciata di pagine. Oltretutto, i libri di quest'editore pistoiese mantengono prezzi assai ragionevoli, nonostante la rarità (e quindi la preziosità) della proposta e della collana nel suo insieme. Dico solo che dopo averlo letto si è rafforzata la convinzione che sia profondamente sbagliato continuare a vedere Lou come femme fatale del Novecento e che vada smarcata assolutamente da questa visione, sbagliato anche guardare alla protagonista di Eine Nacht, Elly, come altra donna fatale. La riuscitissima ambientazione notturna in un ospedale dove Elly è già stata come paziente e dove ritorna una sera, in un palpabile alone di imbarazzo, a trovare un giovane medico crea una matassa di non detto che si trattiene dal franare, per tutta la durata della storia. Anzi, la matassa muta. Ma sono anche le traiettorie degli sguardi, oltre all'incontro e al dialogo tra Elly e Berthold, che reggono questa prosa, che nella sua brevità - una notte, appunto - prevede pure la solidutine per Elly, in qualche modo prigioniera dell'ospedale a causa di un allontanamento di Berthold, chiamato al capezzale di un paziente morente. Forse è l'inserto della morte che cambia segno alla storia e muta la matassa di cui si diceva, inverte le direzioni degli sguardi ed Elly, che era entrata in ospedale quasi invisibile, esce dal plesso presto la mattina, in una scena finale tanto delicata quanto potente e di rara efficacia, quasi trasparente a se stessa.

domenica 5 luglio 2015

Due poesie di Robert Walser nella traduzione di Claudia Ciardi


 
Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.

LUCE OPPRIMENTE


Stanno due alberi nella neve,
stanco della luce, il cielo
se ne va e null'altro intorno
che non sia malinconia

E spuntano dietro gli alberi
scure case.
Ora si sente uno discorrere,
ora i cani si mettono ad abbaiare.

Ora nella casa appare
la cara lampada rotonda come la luna.
Ora è spenta,
come una ferita aperta.

Quanto piccolo il vivere qui
e quanto grande il niente.
Il cielo, stanco della luce,
tutto ha dato alla neve.

I due alberi le teste
chinano fra loro.
Alla quiete del mondo
fanno girotondo le nubi.


ORA


L’ora viene, l’ora va;
tante cose ci sono in un’ora,
i contrasti del sentire,
la nostalgia che come vento del mattino spira.
In un’ora pronuncia il giorno
le sue preghiere o imprecazioni,
e sempre io resto una misera casa
piena di giubilo e dolore.
In un’ora è il mondo intero
così ignaro e senza voglie,
e io, ah, quasi mai so
dove riposa e si nasconde il mio mondo.



 
 
Drückendes Licht 


Zwei Bäume stehen im Schnee,
der Himmel, müde des Lichts,
zieht heim, und sonst ist nichts
als Schwermut in der Näh’.

Und hinter den Bäumen ragen
dunkle Häuser hinauf.
Jetzt hört man etwas sagen,
jetzt bellen Hunde auf.

Nun erscheint der liebe, runde
Lampenmond im Haus.
Nun geht das Licht wieder aus,
als klaffte eine Wunde.

Wie klein ist hier das Leben
und wie groß das Nichts.
Der Himmel, müde des Lichts,
hat alles dem Schnee gegeben.

Die zwei Bäume neigen
ihre Köpfe sich zu.
Wolken durchziehen die Ruh’
der Welt im Reigen. 



Stunde 


Die Stunde kommt, die Stunde geht;
in einer Stunde liegt so viel,
liegt der Gefühle Widerspiel,
liegt Sehnsucht, die wie Frühwind weht.
In einer Stunde spricht der Tag
sein Beten oder Fluchen aus,
und ich bin stets das arme Haus,
gefüllt mit Jubel oder Plag’.
In einer Stunde liegt die Welt
nichtsahnend, nichtsbegehrend so,
und ach, ich weiß nicht immer wo
sie ruht und schlummert, meine Welt.



Una nota di Claudia Ciardi



Robert Walser (Bienne, 15 aprile 1878 – Herisau, 25 dicembre 1956), conosciuto più come prosatore che come poeta, inizia a scrivere versi intorno alla fine dell’Ottocento. Il quotidiano bernese «Der Bund» pubblica sei suoi componimenti nel maggio 1898. La nota di presentazione compilata da Josef V. Widmann riporta che Walser si esprime con una «sicurezza di sonnambulo», cogliendo fin dal suo primo manifestarsi i tratti di una personalità poetica sui generis, sospesa e quasi immobilizzata nel conflitto tra mondo esterno e spazio interiore. Ogni volta che il poeta intraprende una via conciliante tra sé e ciò che lo circonda, qualcosa cede il passo al distacco, a una sorta di rassegnata tensione dove le forze dell’esistenza si esauriscono. La tregua è possibile solo in rari istanti di beatitudine che subito dissolvono.

Anche nella sua quotidianità Walser fu così, figura centrale del panorama letterario d’oltralpe ma uomo defilato, estremamente schivo, tanto da aver vissuto sette anni a Berlino (1905-1913), la nascente metropoli, «la vorticante fabbrica del mondo», per dirla con Else Lasker-Schüler, senza clamore. L’epigrafe schüleriana non a caso viene qui portata all’attenzione del lettore. Sul numero 31 della rivista «Incroci» diretta da Lino Angiuli e pubblicata da Adda Editore, è appena uscito un mio contributo nel quale presento un brano della grande letterata tedesca. La prosa, inedita in Italia, fa parte dalla raccolta Concerto, di cui mi sono precedentemente occupata per Via del Vento, e si presta a una serie di considerazioni sull’immaginario della Kindheit, esplorato dai nomi di maggior rilievo della cultura tedesca di inizio Novecento. Gli accenti dello sradicamento schüleriano, che nutre un raffinato gioco di mimiche orientali doppiato nel ricordo della casa-rifugio a Wuppertal, mi hanno svelato più di un’affinità proprio con Robert Walser, magnifico esemplare di eremita delle lettere tedesche. 

Maestro di levitas, ossia narratore lieve di cose lievi, secondo la duplice accezione latina che si riferisce a quel che è levigato e leggero. Nella scelta dei suoi temi sembra un miniaturista orientale: una nevicata notturna, la pioggia, la luce in una sera d’inverno. All’inizio del 1909 l’editore berlinese Bruno Cassirer gli pubblicò una raccolta di quaranta poesie, la maggioranza composte circa un decennio prima, quando era ancora un giovane impiegato di commercio a Zurigo. Da qui provengono le due liriche selezionate per questa rubrica, offerte al lettore in nuova traduzione italiana.

martedì 13 novembre 2012

"Ci invitarono i cortili." La poesia di Georg Heym, grande assente di oggi, nelle risposte di Claudia Ciardi

Librobreve intervista #7












----
Torniamo a mescolare le carte con un'intervista e a parlare di poesia, traduzione, editoria "latitante". A Claudia Ciardi e alle edizioni Via del Vento dobbiamo l'unica plaquette di Georg Heym oggi disponibile in italiano. L'intervista diventa allora occasione per entrare nelle motivazioni di questo importante piccolo libro, nella storia della ricezione di Georg Heym in Italia, nel retroscena del lavoro di traduzione e per compiere con lei interessanti scorribande. Non meno importante è il suo affettuoso ricordo di Paolo Chiarini, il grande germanista recentemente scomparso, al quale si deve un fondamentale lavoro di traduzione su Heym, l'einaudiano Umbra Vitae del 1970, sul quale magari torneremo (a chi è interessato, ricordo poi che l'editore Silvy ha ripubblicato l'anno scorso L'Espressionismo tedesco, uno dei più importanti lasciti di Chiarini).
----

LB: Come nasce l’idea di questo piccolo libro di traduzioni da Heym?
RISPOSTA: Pura e semplice passione per la lingua di Heym e il suo laboratorio espressivo. Approfondire la lezione di questo poeta, mi ha permesso di entrare nell’universo di segni di coloro che inaugurarono la ‘stagione in inferno’ della poesia tedesca, in aperta rottura con un potere ingessato e incapace di rinnovarsi.
In occasione del lavoro sui sonetti di Walter Benjamin, il nome di Heym, in cui mi ero già più volte imbattuta nel corso della mia prima ricognizione su atmosfere e volti della nascente metropoli berlinese, è riaffiorato insieme a quello di Christoph Friedrich Heinle, in rapporto al distacco di quest’ultimo dalla Jugendbewegung. Capire quale pensiero alimentò i gruppi di questi giovanissimi artisti e in che modo si sviluppò la loro attività, ci dà uno spaccato importante della società tedesca del primo ‘900, attraversata da numerose fratture politiche e culturali, alla base di cambiamenti violenti e tragici, che ebbero conseguenze epocali anche sugli equilibri europei.
Per quanto riguarda la personalità poetica heymiana, riflesso di un carattere schivo e insofferente ai clichés borghesi, si può dire che occupa e incarna pienamente questa soglia generazionale. Da una parte, infatti, fotografa la città nel pieno della sua espansione architettonica e demografica, affollato cantiere di cose, persone e culture, celebrato in tutto il suo travolgente vigore, pur senza trascurare ombre e inquietudini; dall’altra sente il bisogno di fuggire i ritmi esagitati della metropoli per scambiarli con una vicinanza alla natura, di cui cerca di recuperare ed esplorare la tensione empatica. Siamo di fronte a una flânerie in versi che agli sfondi della «Berlino di pietra», efficace sintesi iconografica nella quale Joseph Roth celebrava l’epopea urbana, alterna i toni di un denso spiritualismo romantico. Questa doppia coloritura fa parte del bagaglio genetico espressionista, e Georg Heym ne è interprete finissimo e forse uno dei più coinvolgenti cantori.

LB: Qual è stato il criterio di scelta delle poesie? Ti sei confrontata con qualcuno, in una sorta di editing poetico?
RISPOSTA: Per la traduzione mi sono basata sull’edizione del ’22: Georg Heym, Dichtungen. Una decisione emotiva, ispirata dalle circostanze del tutto fortuite che mi hanno messo tra le mani questa vecchia pubblicazione, avvenuta nel decennale della morte del poeta, a cura di Erwin Loewenson, Kurt Pinthus e Kurt Wolff, gli amici che ne avevano seguito la parabola creativa. Ho pensato di ricavarne una scelta di liriche, tratte dalle tre raccolte lì riunite: L’eterno giorno, pubblicata quando il poeta era in vita, Umbra vitae e Tragedia dei cieli, entrambe postume. Mi sono poi appoggiata all’edizione di Schneider, che attraverso un lavoro rigorosissimo ha dato una sistemazione critica all’intera produzione heymiana, oltre a tener presente la straordinaria ‘pionieristica’ impresa di traduzione compiuta da Paolo Chiarini nel 1970. Chi sia in possesso di quel volume della ‘bianca’, simbolo fra l’altro di una stagione memorabile per Einaudi, non potrà non dedicare qualche minuto della lettura alla nota del curatore. Per l’edizione di Umbra vitae Chiarini non fa mistero di aver impiegato diversi anni di studio e ricerca. La complessità della parola di Heym, su cui si salda il carattere proteiforme del dettato espressionista, richiede infatti un’analisi scrupolosa, sul piano filologico e linguistico. A Chiarini va anche il merito di aver avvicinato il lettore italiano alla costellazione dell’espressionismo, una corrente che per le sue ‘ricadute’ politiche, storiche e sociologiche ha un ruolo di primordine nella narrazione della sfaccettata fisionomia del XX secolo. 
La plaquette di Via del Vento ha cercato di dare spazio ai temi salienti della lirica di Heym, agli aspetti più rappresentativi dell’immaginario del poeta. La mia selezione, orientata da questi criteri, è stata quindi proposta all’editore, per la messa a punto finale. Un importante contributo per l’esito del lavoro, lo ha dato generosamente Angela Staude Terzani, con cui mi sono confrontata per l’interpretazione di alcuni passaggi ostici; l’esercizio sulla lingua di Heym e questa fondamentale collaborazione hanno anche stimolato e arricchito la mia personale esperienza poetica.
Cominciare la nostra raccolta con una delle poesie su Berlino, non è stata una scelta volontaria ma il risultato della sistemazione dei testi, secondo l’ordine in cui si presentavano nell’edizione tedesca. Più che coerente con la celebrazione quasi innica della metropoli nel discorso heymiano. Una fatalità provocata dalla materia.

LB: Tradurre la poesia di Heym. C’è una similitudine, un’immagine che possa rendere l’idea di che cosa significa?
RISPOSTA: Non so se vi è mai capitato di camminare sui monti, poco prima che il sole scenda. Quell’ora in cui tutto sembra vivere un momento di sospensione e attesa, è tra le cose più perfette delle quali si possa fare esperienza. Ci si sente attraversati da una certa inquietudine al pensiero che la luce stia per venir meno, quasi una vertigine, che sale in noi e allo stesso tempo promana dal bosco. Animali e piante sembrano ritrarsi alla presenza del passeggiatore, come se si preparassero al mistero di una metamorfosi; si ha l’impressione di trovarsi in un luogo inabitato e vibrante. Tradurre la poesia di Heym significa evocare questo indefinito. 
 
LB: Questo libriccino copre un vuoto. In passato abbiamo registrato qualche movimento attorno alla poesia di Heym, poi è calato un silenzio per certi aspetti inspiegabile. Come mai l'Italia, che traduce molto (e molto anche dalla lingua tedesca), ignora oggi questo poeta? Qualche supposizione a riguardo?
RISPOSTA: Sì, per trovare una traccia della presenza di Heym, come si accennava sopra, bisogna andare indietro agli anni ’70 e ’80. Quel lavoro prezioso meriterebbe oggi di essere ripreso, nell’ottica di una rinnovata e più ampia considerazione del poeta. Sinceramente non saprei spiegare per quale motivo il silenzio abbia preso il posto di una ricerca che avrebbe potuto restituirci una delle voci più dense e significative tra le avanguardie del ‘900. Si potrebbe ipotizzare che la breve vita di Heym abbia suo malgrado contribuito all’idea di un mancato raggiungimento, nella sua carriera letteraria, di una vera e propria maturità artistica. Questo strano equivoco avrebbe forse inibito l’interesse di studiosi o semplici appassionati. Infine il carattere stesso dell’espressionismo, considerato talora dalla sensibilità dei lettori fin troppo lugubre e fosco, e ciò vale specialmente nel caso di Heym, dove il senso della morte riempie davvero ogni verso, questa Stimmung, si diceva, può darsi abbia reso meno appetibile, anche in rapporto a ipoetici scenari di pubblico, un’operazione editoriale. Tutti questi aspetti potrebbero aver finito per oscurare la straordinaria qualità del dettato heymiano.

LB: Cos'altro di Heym potrebbe essere "urgentemente" riproposto in traduzione?
RISPOSTA: L’intera produzione lirica. Un lavoro certamente lungo e molto impegnativo ma che, lo ripeto, permetterebbe di rendere disponibile in italiano una lezione poetica originale e altissima. 
 
LB: Quali sono i nuovi progetti nel tuo cantiere di traduzione e ricerca?
RISPOSTA: Mi sono appena cimentata nella traduzione di alcuni frammenti di Robert Musil. Tornando sul tema della ‘narrazione’, inaugurato dal volumetto dedicato a Benjamin-Heinle, l’ho scandagliato da una diversa prospettiva, quella della guerra e della dissoluzione del binomio stato-identità nella Mitteleuropa; il risultato è una straordinaria insospettabile allegoria dell’Europa attuale.
Sul fronte del mio percorso di scrittura, all’interno di un cantiere popolato da abbozzi ed esercizi, sta lentamente prendendo vita la mia prima raccolta poetica.