Accanto ai ratti di "al cor gentil ratto s'apprende" con le loro poesie inedite, compare un altro animale per nominare uno spazio dove si ospitano traduzioni di poesia: lo stregatto o Gatto del Cheshire di Lewis Carroll. Ratti e stregatti, insomma. Adotterò pregiudiziali e faziosi criteri per vagliare proposte di traduzioni, anche nei casi di lingue totalmente sconosciute come russo, coreano o giapponese (insomma, mi baserò su un traballante concetto di fiducia). Il gatto qui sopra è un particolare del dipinto "San Girolamo nello studio" di Antonello da Messina. Al di là delle molteplici simbologie e caratterizzazioni dei gatti, da Antonello a Carroll (Dante non è tornato utile stavolta perché un po' li snobba), qui proviamo a stregarvi con nuove traduzioni facendo le fusa. L'augurio è incoraggiare la traduzione poetica che un po' latita, anche nelle generazioni più giovani, e che qualche stregatto un giorno possa precipitare altrove, anche in un libro se capita.
LUCE OPPRIMENTE
Stanno due alberi nella neve,
stanco della luce, il cielo
se ne va e null'altro intorno
che non sia malinconia
E spuntano dietro gli alberi
scure case.
Ora si sente uno discorrere,
ora i cani si mettono ad abbaiare.
Ora nella casa appare
la cara lampada rotonda come la luna.
Ora è spenta,
come una ferita aperta.
Quanto piccolo il vivere qui
e quanto grande il niente.
Il cielo, stanco della luce,
tutto ha dato alla neve.
I due alberi le teste
chinano fra loro.
Alla quiete del mondo
fanno girotondo le nubi.
ORA
L’ora viene, l’ora va;
tante cose ci sono in un’ora,
i contrasti del sentire,
la nostalgia che come vento del mattino spira.
In un’ora pronuncia il giorno
le sue preghiere o imprecazioni,
e sempre io resto una misera casa
piena di giubilo e dolore.
In un’ora è il mondo intero
così ignaro e senza voglie,
e io, ah, quasi mai so
dove riposa e si nasconde il mio mondo.
Drückendes Licht
Zwei Bäume stehen im Schnee,
der Himmel, müde des Lichts,
zieht heim, und sonst ist nichts
als Schwermut in der Näh’.
Und hinter den Bäumen ragen
dunkle Häuser hinauf.
Jetzt hört man etwas sagen,
jetzt bellen Hunde auf.
Nun erscheint der liebe, runde
Lampenmond im Haus.
Nun geht das Licht wieder aus,
als klaffte eine Wunde.
Wie klein ist hier das Leben
und wie groß das Nichts.
Der Himmel, müde des Lichts,
hat alles dem Schnee gegeben.
Die zwei Bäume neigen
ihre Köpfe sich zu.
Wolken durchziehen die Ruh’
der Welt im Reigen.
Stunde
Die Stunde kommt, die Stunde geht;
in einer Stunde liegt so viel,
liegt der Gefühle Widerspiel,
liegt Sehnsucht, die wie Frühwind weht.
In einer Stunde spricht der Tag
sein Beten oder Fluchen aus,
und ich bin stets das arme Haus,
gefüllt mit Jubel oder Plag’.
In einer Stunde liegt die Welt
nichtsahnend, nichtsbegehrend so,
und ach, ich weiß nicht immer wo
sie ruht und schlummert, meine Welt.
Una nota di Claudia Ciardi
Robert Walser (Bienne, 15 aprile 1878 – Herisau, 25
dicembre 1956), conosciuto più come prosatore che come poeta, inizia a scrivere
versi intorno alla fine dell’Ottocento. Il quotidiano bernese «Der Bund»
pubblica sei suoi componimenti nel maggio 1898. La nota di presentazione compilata
da Josef V. Widmann riporta che Walser si esprime con una «sicurezza di
sonnambulo», cogliendo fin dal suo primo manifestarsi i tratti di una
personalità poetica sui generis,
sospesa e quasi immobilizzata nel conflitto tra mondo esterno e spazio
interiore. Ogni volta che il poeta intraprende una via conciliante tra sé e ciò
che lo circonda, qualcosa cede il passo al distacco, a una sorta di rassegnata
tensione dove le forze dell’esistenza si esauriscono. La tregua è possibile
solo in rari istanti di beatitudine che subito dissolvono.
Anche nella sua quotidianità Walser fu così, figura
centrale del panorama letterario d’oltralpe ma uomo defilato, estremamente
schivo, tanto da aver vissuto sette anni a Berlino (1905-1913), la nascente
metropoli, «la vorticante fabbrica del mondo», per dirla con Else
Lasker-Schüler, senza clamore. L’epigrafe schüleriana non a caso viene qui
portata all’attenzione del lettore. Sul numero 31 della rivista «Incroci»
diretta da Lino Angiuli e pubblicata da Adda Editore, è appena uscito un mio
contributo nel quale presento un brano della grande letterata tedesca. La
prosa, inedita in Italia, fa parte dalla raccolta Concerto, di cui mi sono precedentemente occupata per Via del
Vento, e si presta a una serie di considerazioni sull’immaginario della Kindheit, esplorato dai nomi di maggior
rilievo della cultura tedesca di inizio Novecento. Gli accenti dello
sradicamento schüleriano, che nutre un raffinato gioco di mimiche orientali
doppiato nel ricordo della casa-rifugio a Wuppertal, mi hanno svelato più di
un’affinità proprio con Robert Walser, magnifico esemplare di eremita delle lettere
tedesche.
Maestro di levitas,
ossia narratore lieve di cose lievi, secondo la duplice accezione latina che si
riferisce a quel che è levigato e leggero. Nella scelta dei suoi temi sembra un
miniaturista orientale: una nevicata notturna, la pioggia, la luce in una sera d’inverno.
All’inizio del 1909 l’editore berlinese Bruno Cassirer gli pubblicò una
raccolta di quaranta poesie, la maggioranza composte circa un decennio prima,
quando era ancora un giovane impiegato di commercio a Zurigo. Da qui provengono
le due liriche selezionate per questa rubrica, offerte al lettore in nuova
traduzione italiana.
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